srl unipersonale la responsabilità del socio unico



Con riferimento a srl unipersonale, la giurisprudenza ha avuto modo di occuparsi in prevalenza dei limiti entro cui predicare la responsabilità del socio unico per le obbligazioni sociali, responsabilità illimitata che, lo si ricorda, era prevista dagli artt. 2362 e 2497 cc come conseguenza del venir meno della pluralità dei soci.
L'adeguamento agli obblighi comunitari ha, come noto, reso invece possibile la costituzione di srl unipersonali escludendo la natura patologica di tale vicenda.
A norma degli artt. 2342 e 2464 cc le società di capitali unipersonali ab origine debbono avere il capitale sociela interamente versato al momento dell'atto costitutivo; le società che invece diventino successivamente unipersonali debbono provevdere, nei novanta giorni, ad eseguire per intero i conferimenti.
La natura unipersonale della srl o della spa va indicata nella corrispondenza e deve esserne data pubblicità mediante iscrizione nel registro delle imprese conseguendo, alla mancata iscrizione, la responsabilità solidale del socio unico per le obbligazioni sorte nel periodo di detenzione dell'intero capitale sociale (cfr. gli artt. 2362, 2470 e 2550 cc).
Infine i contratti tra la società e l'unico socio e le operazioni a favore di questo devono risultare dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio d'amministrazione ovvero da atto scritto di data certa attesa, in difetto, l'inopponibilità ai creditori che abbiano eseguito un pignoramento anteriore (cfr. gli artt. 2362 e 2478 cc)
Tornando alal giurisprudenza formatasi con riferimento alla normativa previgente, essa ha avuto modo di specificare la natura della responsabilità concorrente del socio unico precisando, a tale ultimo scopo, non essere sufficiente il semplice inadempimento della società ma essendo necessaria la sua insolvenza. L'obiettivo della norma, ha chiarito la Corte, è quello di affiancare la responsabilità del socio unico a quella della società ma non quello di confonderne i patrimoni (cfr. cass Civ 22 ottobre 2003, n 15793).
La Suprema Corte ha anche chiarito che la norma che prevede la responsabilità illimitata del socio unico va ritenuta eccezionale ed insuscettibile di applicazione analogica pur essendo consentita la dimostrazione della natura meramente apparente del socio di minoranza.

Cass Civ 31 gennaio 2008, n 2422

In tema di responsabilità illimitata dell'azionista socio unico di società per azioni in caso di insolvenza della società, l'art. 2362 c.c. (nel testo vigente anteriormente al d.lg. n. 6 del 2003), esige per le obbligazioni sociali che esse siano sorte quando le azioni appartenevano al predetto socio, secondo una norma eccezionale che deroga al principio della responsabilità esclusiva dell'ente; ne consegue che, pur essendo essa inapplicabile per analogia a fattispecie diverse, la concentrazione del capitale - secondo una nozione diversa da quella di mera titolarità - ben può coincidere con il caso in cui vi sia apparentemente un socio di minoranza, essendo l'intestazione delle azioni a nome di quest'ultimo fittizia o fraudolenta ovvero se ne provi la veste di mandatario di quello di maggioranza, mentre non ricorre nella diversa vicenda, non sovrapponibile, del dominio di un socio sulla società intesa come impresa sociale, per la cui evenienza l'eventuale violazione delle regole di corretta gestione trova rimedi diversi nelle azioni di responsabilità. (Il principio, specificato dalla S.C. nel senso della necessità della mancanza di una pluralità di soci in senso giuridico e non economico, ha trovato applicazione al caso di società partecipata da socio persona giuridica al 99,60% a sua volta controllante totalitario di altra società, socio di minoranza, avendo il giudice di merito, con apprezzamento di fatto insindacabile, esclusa la prova del rapporto diretto tra socio di maggioranza e totalità delle azioni).

L'art. 2362 c.c. (nel testo vigente anteriormente al d.lg. n. 6 del 2003), contiene una norma eccezionale che deroga al principio della responsabilità esclusiva dell'ente; ne consegue che, pur essendo essa inapplicabile per analogia a fattispecie diverse, la concentrazione del capitale - secondo una nozione diversa da quella di mera titolarità - ben può riscontrarsi nel caso in cui vi sia apparentemente un socio di minoranza, se l'intestazione delle azioni a nome di quest'ultimo sia fittizia o fraudolenta ovvero se ne provi la veste di mandatario di quello di maggioranza, mentre la medesima concentrazione non ricorre nella diversa vicenda, non sovrapponibile, del dominio di un socio sulla società intesa come impresa sociale, onde l'eventuale violazione delle regole di corretta gestione trova rimedi diversi nelle azioni di responsabilità.

