Diritto d'asilo e alla protezione umanitaria

La Suprema Corte a Sezioni Unite, con l'ordinanza n 19393 del 9 settembre 2009 si occupa della natura giuridica del diritto alla protezione umanitaria di cui agli artt. 5, comma 6 e 19 del d.lgs n 286 del 1998, affermandone la consistenza di diritto soggettivo al pari del diritto di asilo e dello status di rifugiato, dacchè ne ha desunto la giurisdizione del giudice ordinario in relazione a fattispecie inerente l'impugnazione del provvedimento di diniego emesso dalla commissione nazionale per il diritto d'asilo. Sul fondamento costituzionale delle indicate posizioni soggettive e in particolare sulla loro riferibilità all'art. 2 della Cost nonchè sul rilievo della natura esclusivamente tecnica della discrezionalità della PA nel concedere le misure richieste, la Suprema Corte ha concluso per la riconduzione del diritto alla protezione umanitaria nel novero dei diritti umani fondamentali così come il diritto d'asilo e lo status di rifugiato (richiama, nella motivazione, Cass nn 4764/1997, 907/1999, 5055/2002, 11441/2004)

Cassazione Civile  Sez. Un. del 09 settembre 2009 n. 19393
La situazione giuridica dello straniero, che richieda il rilascio di permesso per ragioni umanitarie, ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali con la conseguenza che la garanzia apprestata dall'art. 2 cost. esclude che dette situazioni possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidata solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell'esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservate al legislatore. La giurisdizione sui diritti umani fondamentali, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, spetta al G.O.

La controversia avente ad oggetto una domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta in data anteriore al 20 aprile 2005, e quindi disciplinata dagli art. 5, comma 6, e 19 d.lg. n. 286 del 1998 e dall'art. 28, lett. d, d.P.R. n. 394 del 1999, è devoluta alla giurisdizione del g.o., in quanto la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, che va annoverato tra i diritti umani fondamentali che godono della protezione apprestata dall'art. 2 cost. e dall'art. 3 della convenzione europea dei diritti dell'uomo, e non può essere degradato ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidato solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell'esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato esclusivamente al legislatore.


DECRETO LEGISLATIVO 25 luglio 1998, n. 286 
Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero

Articolo 5  Permesso di soggiorno  - comma 6.
Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.


Art. 19 Divieti di espulsione e di respingimento.
1. In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.
2. Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti:
a) degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi;
b) degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell'articolo 9;
c) degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana (1);
d) delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono (2).
(1) Lettera modificata dall'articolo 1, comma 22,lettera p), della legge 15 luglio 2009, n. 94.
(2) La Corte costituzionale, con sentenza 27 luglio 2000, n. 376, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della lettera d), comma 2, articolo 17, della legge 6 marzo 1998, n. 40, ora sostituita dalla presente lettera, nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.


Cassazione Civile  Sez. Un. del 17 dicembre 1999 n. 907
La qualifica di rifugiato politico ai sensi della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 costituisce, come quella di avente diritto all'asilo (dalla quale si distingue perché richiede quale fattore determinante un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito non richiesto dall'art. 10, comma 3, cost.), una figura giuridica riconducibile alla categoria degli "status" e dei diritti soggettivi, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie riguardanti il riconoscimento della posizione di rifugiato (così come quelle sul riconoscimento del diritto di asilo) rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, una volta espressamente abrogato dall'art. 46, l. n. 40 del 1998, l'art. 5, d.l. n. 416 del 1989, conv. con modificazioni dalla l. n. 39 del 1990 (abrogazione confermata dall'art. 47 del testo unico d.lg. n. 286 del 1998), che attribuiva al giudice amministrativo la competenza per l'impugnazione del provvedimento di diniego dello "status" di rifugiato.



Cassazione Civile Sez. I del  09 aprile 2002 n. 5055
In tema di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, la qualità di rifugiato politico - che, ai sensi della convenzione di Ginevra del 29 luglio 1951, si differenzia da quella di avente diritto all'asilo perché postula, quale fattore determinante, il presupposto del "fondato timore di essere perseguitato" - si consegue attraverso la procedura di cui all'art. 1, comma 5, del d.lg. n. 416 del 1989 (norma non abrogata dall'art. 47 del d.lg. n. 286 del 1998), secondo la quale lo straniero deve presentare all'ufficio di Polizia istanza motivata sulla cui base il Questore rilascia, a richiesta, un permesso temporaneo valido sino alla definizione della procedura di riconoscimento, con la conseguenza che, in mancanza dei predetti elementi, nessun ostacolo all'espulsione può costituire la semplice proposizione della domanda di asilo.

