Obbligo di iscrizione alla Cassa Geometri

 

 

Obbligo di iscrizione alla Cassa Geometri

La Cassazione si pronuncia, per la prima volta, sulla legittimità delle fonti regolamentari che hanno modificato i presupposti dell'obbligo di iscrizione alla Cassa Geometri affermandone l'illegittimità per contrasto con la fonte primaria - art. 22 l. n. 773 del 1982

tutti gli approfondimenti tematici sulla previdenza dei geometri 

Con delibera di natura regolamentare del Comitato dei Delegati in data 27/5/2002 e 27/11/2002, e approvata con d.m. 27.2.03, la Cassa ha incisivamente innovato i presupposti di fatto integranti l’obbligo di iscrizione all’associazione, in particolare, estendendo tale obbligo: a) a carico dei geometri iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria (per i quali, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 773 del 1982, l’iscrizione sarebbe stata facoltativa) e b) a carico dei geometri esercenti la libera professione, senza continuità.

L’art. 22 della l. n. 773 del 1982 all’art. 22 della l. n. 773 del 1982 stabilisce, invece, che: “l' iscrizione alla Cassa é obbligatoria per gli iscritti agli albi professionali dei geometri, che esercitano la libera professione con carattere di continuità, se non iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria [e che] “l’iscrizione alla Cassa è facoltativa per geometri iscritti a forme di previdenza obbligatoria o beneficiari di altra pensione, in conseguenza di diversa attività da loro svolta, anche precedentemente alla iscrizione all’albo professionale.”  

Secondo la Cassa, l’art. 5 dello Statuto, nel quale risultano trasfuse le suddette modifiche dei presupposti dell’obbligo di iscrizione, avrebbe legittimamente abrogato il previgente art. 22 della l. n. 773 del 1982 in quanto il d.lgs. n. 509/94 avrebbe sostanzialmente delegificato la materia consentendo all'autonomia regolamentare delle casse di previdenza privatizzate anche l'innovazione di tale parte della disciplina della materia.
 
Non esiste, però, specifica norma primaria che autorizzi la Cassa Geometri ad estendere la platea dei suoi associati. L’art. 3 lett. b) del d.lgs. n. 509/94 prevede, infatti, solo la possibilità per gli enti privatizzati di emanare “le delibere in materia di contributi e prestazioni, sempre che la relativa potestà sia prevista dai singoli ordinamenti vigenti”. Con l’art. 5 dello Statuto, la Cassa ha deliberato l’estensione della platea dei propri associati e, quindi, innovato anche la disciplina degli obblighi contributivi che discendono dall’obbligo associativo ma in tale specifica materia la l. n. 773/1982 non attribuiva alcuna facoltà alla cassa. Il successivo art. 3, comma 12 della l. n. 335 del 1995 non ha previsto alcuna facoltà, per gli enti previdenziali privatizzati, di estendere l’obbligo associativo a soggetti precedentemente esonerati o non contemplati dall’ordinamento previdenziale.
 
Quindi, la Cassa sembrerebbe avere emanato una norma regolamentare in carenza di potere in quanto: 1) l’oggetto della delibera non avrebbe potuto essere innovato dalla Cassa in base all’ordinamento previdenziale vigente prima del d.lgs. n. 509/94; 2) la Cassa non avrebbe, conseguentemente, potuto deliberare, in tale materia, ai sensi dell’art. 3 lett. b del d.lgs. n. 509/94; 3) le fonti di normazione primaria successive non hanno autorizzato e/o legittimato l’intervento regolamentare della Cassa.
 
A tale conclusione, di recente, sono pervenute sia la Corte di Appello di Perugia – rel Presidente Alessandra Angeleri – sia la Corte di Appello di Torino con le sentenze n. 87 del 7 giugno del 2018 la prima e con sentenza n. 974 depositata l’8 gennaio del 2018, richiamata adesivamente dalla Corte perugina, la seconda (così come, già in precedenza, la Corte d’Appello dell’Aquila sent. 24/17 e ancor più di recente la Corte di Appello di Milano – sent. n. 1586 del 9 ottobre del 2018 – rel Presidente Monica Vitali).
 
La Corte di Appello di Perugia ha, in particolare, evidenziato che “…nel deliberare la modifica dell’art. 5 dello statuto, la CIPAG ha evidentemente ritenuto che l’autonomia conferitale dalle disposizioni legislative richiamate comprendesse anche il potere di dettare regole in merito ai requisiti per l’iscrizione obbligatoria dei geometri alla Cassa stessa. Quell’autonomia, però, doveva necessariamente esplicarsi nel rispetto delle leggi, mentre la nuova formulazione dell’art. 5 contrastava palesemente con l’art. 22 della legge n. 773/1982, il quale, come si è visto, condizionava l’iscrizione alla Cassa – obbligatoria o facoltativa – all’esercizio della libera professione “con carattere di continuità”, requisito sicuramente non soddisfatto nel caso dell’odierno appellato, lavoratore dipendente, che si era limitato a compiere quattro atti di variazione catastale, riguardanti immobili della datrice di lavoro, senza percepire alcun compenso. Del resto, il testo originario dell’art. 3, comma 12 della legge n. 335/1995, vigente all’epoca della modifica dell’art. 5 dello statuto della CIPAG, prevedeva che gli enti previdenziali privatizzati potessero adottare “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”, tutto ciò, in attuazione dell’art. 2, comma 2, al fine di assicurare l’equilibrio di bilancio della gestione economico-finanziaria. L’ambito dei provvedimenti che gli enti potevano assumere non si estendeva, quindi, alla disciplina dei requisiti d’iscrizione, che, pertanto, continuava a essere regolata dalla legge, nel caso specifico dei geometri, dalla legge n. 773 del 1982. Peraltro, neppure il testo dell’art. 3, comma 12 modificato dalla legge n. 296/2006 (vigore dal 1° gennaio 2007), pur se riferito più genericamente ai “provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine”, autorizza a ritenere corretta l’interpretazione omnicomprensiva propugnata dall’appellante: in realtà, non può certo ritenersi funzionale a quella salvaguardia l’imposizione dell’obbligo contributivo a soggetti che, non esercitando in via continuativa la professione, non potranno avanzare pretese di prestazioni previdenziali, potenzialmente idonee a mettere a repentaglio l’equilibrio finanziario dell’ente. Questo, in buona sostanza, dipende dal “rapporto equilibrato tra contributi e prestazioni previdenziali”, che la legge delega del 1993 prescriveva al governo di assicurare con i decreti attuativi, ed è evidente che quel rapporto riguarda soltanto i soggetti che matureranno il diritto alla pensione nei confronti dell’ente privatizzato, non anche i lavoratori dipendenti, iscritti all’FPLD dell’assicurazione generale obbligatoria…”. 
 