L'"appartenenza" di tutte le azioni ad una sola persona, che l'art. 2362 c.c., testo previgente, considera come presupposto per attribuire in caso di insolvenza della società all'unico azionista la responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte nel periodo in cui è rimasto unico, implica la mancanza di una pluralità in senso giuridico e non già in senso economico
 
 
 
 
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La E.L.E.A. s.p.a. (infra, Elea), con citazione del 29 marzo 1994, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo l'E.S.P.I. s.p.a., Ente Siciliano Promozione Industriale (di seguito Ente), deducendo d'essere creditrice della Mesvil s.p.a., dichiarata fallita con sentenza del 18 ottobre 1993, della somma di L. 1.300.000.000, per l'espletamento di attività relativa alla formazione ed alla ricerca in ambito regionale, L'attrice esponeva che l'Ente era titolare del 99,601 del capitale sociale della Mesvil s.p.a.; la residua quota, pari allo 0,40%, era detenuta dalla Finedil s.p.a., società il cui capitale era interamente posseduto dall'Ente.
L'Elea chiedeva che fosse dichiarata nulla, ex art. 1344 c.c., la partecipazione della Finedil s.p.a. nella Mesvil s.p.a., in quanto preordinata ad eludere la responsabilità dell'Ente, ai sensi dell'art. 2362 c.c., con condanna del medesimo a pagare la somma di L. 1.300.000.000, della quale era debitrice la Mesvil s.p.a..
L'Ente si costituiva nel giudizio contestando la fondatezza della domanda.
Il Tribunale ordinava l'integrazione del contraddittorio nei confronti della Finedil s.p.a. e del Fallimento della Mesvil s.p.a.
Il Curatore del fallimento della Mesvil s.p.a. si costituiva nel giudizio aderendo alla domanda dell'attrice; restava contumace la Finedil s.p.a..
Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 16 dicembre 1999, rigettava la domanda.
2.- Avverso detta pronuncia proponeva appello l'Elea, chiedendo in sua riforma l'accoglimento della domanda.
Nel giudizio di secondo grado si costituiva l'Ente, contestando la fondatezza del gravame.
La Finedil s.p.a. e la Mesvil s.p.a. restavano contumaci.
La Corte d'appello di Palermo, con sentenza del 9 aprile 2005, rigettava il gravame, condannando l'Elea alle spese del grado.
La Corte territoriale premetteva che l'art. 2362 c.c. è applicabile anche nel caso in cui socio unico sia una società di capitali e la società partecipata versi in stato di insolvenza, non qualora anche una sola azione sia posseduta da un diverso soggetto, salvo che sia dimostrato il carattere fittizio dell'intestazione "o, comunque, che il terzo sia un mandatario del socio e possegga per lui". L'art. 2362 c.c., erogando al principio che comporta l'imputabilità alla società di capitali dei soli atti posti in essere dalla medesima, ha infatti carattere eccezionale e non è applicabile per analogia.
Pertanto, la circostanza che lo 0,40 % del capitale sociale della Mesvil s.p.a. era detenuto dalla Finedil s.p.a. era sufficiente a fare escludere l'applicabilità dell'art. 2362 c.c., non rilevando in contrario che quest'ultima società fosse interamente controllata dall'Ente.
La disciplina della partecipazione delle società di capitali è, infatti, fondata sulle nozioni di collegamento e di controllo, il secondo dei quali è alla base del "gruppo" di società che, tuttavia, non è disciplinato, fatta eccezione per i profili del conflitto di interessi e della responsabilità della società capogruppo per le obbligazioni assunte dalle controllate.
Secondo la Corte territoriale, "se la società capogruppo è l'unica azionista della società - figlia il problema è legislativamente risolto dall'art. 2362 c.c.; altrimenti non esiste una soluzione legislativa"; nella specie, la questione posta non concerneva il controllo esercitato dall'Ente sulla controllata Finedil s.p.a., "ma quello asseritamente esercitato, anche a mezzo della società controllata, sulla Mesvil s.p.a.".
La sentenza riteneva che l'applicabilità dell'art. 2362 c.c. richiedeva di accertare il carattere fittizio della partecipazione della quale era titolare la Finedil s.p.a., ovvero che questa fosse mera mandataria dell'Ente, circostanze entrambe dedotte dall'appellante soltanto in via presuntiva e correttamente escluse dal Tribunale.