Spetta al giudice ordinario valutare le condizioni ostative alla espulsione di uno straniero che abbia invocato lo "status" di rifugiato nonché decidere le controversie relative al diniego di riconoscimento di tale "status" ed al permesso di soggiorno ad esso strumentale.

L'art. 19 d.P.R. 25 luglio 1998 n. 286 non consente l'espulsione in violazione delle disposizioni che disciplinano il riconoscimento dello "status" di rifugiato, ma ciò presuppone la presentazione di una istanza motivata all'ufficio di polizia e della correlata richiesta di fruire di permesso di soggiorno temporaneo in pendenza della procedura di riconoscimento.


Cassazione Civile Sez. I del 18 giugno 2004  n. 11441
Il ricorso dello straniero avverso il provvedimento di diniego di asilo politico emesso dalla Commissione centrale per i rifugiati (nel vigore del regime di cui all'art. 1 d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, conv. in l. 28 febbraio 1990 n. 39, e sino alla data di applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 32 l. 30 luglio 2002 n. 189 che, introducendo nel testo del citato d.l. n. 416 del 1989 gli articoli da 1 bis a 1 septies, ha istituito, nell'ambito della procedura semplificata per le richieste formulate dagli stranieri ristretti per identificazione in centri di permanenza temporanea e assistenza, commissioni territoriali e previsto la competenza del tribunale territorialmente competente - data coincidente, ai sensi dell'art. 34 della stessa legge, con l'entrata in vigore nuovo regolamento previsto dal citato art. 1 bis, comma 3, d.l. n. 416 del 1989) rientra nella competenza per materia del tribunale ai sensi dell'art. 9 c.p.c., trattandosi di controversia avente ad oggetto lo "status" del richiedente, e nella competenza territoriale, ai sensi dell'art. 25 c.p.c., del tribunale di Roma, luogo in cui ha sede il soggetto convenuto, che è l'Amministrazione centrale dello Stato (essendo la Commissione organo, privo di autonoma soggettività giuridica, del Ministero dell'interno).

Spetta al tribunale di Roma, in applicazione delle norme generali sulla competenza per territorio, la cognizione del ricorso proposto dallo straniero avverso il diniego di riconoscimento dello "status" di rifugiato.


Cassazione Civile  Sez. Un. del 09 settembre 2009 n. 19393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. CARBONE      Vincenzo            -  Primo Presidente   - 
Dott. PAPA               Paolo                  -  Presidente di sezione  - 
Dott. MORELLI       Mario Rosario    -  Presidente di sezione  - 
Dott. ODDO              Massimo            -  Consigliere  - 
Dott. FINOCCHIARO Mario              -  Consigliere  - 
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio -  Consigliere  - 
Dott. SALME'             Giuseppe          -  rel. Consigliere  - 
Dott. NAPPI              Aniello               -  Consigliere  - 
ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29172/2007 proposto da:

O.P.,  elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CHISIMAIO  42,  presso  lo  studio  legale FERRARA-GUARDATA, rappresentato  e  difeso dall'avvocato FERRARA Silvio, giusta delega a margine del ricorso;

ricorrente

contro

MINISTERO   DELL'INTERNO,  in  persona  del  Ministro  pro   tempore,  domiciliato  in  ROMA,  VIA DEI PORTOGHESI  12,  presso  l'AVVOCATURA  GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis; 

controricorrente –

per  regolamento  di  giurisdizione avverso il giudizio  pendente  n.  10371/07 del TRIBUNALE di ROMA;
udita  la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio  del  13/01/2009 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE SALME';
lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott.  Antonio Martone, il quale chiede che le Sezioni Unite della Corte  di  Cassazione,  in Camera di consiglio, dichiarino la giurisdizione  del  giudice amministrativo, con le conseguenze di legge.