Nel medesimo senso, la Corte di Appello di Torino, in una controversia analoga a quella in esame, ha evidenziato che “L’autonomia degli enti, quindi, incontra i limiti imposti – oltre che dalla stessa disposizione che la prevede (art. 2 D.Lgs 509/1994), anche – dalla previsione specifica (nel secondo periodo dell’art. 3, comma 12, L. 335/1995) dei provvedimenti che gli enti possono adottare in funzione dell’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio. Si tratta, come sopra riportato, dei “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riiparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata”. Ne risulta, quindi, la definizione dei tipi di provvedimento da adottare – identificati in base al loro contenuto (“variazione delle aliquote contributive, ... riparametrazione dei coefficienti di rendimento ... ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”) – e della imposizione del “rispetto del principio del pro rata”: coerentemente, l’autonomia degli enti previdenziali privatizzati può esercitarsi unicamente nella scelta di uno di quei provvedimenti (che costituiscono “una sorta di numerus clausus”: così Cass. 22240/2004) ed, in ogni caso, nel rispetto del principio del pro rata. Esula, pertanto, dal novero dei provvedimenti adottabili dalle Casse privatizzate qualsiasi deliberazione (quali, nella specie, le delibere del 27.5.2002 e del 27.11.2002 del Comitato dei delegati della Cassa Geometri, approvate con D.M. 27.2.2003, che hanno, tra l’altro, modificato l’art. 5 dello Statuto) che introduca il principio di iscrizione automatica alla Cassa per tutti i geometri iscritti agli Albi professionali, a prescindere dalla continuità e dall’esclusività dell’esercizio della professione (in contrasto con – ed in intenzionale superamento del – il previgente principio dell’iscrizione obbligatoria alla Cassa per i geometri iscritti agli Albi professionali che esercitino la libera professione con continuità, se non iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria, ex art. 22 L. 773/1982). Tali deliberazioni, evidentemente, non costituiscono né una “variazione delle aliquote contributive”, né una “riparametrazione dei coefficienti di rendimento”; ma esse non costituiscono neppure un nuovo “criterio di determinazione del trattamento pensionistico”, perché non si limitano a modificare la misura (il quantum) dei trattamenti pensionistici degli iscritti ma pretendono di modificare i presupposti per il riconoscimento del diritto (l’an) al trattamento pensionistico, innovando i presupposti dell’iscrizione obbligatoria alla Cassa e, pertanto, modificando l’estensione della platea degli assicurati. Esse si pongono, quindi, in contrasto palese con il consolidato orientamento della S.C. secondo cui i poteri attribuiti alle casse privatizzate «riguardano i criteri di determinazione della misura dei trattamenti pensionistici – peraltro con una severa protezione delle situazioni in via di maturazione (cfr. il criterio del pro rata) – e non anche i requisiti per l’accesso ai medesimi o per la loro concreta fruizione” (Cass. 17783/2005: giurisprudenza costante, da ultimo v. Cass. 7516/2017).

Va, infine, sottolineato che ad analoghe conclusioni è pervenuta, da ultimo, la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 5375 del 2019. Con tale ultima pronuncia la Corte ha chiarito che  la normativa regolamentare della Cassa non poteva "introdurre una deroga al disposto dell'art. 22, comma 2, l. n. 773/1982...ridefinendo le regole relative alla iscrizione alla Cassa eliminndo le categorie delgi iscritti facoltativi ossia di coloro che, iscritti all'albo, potevano scegliere di essere o non essere iscritti anche alla Cassa. La violazione del disposto dell'art. 22 cit comporta, pertanto, l'illegittimità della citata disposizione regolamentare”.
 
In conclusione, alla luce delle autorevolissime pronunce sopra richiamate, sembra doversi affermare che l’art. 5 dello Statuto ha illegittimamente ampliato la platea dei soggetti tenuti ad iscriversi e a contribuire alla Cassa e che pertanto i presupposti dell’insorgenza dell’obbligo di iscrizione e contribuzione alla Cassa Geometri, disapplicata la norma regolamentare illegittima, debbono tuttora essere considerati quelli di cui all’art. 22 della l. n. 773 del 1982, norma questa che, come visto, stabilisce che: “l' iscrizione alla Cassa é obbligatoria per gli iscritti agli albi professionali dei geometri, che esercitano la libera professione con carattere di continuità, se non iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria [e che] “l’iscrizione alla Cassa è facoltativa per geometri iscritti a forme di previdenza obbligatoria o beneficiari di altra pensione, in conseguenza di diversa attività da loro svolta, anche precedentemente alla iscrizione all’albo professionale.
 
RICHIEDI CONSULENZA