A conforto di tale conclusione, il giudice d'appello deduceva anzitutto che per il primo anno di attività era stato nominato amministratore della Mesvil s.p.a. l'amministratore unico della Finedil s.p.a., "nonostante azionista di minoranza, ribadendo l'autonomia giuridica della società controllata (Finedil) rispetto alla controllante (Espi) e non potendo negare che anche la società controllata fosse portatrice di propri interessi giuridicamente rilevanti".
Inoltre, escludeva la rilevanza di una lettera di patronage dell'Ente in favore della Mesvil e dell'ordine rivolto all'amministratore di detta società di onorare gli impegni assunti, non equivalendo la prima ad una fideiussione e contenendo una mera promessa del fatto del terzo, produttiva di un obbligo nei confronti del destinatario non di tutti i terzi.
3.- Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso l'Elea, affidato a due motivi; ha resistito con controricorso l'Ente; non ha svolto attività difensiva il Curatore del Fallimento della Mesvil s.p.a.
Questa Corte, con ordinanza del 20 aprile 2007, ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti della Finedil s.,p.a. effettuata, nei termini, dalla Elea, mediante notificazione dell'atto di integrazione del contraddittorio alla Iniziative Industriali s.p.a, incorporante della Finedil s.p.a., che non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- La ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1344, 2362 c.c..
A suo avviso, la ratio di quest'ultima norma è di evitare che lo schema della s.p.a. sia utilizzato per eludere il principio della responsabilità illimitata. La nozione di appartenenza delle azioni nelle mani di un unico socio posta dalla disposizione è stata interpretata nelle più remote sentenze di questa Corte restrittivamente, in quanto intesa come titolarità formale delle azioni in capo ad un unico soggetto, salva la possibilità di dimostrare il carattere fittizio e fraudolento della intestazione di alcune azioni ad un diverso soggetto.
In seguito, due sentenze hanno ritenuto la norma riferibile anche al caso in cui il socio dominante sia titolare dell'intero capitale sociale della società che, a sua volta, sia socio della controllata (Cass. n. 5143 del 1982; n. 6712 del 1982), affermando che l'art. 2362 c.c. -norma eccezionale insuscettibile di interpretazione per analogia- è direttamente applicabile quando sia accertato il carattere fittizio o fraudolento della partecipazione di minoranza (Cass. n. 2879 del 1985).
Secondo l'Elea, il giudice del merito ha erroneamente ritenuto il termine "appartenenza" utilizzato nell'art. 2362 c.c. equivalente a "titolarità". L'interpretazione restrittiva dell'art. 2362 c.c. renderebbe la finzione della pluralità dei soci un mezzo di elusione della responsabilità, indebolendo la tutela del creditore e per essa dovrebbe, ad esempio, ritenersi la norma inapplicabile qualora il capitale sociale sia detenuto da un socio e da una società fiduciaria al quale questi abbia affidato la residua parte del capitale sociale. E' questa la fattispecie decisa da una sentenza del Tribunale di Milano, della quale la ricorrente riporta alcuni brani, per sostenere che la nozione corretta di "appartenenza" è quella che permette di applicare la norma in tutti i casi nei quali il socio "è in grado sostanzialmente e formalmente di esprimere in assemblea un voto unico", così da realizzare la tutela dei creditori.
L'Elea sostiene che l'Ente ha operato come una holding, abusando del privilegio della responsabilità limitata, che, come hanno evidenziato alcune sentenze di merito può essere sanzionata mediante l'applicazione della direttiva 89/667/CEE - recepita con il D.Lgs. n. 88 del 1993 - che avrebbe permesso all'interprete di liberarsi "dell'inutile orpello linguistico e concettuale della persona giuridica", impostando "la questione dell'abuso della responsabilità limitata nei termini del rispetto o meno delle regole di organizzazione dettate dal sistema per ciascuna tipologia societaria".
In definitiva, la norma sarebbe applicabile nel caso in cui il socio, anche in presenza di una pluralità di soci, abbia sostanzialmente assunto la totalità della partecipazione, dando vita ad un unico centro di interessi e ad una totale identificazione del proprio patrimonio con quello sociale, dato che la concentrazione delle azioni nelle mani di un unico soggetto fa venire meno la giustificazione della limitazione della responsabilità.
La circostanza che il capitale sociale della Mesvil s.p.a. era posseduto quanto al 99,60% dall'Ente e per la residua parte dalla Finedil s.p.a. - a sua volta, controllata al 100% dall'Ente - comporterebbe l'illiceità della causa ex art. 1344 c.c. del negozio di sottoscrizione del capitale sociale della Mesvil s.p.a. da parte della Finedil s.p.a. per un quota pari allo 0,40%, essendo desumibile l'intento fraudolento sia dall'entità della partecipazione, sia "dalla mancanza di ogni autonomia decisionale di Finedil in Mesvil in mano ad un unico azionista con potere decisionale di unico voto".