RILEVATO IN FATTO

Il cittadino (OMISSIS) O.P., giunto il (OMISSIS) a (OMISSIS), dove è stato trattenuto nel locale CPT, ha richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato assumendo che tutta la sua famiglia, di religione cristiana, era stata sterminata dai ribelli di religione musulmana, che nel suo paese si era scatenata la guerra civile tra le opposte fazioni dei LURD (Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia) e dei MODEL (Movimento per la democrazia in Liberia) e che, pertanto, era stato costretto a fuggire.
La commissione nazionale per il diritto d'asilo, con Delib. 24 novembre 2005, notificata il 17 aprile 2007, ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato affermando che le condizioni di pericolo denunciate investono la generalità dei cittadini libanesi e che non essendo riconducibili a persecuzioni dirette e personali non rientrano nelle previsioni della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951.
Con ricorso del 23 luglio 2007, ai sensi della L. n. 39 del 1990, art. 1 quater, comma 5, introdotto con la L. n. 189 del 2002, l' O. ha impugnato davanti al tribunale di Roma il provvedimento della commissione nazionale, assumendo che, sulla base della documentazione prodotta (rapporto ARIF 2007, rapporto Amnesty International 2006, rapporto Human Rights Watch 2004 e 2007) e tenendo presente l'attenuazione dell'onere probatorio previsto dalla direttiva 2004/83/CE, debbono ritenersi provate le persecuzioni subite dal ricorrente e dalla sua famiglia nel paese d'origine. Ha chiesto pertanto il riconoscimento dello status di rifugiato, o, in via subordinata, del diritto all'asilo, ovvero, in via ulteriormente subordinata, del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e degli art. 2, lett. f), artt. 4 e 5 della citata direttiva.
In pendenza del giudizio l' O., con ricorso notificato il 14 e 15 novembre 2008, illustrato con memoria, sul rilievo che in ordine alla questione relativa all'identificazione del giudice al quale spetta la giurisdizione sulla concessione della protezione umanitaria del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 e art. 19, si sono manifestati contrastanti orientamenti dei giudici ordinari e dei giudici amministrativi, ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione chiedendo che sia dichiarata la giurisdizione del tribunale adito anche con riferimento alla domanda di protezione umanitaria. Resiste con controricorso il ministero dell'interno.
Il procuratore generale ha concluso per la dichiarazione della giurisdizione del giudice amministrativo.
(Torna su   ) Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione sollevata dal ricorrente attiene all'individuazione del giudice al quale spetta la giurisdizione sulla domanda diretta ad ottenere l'accertamento del diritto alla protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e all'art. 2, lett. f), artt. 4 e 5 della direttiva 2004/83/CE del consiglio europeo in data 29 aprile 2004, essendo incontroversa la giurisdizione del tribunale adito in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato e alla domanda subordinata di riconoscimento del diritto di asilo, ai sensi dell'art. 10 Cost., comma 3 (Cass. n. 4764/1997, 907/1999, 5055/2002, 8423 e 11441/2004).
Sostiene il ricorrente che, anche alla stregua della citata direttiva del consiglio europeo, attuata solo con il D.Lgs. n. 251 del 2007, entrato in vigore il 19 gennaio 2008 successivamente alla proposizione del ricorso davanti al tribunale di Roma, ma da ritenersi efficace anche per il periodo anteriore in quanto self executing, la situazione giuridica soggettiva dello straniero che chieda la concessione della protezione umanitaria sulla base delle norme indicate, ha consistenza di diritto soggettivo costituzionalmente protetto, costituendo una delle forme di realizzazione del diritto di asilo previsto dall'art. 10 Cost., comma 3 e avendo natura di diritto umano fondamentale, in quanto attiene alla vita e all'incolumità fisica della persona, e come tale oggetto di protezione alla stregua degli obblighi internazionali (convenzione di Ginevra del 1951 e CEDU). L'amministrazione, quindi, avrebbe solo il potere di accertare la sussistenza dei requisiti obiettivi per la concessione della protezione umanitaria, nell'esercizio di un potere vincolato o al massimo di mera discrezionalità tecnica. Ne deriverebbe che quando, come nella specie, non sia proposta impugnazione del rifiuto o della revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per la quale il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, prevede la giurisdizione del giudice amministrativo, ma domanda di mero accertamento del diritto alla protezione umanitaria, insieme con la domanda diretta a ottenere la dichiarazione del diritto allo status di rifugiato o del diritto all'asilo, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.
2. Giova innanzi tutto rilevare che la fattispecie oggetto del presente giudizio è diversa da quella sulla quale queste sezioni unite si sono pronunciate con le ordinanze n. 7933 e 8270 del 2008.