La ricorrente, con il secondo motivo, denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in quanto la sentenza ha escluso il carattere fittizio e fraudolento della partecipazione di Finedil s.p.a., valorizzando che l'amministratore di detta società era stato nominato amministratore della Mesvil s.p.a., per il primo anno di attività, circostanza irrilevante, stante la mancanza di autonomia di Finedil s.p.a., totalmente posseduta dall'Ente.
In questo modo, "la Corte d'appello ha omesso l'esame dei numerosi fatti via via richiamati e comprovati con documentazione dall'Elea nel corso del giudizio, dai quali poteva dedursi l'intestazione fittizia e fraudolenta dei titoli azionari". Siffatte circostanze, a suo avviso, "esaminate in una visione unitaria, e quindi nel quadro di una corretta metodologia induttiva, sono in grado di rivelare appieno il loro valore indiziario della denunciata frode alla legge".
In definitiva, il possesso da parte dell'Ente della totalità delle azioni della Finedil s.p.a., l'esiguità della partecipazione da questa detenuta nella Mesvil s.p.a. ed il suo disinteresse per l'attività di tale società, la costante partecipazione dell'Ente alla vita della Mesvil s.p.a. (sul punto il ricorso testualmente espone: "si richiama la fase della costituzione stessa di Mesvil ed in particolare la integrale predeterminazione dei contenuti dell'accordo societario in seno al solo Espi come attestato dalla delibera 25.07.1983 del Consiglio di amministrazione dell'Ente allegato all'atto di costituzione") e la radicale eterogeneità dell'oggetto sociale di Finedil s.p.a. rispetto a quello di Mesvil s.p.a. conforterebbero la sua tesi.
Infine, la Corte territoriale non avrebbe attribuito la giusta rilevanza alla lettera di patronage del 7 maggio 1993 inviata dall'Ente all'Assessorato regionale all'industria, nonchè alla Mesvil s.p.a., recante un vero e proprio ordine indirizzato al liquidatore di quest'ultima, di onorare gli impegni assunti con detto assessorato, che sarebbe sintomatica del dominio integrale dell'Ente sulla società partecipata.
2.- I motivi, da esaminare congiuntamente, perchè logicamente e giuridicamente connessi, sono infondati e vanno rigettati.
2.1.- Le censure devono essere decise in applicazione delle norme e dei principi concernenti la società per azioni quali stabiliti dal codice civile anteriormente alle modificazioni introdotte dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qui applicabili ratione temporis.
2.2.- La questione posta dalla ricorrente con il primo motivo concerne l'interpretazione dell'art. 2362 c.c., il quale, nel caso di insolvenza della società, prevede la responsabilità illimitata del socio per le obbligazioni sociali sorte nel periodo "in cui le azioni risultano essere appartenute ad una sola persona" e richiede di stabilire quale sia la nozione di "appartenenza" posta dalla norma.
2.2.1.- La questione non è nuova ed è stata più volte affrontata e risolta da questa Corte, con una serie di pronunce che hanno dato luogo ad un orientamento consolidato, che ha enunciato i seguenti principi:
a) la personalità giuridica della società di capitali e la sua autonomia patrimoniale perfetta comportano l'esclusiva imputabilità alla medesima degli atti compiuti e dell'attività svolta in suo nome, quindi della responsabilità patrimoniale per le obbligazioni assunte, con la conseguenza che l'art. 2362 c.c., nello stabilire la responsabilità illimitata dell'unico azionista per le obbligazioni sociali, costituisce norma eccezionale, che deroga al principio della responsabilità esclusiva della società ed è, quindi, inapplicabile per analogia a fattispecie diverse da quella prevista (per tutte, Cass. n. 10129 del 2005; n. 2053 del 1999; n. 411 del 1994; n. 2879 del 1985; n. 5143 del 1982);
b) l'art. 2362 c.c. è applicabile nell'ipotesi in cui tutte le azioni di una società sono concentrate nelle mani di un unico socio, sia esso persona fisica o persona giuridica (così - superando la soluzione negativa incidentalmente affermata da Cass. n. 848 del 1971 - a partire da Cass. S.U. n. 6594 del 1981, ribadita, tra le altre, da Cass. S.U. n. 1088 del 1986; Cass. n. 10129 del 2005; n. 2053 del 1999; n. 411 del 1994; n. 2879 del 1985);
c) l'art. 2362 c.c., presuppone la mancanza di una pluralità di soci in senso giuridico, non meramente economico (Cass. n. 10129 del 2005;n. 2053 del 1999; n. 4111 del 1994; n. 5143 del 1982; ma nello stesso senso sono tutte le sentenze citate supra ed infra);
d) la "appartenenza", in senso economico, non equivale quindi alla "titolarità" delle azioni in capo ad una stessa persona (fisica o giuridica) e perciò, nel primo caso, nonostante sussista una eadem ratio, non è applicabile per analogia l'art. 2362 c.c. (Cass. n. 10129 del 2005), neppure quando il socio di trovi in posizione dominante riguardo agli effetti patrimoniali della gestione societaria (Cass. n. 2053 del 1999;n. 5143 del 1982; n. 4577 del 1976);
e) la nozione di "appartenenza" in senso giuridico e non meramente economico posta dalla norma comporta, tuttavia, che l'art. 2362 c.c. è applicabile - direttamente, non per analogia - qualora soltanto apparentemente vi sia un socio di minoranza (Cass. n. 7064 del 1987;n. 2879 del 1985; n. 7152 del 1983; n. 5143 del 1982; n. 4577 del 1976).
2.2.2.- A questo orientamento va data continuità, in quanto il principio sub a) è saldamente fondato sulla considerazione che la regola dell'art. 2740 c.c. concerne in modo indifferenziato le persone fisiche ed i centri di imputazione di situazioni giuridiche caratterizzati, in relazione alla disciplina della responsabilità, da un' autonomia patrimoniale perfetta, e non soffre eccezioni rispetto a questi ultimi per le obbligazioni dagli stessi assunte; in riferimento alle società dotate di personalità giuridica, la regola generale rispetto ai soci è, invece, quella della responsabilità limitata. Pertanto, le due norme (artt. 2740 e 2362 c.c.) non interferiscono tra loro, nè si pongono in rapporto di regola ad eccezione; la responsabilità generale della società e quella limitata del socio per le obbligazioni assunte dalla prima sono infatti, rispettivamente, coerenti con il sistema generale e quello particolare concernente le società, ponendo la seconda una eccezione alla regola generale della responsabilità limitata del socio della società di capitali.
La limitazione della responsabilità dei soci non costituisce, inoltre, un beneficio e neppure è uno strumento intrinsecamente elusivo della regola generale della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.), ma è "un effetto che si raggiunge de iure mediante la costituzione di un ente sociale dotato di personalità giuridica", al fine di conseguire uno "scopo lecito e meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico" (Cass. n. 4577 del 1966), reso possibile mediante l'enunciazione di una regola ritenuta indispensabile per assicurare lo sviluppo dell'economia, rafforzata dalla evoluzione normativa mediante la progressiva eliminazione della sua necessaria correlazione con la presenza di una pluralità di soci, bilanciata dalla introduzione di regole dirette a garantire i creditori.
Tuttavia, lo schema ritenuto dal legislatore meritevole di tutela è suscettibile di essere utilizzato quale mezzo per una illecita limitazione della propria responsabilità, divenendo in tal modo un'insidia per i creditori, qualora la società risulti, in realtà, un'impresa individuale mascherata al solo fine di eludere la responsabilità ex art. 2740 c.c.. La questione che la limitazione della responsabilità del socio ha posto è, quindi, di bilanciare siffatta regola, ritenuta strumentale allo sviluppo economico, e l'esigenza di scongiurare che la stessa divenga un mezzo per una illecita elusione della responsabilità da parte dell'imprenditore individuale.
Il bilanciamento è stato realizzato dal legislatore mediante la regola dell'art. 2362 c.c. il quale, nell'ordinamento anteriore al D.Lgs. n. 6 del 2003, è stato interpretato da questa Corte enunciando i principi sub c), d) ed e), che questo Collegio ritiene di dovere fare propri (principio sub b) è stato condiviso dalla sentenza impugnata e dalla ricorrente, quindi non è necessario approfondirlo).
La lettera della disposizione e la sua strumentalità rispetto agli scopi di evitare che la limitazione della responsabilità possa costituire "un'insidia per i creditori" e di porre termine alle "incerte questioni che oggi si dibattono per raggiungere un tale risultato" (Relazione al codice n. 943) rendono chiaro che con essa si è inteso impedire l'uso distorto di detta limitazione, e ciè è stato realizzato facendo riferimento alla posizione del socio in quanto tale, indipendentemente dalla circostanza che si sia ingerito o meno nella gestione.