Infatti nei precedenti citati si trattava di accertare a quale giudice spettasse la giurisdizione sull'impugnazione del provvedimento del Questore di allontanamento dello straniero, con implicito rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, a seguito di provvedimento negativo della commissione nazionale sulla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, mentre la presente controversia ha ad oggetto le domande di accertamento del diritto allo status di rifugiato o, in subordine, del diritto di asilo o, in ulteriore subordine, del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Deve anche precisarsi che la disciplina applicabile alla presente controversia, che evidentemente rientra in una categoria di giudizi destinati ad esaurirsi entro breve tempo, è dettata, innanzi tutto, dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e del relativo regolamento di attuazione di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, lett. d). Infatti, la L. 30 luglio 2002, n. 189, art. 34, comma 3, nel dettare la disciplina transitoria, ha disposto che la nuova disciplina del diritto d'asilo, e in particolare l'art. 32 che ha attribuito alle nuove commissioni territoriali il potere, anche officioso, di effettuare la valutazione (di natura tecnica, data la composizione delle commissioni stesse) dei presupposti per l'adozione dei provvedimenti di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, trovi applicazione dalla data di entrata in vigore (20 aprile 2005) del regolamento approvato con D.P.R. n. 303 del 2004, che, a sua volta, all'art. 21 espressamente prevede che le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, proposte anteriormente al 20 aprile 2005 sono decise in applicazione della disciplina precedente.
Il quadro normativo di riferimento, tuttavia, deve essere integrato anche con le norme costituzionali e internazionali alle quali, peraltro, fa espresso rinvio il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e pertanto, tenendo presenti, da un lato, l'art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3 e dall'altro, la convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, sullo statuto dei rifugiati, resa esecutiva con L. n. 722 del 1954 e il protocollo di New York del 31 gennaio 1967, nonchè l'art. 3 della convenzione europea dei diritti dell'uomo, che, nell'interpretazione datane dalla corte europea dei diritti dell'uomo (sent. 20 marzo 1991, Cruz Varas, 30 ottobre 1991, Vilvaraja), da ultimo con la sentenza 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia, impone agli Stati di offrire protezione agli stranieri che, se allontanati nei paesi d'origine, potrebbero essere sottoposti a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti, senza possibilità di bilanciare il diritto dello straniero con altri interessi, pur meritevoli di tutela, configgenti e quindi senza che sia possibile che tale obbligo subisca deroghe, sia pure per esigenze di sicurezza dello Stato Sul piano interpretativo, trattandosi di un testo ricognitivo dei valori e dei principi europei in materia di diritti fondamentali, può farsi riferimento all'analoga disciplina dettata dalla Carta di Nizza, parte integrante del trattato di Lisbona ratificato dall'Italia l'8 agosto 2008 ma in attesa delle ulteriori necessarie ratifiche da parte degli altri Stati dell'Unione (Corte Cost. n. 393/2006). La Carta, infatti, dopo aver ribadito la garanzia del diritto d'asilo (art. 18) ha previsto, come forma di protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione, il divieto di espulsioni collettive e quello di allontanamento, espulsione o estradizione verso gli Stati in cui esiste un rischio serio di essere sottoposti alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.
Infine, rileva nella specie anche la disciplina dettata con la direttiva 2004/83/CE del consiglio europeo, in data 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea n. 304 del 30 aprile 2004, se non in quanto direttamente applicabile nel diritto interno, già prima dell'attuazione disposta con il D.Lgs. n. 251 del 2007, quanto meno e certamente come criterio interpretativo della disciplina nazionale, in ossequio al noto principio dell'interpretazione conforme che impone al giudice statale di interpretare il diritto nazionale in modo da garantire la piena effettività delle direttive europee mediante il conseguimento del risultato dalle stesse perseguito (Cass. n. 27310/2008).
3. La questione di giurisdizione sottoposta all'esame di queste sezioni unite richiede la qualificazione della situazione giuridica soggettiva posta a base della domanda di accertamento del diritto al permesso di soggiorno umanitario proposta davanti al tribunale di Roma.
Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non definisce i seri motivi di carattere umanitario che limitano il potere di rifiutare o revocare il permesso di soggiorno allo straniero privo dei requisiti previsti da convenzioni o accordi internazionali. Al di là del generico rinvio alla disciplina del diritto internazionale umanitario, e cioè all'insieme dei trattati internazionali o delle regole consuetudinarie che, in caso di conflitti armati, di natura sia internazionale che interna, limitano il diritto delle parti in conflitto nella scelta dei mezzi o metodi di combattimento, proteggono le persone e i beni coinvolti o che rischiano di rimanere coinvolti nel conflitto, non sembra dubbio che i motivi di carattere umanitario debbano essere identificati facendo riferimento alla fattispecie previste dalle convenzioni universali o regionali che autorizzano o impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia anche nella costituzione, non solo per il valore del riconoscimento dei diritti inviolabili dell'uomo in forza dell'art. 2 Cost., ma anche perchè, al di là della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente nell'interpretazione (Corte cost. n. 388/1999).
La situazione giuridica soggettiva dello straniero che richieda il permesso di soggiorno per motivi umanitari, pertanto, gode quanto meno della garanzia costituzionale di cui all'art. 2 Cost., sulla base della quale, anche ad ammettere, sul piano generale, la possibilità di bilanciamento con altre situazioni giuridiche costituzionalmente tutelate (che, sulla base della giurisprudenza della corte di Strasburgo, dovrebbe escludersi nell'ipotesi in cui venga in considerazione il divieto di cui all'art. 27 Cost., comma 3, sostanzialmente corrispondente all'art. 3 CEDU), esclude che tale bilanciamento possa essere rimesso al potere discrezionale della pubblica amministrazione, potendo eventualmente essere effettuato solo dal legislatore, nel rispetto dei limiti costituzionali.
A tali conclusioni è pervenuta la giurisprudenza di questa Corte rispetto alle analoghe situazioni del diritto di asilo e di quello al riconoscimento dello status di rifugiato rispetto alle quali il provvedimento giurisdizionale non ha natura costitutiva, ma dichiarativa (Cass. n. 4764/1997, 907/1999, 5055/2002, 8423 e 11441/2004).
L'identità di natura giuridica del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo status di rifugiato e del diritto costituzionale di asilo, in quanto situazioni tutte riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali, trova riscontro nell'espressa disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, il quale individua la situazione che impone il divieto di espulsione e respingimento (e che pertanto legittima il diritto al soggiorno per un motivo che non può non definirsi di natura umanitaria) con riferimento alla possibilità che lo straniero subisca persecuzioni per le ragioni dalla norma indicate, con formulazione solo marginalmente diversa da quella utilizzata dalla convenzione di Ginevra per descrivere i presupposti per la concessione dello status di rifugiato. Nè contraddice tali rilievi la circostanza che, secondo un orientamento di questa corte (Cass., n. 4725/2007, 3732/2004), la disposizione dell'art. 19 dovrebbe essere letta in connessione con il successivo art. 20, il quale prevede, come limite all'apprezzamento del giudice l'avvenuta adozione del decreto del presidente del consiglio dei ministri, d'intesa con tutti i ministri interessati, di misure temporanee da adottarsi, anche in deroga della disciplina generale dell'immigrazione, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità.
Infatti, tale orientamento non appare univocamente seguito (v.
infatti Cass. n. 16417/2007, che ha ritenuto del tutto autonomo l'accertamento della sussistenza del fatto persecutorio) e ha formato oggetto di persuasivi rilievi da parte della dottrina la quale ha evidenziato che l'art. 20 riguarda situazioni collettive ed autorizza deroghe alla ordinaria disciplina dell'immigrazione in favore della generalità di soggetti nei cui confronti si siano verificati gli eventi indicati nella disposizione, mentre l'art. 19 ha ad oggetto situazioni meramente individuali.
L'identità della natura giuridica di tutte le situazioni soggettive inquadrabili nella categoria dei diritti umani fondamentali, che deve essere affermata sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina interna vigente ancor prima del 20 aprile 2005, ha, inoltre, trovato espressa conferma nelle norme interne di attuazione delle direttive 2004/83/CE e 2005/85/CE, di cui, rispettivamente, al D.Lgs. n. 251 del 2007 e D.Lgs. n. 25 del 2008 (parzialmente modificato con il D.Lgs. n. 159 del 2008). L'art. 32 del primo testo normativo ha attribuito le valutazioni relative ai presupposti per la concessione dei permessi di soggiorno umanitari alle stesse commissioni territoriali competenti per l'accertamento dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato e la concessione della "protezione sussidiaria" di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. e), mentre art. 34, ha stabilito l'equivalenza degli effetti delle dette misure di "protezione sussidiaria" e dei permessi di soggiorno per ragioni umanitarie. Appare evidente che la ratio di entrambe le norme è individuabile proprio nell'accertata identità di natura delle situazioni giuridiche e che la nuova disciplina appare, sul punto, avere più una funzione ricognitiva e chiarificatrice che innovativa. In conclusione, la situazione giuridica dello straniero che richieda il rilascio di permesso per ragioni umanitarie ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali con la conseguenza che la garanzia apprestata dall'art. 2 Cost., esclude che dette situazioni possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidata solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell'esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazione costituzionalmente tutelate riservate al legislatore.