La norma stabilisce, infatti, la responsabilità dell'unico azionista per il caso, e per la sola circostanza, che a lui risultino appartenere tutte le azioni. La responsabilità è cioè condizionata da questa appartenenza, rispetto alla quale è irrilevante che egli si sia servito delle azioni per il governo delle società, ovvero che la società sia stata o meno amministrata nell'osservanza delle regole stabilite dal codice civile. In particolare, come bene è stato osservato, la sovranità rilevante ai fini dell'art. 2362 c.c. non è quella esercitata sulla società come impresa sociale, bensì quella che il socio vanta sulla totalità delle azioni. Pertanto, ciò impone di distinguere la posizione del socio da quella del gestore del patrimonio, restando netta la differenza tra il caso di appartenenza di tutte le azioni ad un unico socio ed il caso del socio il quale, avvalendosi di una posizione di supremazia - che può sussistere a prescindere dal possesso di tutte le azioni - agisce violando le regole della corretta gestione; in quest'ultima ipotesi sono infatti altri gli strumenti predisposti per sanzionare la violazione delle regole (nel sistema ratione temporis qui considerato, le azioni di responsabilità ex artt. 2392 ss. c.c., l'art. 2409 c.c., l'art. 2621 c.c.).
La norma non riguarda perciò il versante della gestione della società. L'utilizzazione del termine "appartenenza" in luogo di quello "titolarità", da un canto, rende chiara la necessità di avere riguardo alla riconducibilità delle azioni ad un unico soggetto; dall'altro, alla luce dell'intento di sanzionare l'ipotesi nella quale manca la pluralità dei soci, esprime la volontà del legislatore di comprendere nella fattispecie, accanto al caso della formale intestazione delle azioni da parte di un unico socio, anche quelli in cui, attraverso intestazioni fittizie o altri mezzi fraudolenti, sia possibile ricondurre tutte le azioni ad un unico soggetto. Tanto comporta che l'art. 2362 c.c. è applicabile - direttamente, non per analogia - quando sia accertata la mancanza della pluralità dei soci quale effetto dell'acquisto di azioni attraverso meri mandatari dell'unico socio (Cass. n. 2879 del 1985;n. 6712 del 1982; n. 5143 del 1982), ovvero dell'intestazione fiduciaria di titoli azionari, strumentalmente realizzata allo scopo di sottrarre il fiduciante alla responsabilità illimitata, e cioè quando sia dimostrata la natura fittizia o fraudolenta dell'intestazione delle azioni (secondo un principio affermato già da Cass. n. 2602 del 1970 e che risale a Cass. n. 571 del 1953).
Infatti, benchè l'art. 2362 c.c., non enunci alcun divieto, pone il precetto che vieta di utilizzare l'ente societario come strumento per l'esercizio dell'impresa individuale (non rilevando le innovazioni normative non applicabili alla presente fattispecie), al fine di evitare di rispondere delle obbligazioni con tutto il patrimonio, quindi contiene una norma imperativa, suscettibile di essere elusa con il ricorso alla frode contrattuale, sanzionabile con la nullità del negozio in frode alla legge (artt. 1344 e 1418 c.c., comma 2) (Cass. n. 3266 del 1986; v. anche Cass. n. 2879 del 1985).
Il termine appartenenza esprime, dunque, la volontà del legislatore di comprendere nell'art. 2362 c.c., oltre l'ipotesi della formale intestazione delle azioni in capo ad un unico socio anche e soltanto quelle in cui, attraverso intestazioni fittizie o altri mezzi fraudolenti, l'appartenenza effettiva delle azioni è riconducibile ad un unico socio. Peraltro, la disciplina delle ipotesi nelle quali rileva il fenomeno dell'appartenenza sostanziale, stabilita in materia di controllo, impone questa esegesi, in quanto dalla medesima si evince che la stessa non realizza una riduzione ad unità della pluralità di società, non produce la identificazione delle società, nè l'assorbimento dell'una nell'altra, risultando stabiliti l'ambito e gli effetti rilevanti nel caso di controllo, così da rendere inevitabile affermare che l'art. 2362 c.c., concerne il solo caso in cui manchi la pluralità dei soci sotto il profilo giuridico, non sotto quello economico, ovvero di dominio gestionale.
La norma non è quindi applicabile nei casi nei quali manchi un effettivo rapporto tra il socio e le azioni, realizzato in modo diretto e l'appartenenza sia realizzata in modo mediato, attraverso altra società soggettivamente distinta dalla prima (Cass. n. 2879 del 1985), ciò che ha fatto escludere l'applicabilità della norma nel caso in cui una persona giuridica abbia il controllo totalitario di una s.p.a., in quanto possiede al 100% le società titolari delle azioni della medesima (Cass. n. 5143 del 1982;n. 6712 del 1982; v.
anche Cass. n. 10129 del 2005, per un caso di partecipazione indiretta analogo a quello qui in esame). Infatti, nel quadro di un ordinamento caratterizzato dalla formale personalità giuridica, dal principio dell'autonomia dei patrimoni riferibili ai diversi soggetti e dalla limitazione delle responsabilità dei soci, la norma in esame rende chiaro che il legislatore, quando ha inteso attribuire rilievo anche all'appartenenza in senso economico (ovvero sostanziale) lo ha fatto, senza modificare le regole generali in tema di personalità e responsabilità (Cass. n. 5143 del 1982).
2.3.- Siffatti principi sono condivisi da questo Collegio, che ritiene di dovere dare continuità all'orientamento che li ha espressi in riferimento alle norme qui applicabili ratione temporis, con conseguente infondatezza del primo motivo.
La Corte territoriale ha infatti dato puntuale applicazione a detti principi la cui validità non è infirmata dalle censure svolte dalla Elea, che non ha svolto argomenti nuovi rispetto a quelli già sino ad ora valutati da questa Corte, in grado di fare rimeditare l'indirizzo sopra ripercorso.
Pertanto, una volta escluso che il controllo da parte dell'Espi della Finedil (e cioè della società titolare della residua parte del capitale sociale della Mesvil), fosse sufficiente a far ritenere che tutte le azioni della Mesvil "appartenevano" all'Ente, questa conclusione avrebbe potuto essere affermata dimostrando la natura fittizia o fraudolenta di detta intestazione, oppure che la Finedil era mera mandataria dell'Espi.
2.4.- La Corte territoriale ha escluso che la ricorrente abbia offerto tale prova, con motivazione che resiste alle censure svolte nel secondo motivo.
Al riguardo, va ricordato che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si configura solo quando nel ragionamento del giudice del merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, non potendo detto vizio consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (per tutte, Cass. n. 15264 del 2007; n. 13242 del 2007; n. 2272 del 2007), diversamente risolvendosi il relativo motivo in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito, al quale neppure può imputarsi d'avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi (Cass. n. 15096 del 2005; n. 996 del 2003; n. 3904 del 2000).
Inoltre, relativamente alla prova per presunzioni (che è quella invocata dall'Elea) occorre ribadire che la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l'esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto, che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (Cass. n. 11906 del 2003; n. 5526 del 2002;n. 12422 del 2000), non essendo proponibili in questa sede le doglianze dirette a porre in discussione la fondatezza della presunzione e la sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (tra le tante, Cass, n. 1216 del 2006).
La sentenza impugnata ha esposto che il carattere fittizio della partecipazione e la natura di mera mandataria della Finedil sono state "dedotte in via esclusivamente presuntiva" dall'Elea ed escluse dal Tribunale "con argomentazioni pienamente condivisibili". Secondo la Corte territoriale, la circostanza che "il potere di rappresentanza ed amministrazione della Mesvil venne attribuito all'amministratore unico della Finedil" sarebbe espressivo della autonomia giuridica di quest'ultima e della impossibilità di "negare che anche la società controllata fosse portatrice di propri interessi giuridicamente rilevanti". Inoltre, ha escluso che una lettera di patronage dell'Ente, relativa alla Mesvil e in favore dell'Assessorato regionale all'Industria, e l'ordine rivolto all'amministratore di detta società di onorare gli impegni assunti fossero rilevanti, non equivalendo la prima ad una fideiussione e contenendo una mera promessa del fatto del terzo, suscettibile di comportare l'assunzione di un obbligo nei confronti del destinatario non, genericamente, di tutti i terzi. Gli unici due elementi che risultano addotti dalla ricorrente sono stati dunque valutati in modo sintetico, ma completo, e nelle argomentazioni non si rinvengono incoerenze o incongruenze logiche sindacabili in questa sede, non essendo nè irragionevole, nè illogico che la seconda, benchè espressiva dell'ovvio interesse dell'Ente alla gestione della società, sia stata ritenuta, di per sè, non significativa delle circostanze che la ricorrente doveva provare, mentre la prima sia stata reputata sostanzialmente neutra.
A fronte di queste argomentazioni, la ricorrente ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe "omesso l'esame dei numerosi fatti via via richiamati e comprovati con documentazione dall'Elea nel corso del giudizio, dai quali poteva addursi l'intestazione fittizia e fraudolenta dei titoli azionari", senza indicare, in violazione del principio di autosufficienza, quali sarebbero questi elementi, riproducendoli ed indicando la sede in cui nel fascicolo d'ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità sarebbero rinvenibili (tra le più recenti, Cass. n. 12239 del 2007). Ancora in violazione del principio di autosufficienza, l'Elea neppure ha poi indicato quali sarebbero gli elementi che comproverebbero il "totale disinteresse" della Finedil e l'eterogeneità dell'oggetto sociale di Finedil s.p.a. rispetto all'attività svolta da Mesvil.