4. La giurisdizione sui diritti umani fondamentali, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, spetta al giudice ordinario.
In senso contrario non appare decisivo il disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 10, che attribuisce al giudice amministrativo la cognizione dei ricorsi contro i provvedimenti di cui all'art. 5.
In primo luogo, infatti, l'art. 5 disciplina una pluralità di fattispecie rispetto alle quali non sono ravvisabili ostacoli di ordine costituzionale all'attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo. Inoltre la fattispecie di cui all'art. 5, comma 6 è assolutamente generica e si riempie di contenuti solo mediante rinvio a norme, interne o di diritto internazionale generale o convenzionale, aventi un oggetto più preciso. Tra le norme alle quali la generica formulazione dell'art. 5 fa rinvio viene in considerazione certamente l'art. 19 che, descrivendo in modo puntuale i presupposti per la concessione dei permessi di soggiorno nelle situazioni corrispondenti ai divieti di espulsione e respingimento, esclude un potere discrezionale della pubblica amministrazione che deve solo accertare l'esistenza dei circostanze di fatto indicate dalla norma, con la conseguenza che i ricorsi avverso i provvedimenti che negano i permessi di soggiorno nelle fattispecie di cui all'art. 19 dovranno essere proposti davanti al giudice ordinario, anche per ragioni letterali, in quanto l'art. 6 si riferisce ai provvedimenti adottati sulla base della diversa norma di cui all'art. 5.
Del pari di permesso di soggiorno per motivi umanitari (probabilmente per tutelare la riservatezza degli stranieri in favore dei quali è concesso) parla altresì il D.P.R. n. 394 del 1999, art. 27, comma 2, con riferimento ai permessi che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18, indica come rilasciati per motivi di protezione sociale.
In secondo luogo evidenti ragioni di rispetto del principio di ragionevole durata dei giudizi, di cui all'art. 111 Cost., impedisce di attribuire a giudici appartenenti a plessi giurisdizionali diversi la cognizione di situazioni giuridiche tra loro strettamente connesse, come quelle sulle quali si basa la domanda di asilo o di riconoscimento dello status di rifugiato e quella diretta a ottenere la protezione per ragioni umanitarie. Infatti la giurisprudenza amministrativa largamente prevalente (cons. Stato, sez. 6^, n. 3835/2005, n. 6765/2005, 6761/2005, T.A.R. Lazio 11 luglio 2006, n. 5379; in senso contrario, implicitamente cons. Stato sez. 6^, n. 2868/2006), nella vigenza della disciplina anteriore al 20 aprile 2005, ha affermato che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario l'impugnazione dell'intimazione a lasciare il territorio, con implicito rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pronunciata dal Questore nei confronti dello straniero la cui domanda di riconoscimento dello status di rifugiato sia stata respinta, trattandosi di provvedimento consequenziale alla valutazione negativa della commissione nazionale, fondata sulla mera discrezionalità tecnica, e impugnabile davanti allo stesso giudice ordinario per espressa previsione legislativa. Infatti, l'atto del Questore si inserisce in un unico procedimento, che inizia con la richiesta rivolta alla commissione e termina con l'ordine di allontanamento, con la conseguenza che sarebbe priva di giustificazione razionale un sistema che, affermando esplicitamente la giurisdizione del giudice ordinario sull'atto della commissione, la negasse rispetto all'atto meramente consequenziale, costringendo inoltre lo straniero a promuovere due giudizi davanti a giudici diversi aventi se non lo stesso r oggetto, oggetti strettamente connessi.
Vero è che in altre occasioni queste sezioni unite (Cass. n. 7933 e 8270/2008) hanno invece ritenuto sussistere la giurisdizione amministrativa, ma a tale conclusione sono pervenute in fattispecie diverse da quella oggetto del presente ricorso relative alla sola impugnazione dei provvedimenti del questore e sostanzialmente, sulla base dell'orientamento che presupponeva una lettura dell'art. 19, comma 1, in connessione con il successivo art. 20, che prevede un'ipotesi di valutazione certamente di natura politico- amministrativa, ma tale orientamento, come si è rilevato, non è pacifico, essendo contraddetto da una decisione della prima sezione civile di segno contrario e dalle critiche convincenti della dottrina. Per le indicate ragioni deve essere dichiarata la giurisdizione del tribunale di Roma.
La parziale novità della questione giustifica la compensazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La corte dichiara la giurisdizione del tribunale di Roma e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 13 gennaio 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2009
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