In buona sostanza, gli unici elementi specificamente individuati, che la ricorrente asserisce che sarebbero stati male valutati, consistono nella qualità di unico azionista della Finedil da parte dell'Ente e nell'entità della partecipazione in Mesvil da parte della Finedil, nonchè in un "ordine" dato al liquidatore della Mesvil ed in una lettera di patronage.
Tuttavia, per quanto sopra esposto, le prime costituiscono circostanze di per sè non univocamente concludenti, perchè non permettono, da sole, di desumere il carattere fittizio dell'intestazione o la qualità di mera mandataria della Finedil, che era ciò che invece occorreva dimostrare.
Relativamente agli ulteriori elementi, a fronte della motivazione della sentenza impugnata la censura, consistendo nella affermazione che la Corte territoriale avrebbe "omesso di dare alla stessa il giusto valore" e che la stessa conterrebbe un vero e proprio "ordine" al liquidatore di onorare gli impegni, da un canto, si risolve nella inammissibile contrapposizione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella offerta dalla sentenza impugnata;
dall'altro, neppure evidenzia illogicità ed incongruenze della motivazione, posto che non è irragionevole ricondurre entrambi gli elementi all'interesse del socio alla modalità di gestione della società, escludendone la significatività a conforto della tesi dell'interposizione fittizia o della natura di era mandataria della Finedil.
In definitiva, l'Elea, nel censurare la motivazione della pronuncia, si è limitata a riproporre le stesse doglianze già svolte in sede di appello (cfr. pg. 7 della sentenza) che involgono un apprezzamento di fatto e, peraltro, a fronte della loro equivocità e scarsa sintomaticità neppure ha indicato quegli ulteriori, eventuali elementi, che non sarebbero stati valutati, suscettibili, in tesi, di dimostrare che la totalità delle azioni di Mesvil "appartenevano" all'Ente, nel senso dianzi indicato.
2.5.- Le spese di questa fase seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare la spese della presente fase, che liquida in complessivi 12.100,00 Euro, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2008
art 2478 cc

libri sociali obbligatori (1).
[I]. Oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti nell'articolo 2214, la società deve tenere:
1) (2)
2) il libro delle decisioni dei soci, nel quale sono trascritti senza indugio sia i verbali delle assemblee, anche se redatti per atto pubblico, sia le decisioni prese ai sensi del primo periodo del terzo comma dell'articolo 2479; la relativa documentazione è conservata dalla società;
3) il libro delle decisioni degli amministratori;
4) il libro delle decisioni del collegio sindacale nominato (3) ai sensi dell'articolo 2477.
[II]. I libri indicati nei numeri 2) e 3) del primo comma devono essere tenuti a cura degli amministratori; il libro indicato nel numero 4) del primo comma deve essere tenuto a cura dei sindaci (4).
[III]. I contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro indicato nel numero 3 del primo comma o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.

art 2470 cc
Efficacia e pubblicità (1).
[I]. Il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento del deposito di cui al successivo comma (2).
[II]. L'atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito è effettuato a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni (3).
[III]. Se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l'iscrizione nel registro delle imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.
[IV]. Quando l'intera partecipazione appartiene ad un solo socio o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro (4) delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato (5) di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio.
[V]. Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle imprese.
[VI]. L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.
[VII]. Le dichiarazioni degli amministratori previste dai commi quarto e quinto devono essere depositate entro trenta giorni dall'avvenuta variazione della compagine sociale (6).

art 2464 cc

[I]. Il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all'ammontare globale del capitale sociale.
[II]. Possono essere conferiti tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica.
[III]. Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro.
[IV]. Alla sottoscrizione dell'atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro e l'intero soprapprezzo o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. Il versamento può essere sostituito dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione (2) bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; in tal caso il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fideiussione (2) con il versamento del corrispondente importo in danaro.
[V]. Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione.
[VI]. Il conferimento può anche avvenire mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l'intero valore ad essi assegnato, gli obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d'opera o di servizi a favore della società. In tal caso, se l'atto costitutivo lo prevede, la polizza o la fideiussione possono essere sostituite dal socio con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in danaro presso la società.
[VII]. Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati nei novanta giorni.

Unico azionista (1).
[I]. Quando le azioni risultano appartenere ad una sola persona o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato (2) di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio.
[II]. Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle imprese.
[III]. L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.
[IV]. Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti commi devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di iscrizione.
[V]. I contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.
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