discarica abusiva necessaria la colpa



In ipotesi di discarica abusiva l'ordinanza del comune di rimozione dei rifiuti deve motivare sul requisito della colpa del proprietario

Con la sentenza n 4614 del 16 luglio 2010, il Consiglio di Stato ha affermato che a mente dell'art. 14, comma 3 del d.lgs. n 22 del 5 febbraio 1997, ora art. 192, comma 3 del d.lgs. n 152 del 3 aprile 2006, anche laddove sia accertata la sussistenza di una discarica abusiva, non è legittima l'ordinanza emessa dal comune nei confronti del proprietario del sito inquinato, laddove la stessa non motivi, anche solo in via indiziaria, in ordine al requisito della colpevolezza del proprietario cui sia stata notificata l'ordinanza stessa.

Il Consiglio di Stato ha, al riguardo, osservato che, ancorchè la norma preveda la responsabilità solidale del proprietario con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, cionondimeno il requisito indefettibile per l'affermazione della responsabilità di un qualsivoglia soggetto tra quelli individuati dalla norma è la riferibilità soggettiva della condotta almeno a titolo di colpa.

In tal senso, non è escluso che la colpa possa essere inferita da indizi, che dovranno tuttavia essere indicati dal Comune che emetta ordinanza di sgombero a pena d'illegittimità dell'ordinanza.


Consiglio Stato  sez. V 16 luglio 2010 n. 4614



A differenza di quanto previsto per la bonifica dei siti inquinati, per la rimozione dei rifiuti non è stato previsto dal legislatore alcun onere reale a carico del proprietario, che possa giustificare l'emanazione dell'ordinanza anche nei suoi confronti. Sussiste, quindi, la necessità dell'accertamento della colpa del proprietario che è, peraltro, affermata anche dalla giurisprudenza più recente, nel senso che in tema di abbandono di rifiuti, sebbene l'art. 14, comma 3, d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22 (applicabile "ratione temporis") preveda la corresponsabilità solidale del proprietario o dei titolari di diritti personali o reali di godimento sull'area ove sono stati abusivamente abbandonati o depositati rifiuti, solo in quanto la violazione sia agli stessi imputabile a titolo di dolo o colpa, tale riferimento va inteso, per le sottese esigenze di tutela ambientale, in senso lato, comprendendo, quindi, qualunque soggetto che si trovi con l'area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli - e per ciò stesso imporgli - di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente; per altro verso, il requisito della colpa postulato da tale norma può ben consistere nell'omissione delle cautele e degli accorgimenti che l'ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un'efficace custodia. Tuttavia, è illegittimo l'ordine di rimuovere e smaltire i rifiuti -costituiti da fusti e bidoni lesionati ed arrugginiti contenenti residui di lavorazione industriale, stoccati su terreno se mancano elementi per poter accertare anche tale responsabilità "in senso lato", in quanto il Comune non ha fornito indizi concreti per poter addebitare ai proprietari dell'area una qualche omissione. Peraltro, la responsabilità omissiva non può farsi derivare, come sostenuto dal comune, dall'assenza di atti idonei a rimuovere i rifiuti, in quanto la condotta della rimozione dei rifiuti si pone come conseguenza dell'accertamento della responsabilità, e la sua assenza non può costituire un antecedente logico di tale accertamento.



FATTO e DIRITTO

1. I signori G. e M. C. A. impugnavano l'ordinanza del Sindaco di Genova n. 328 dell'11.6.1998, avente ad oggetto l'ordine di rimuovere e smaltire i rifiuti -costituiti da fusti e bidoni lesionati ed arrugginiti contenenti residui di lavorazione industriale, stoccati su terreno di loro proprietà.
Con sentenza n. 1232/2000 il Tar della Liguria accoglieva il ricorso, ritenendo che - ai sensi dell'art. 14, comma 3 del D. lgs. n. 22/97 - il soggetto obbligato ad effettuare lo smaltimento dei rifiuti non sarebbe il proprietario dell'area ove gli stessi sono stati accumulati, bensì il responsabile effettivo dell'abuso, che, nel caso di specie, sarebbe stato l'affittuario, successivamente deceduto.
Il comune di Genova ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.
I signori G. e M. C. A. si sono costituiti in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.
All'odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. L'oggetto del presente giudizio è costituito da una contestazione concernente il soggetto obbligato a provvedere alla rimozione e allo smaltimento di rifiuti rinvenuti su un determinato fondo.
Il giudice di primo grado ha ritenuto che, in base all'art. 14, comma 3 del D. lgs. n. 22/97, il proprietario del terreno su cui sono stati abbandonati i rifiuti è responsabile dell'abuso, in solido con il soggetto che ha commesso il fatto illecito - ed eventualmente da solo se quest'ultimo resta sconosciuto - esclusivamente allorquando, ai fini della commissione dell'illecito, gli si possa imputare un comportamento doloso o colposo, non riscontrato nel caso di specie.
Il Comune di Genova contesta tale statuizione e deduce che:
- non è mai stato accertato che lo stoccaggio dei fusti sul terreno in questione sia avvenuto ad opera del signor Paggi, precedente conduttore del bene;
- sussisterebbe una responsabilità dei proprietari quanto meno sotto il profilo dell'omessa vigilanza e dell'omissione di atti idonei a rimuovere i rifiuti pericolosi;
- è erroneo il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, ad un precedente sfavorevole per il Comune dello stesso Tar, in quanto la sentenza n. 795/98 si limita a dichiarare la improcedibilità in relazione ad altro ricorso;
- il Tar ha omesso di valutare l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo rado per omessa notificazione agli eredi del signor Paggi.
Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono prive di fondamento.
Innanzitutto, va rilevato che l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado non può essere condivisa, in quanto con detto ricorso è stata impugnata una ordinanza lesiva nei confronti degli odierni appellati, in relazione alla quale non sussiste alcuna effettiva posizione di controinteresse, non potendo derivare tale situazione dalla mera proposizione di un motivo, con cui si sostiene l'assenza di responsabilità nello stoccaggio dei rifiuti e che tale responsabilità sarebbe già stata accertata in capo ad altro soggetto.
L'accoglimento del motivo, infatti, determina l'accertamento dell'assenza di responsabilità dei proprietari e non può essere idoneo a fare stato nei confronti di altri soggetti.
Ciò premesso, si rileva che il principio di diritto, affermato dal Tar, è corretto, alla luce del contenuto dell'art. 14, del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, che stabilisce che "L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati" e che "Fatta salva l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 50 e 51, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa".
Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato che, ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, sono illegittimi gli ordini di smaltimento di rifiuti abbandonati in un fondo che siano indiscriminatamente rivolti al proprietario del fondo stesso in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta (Cons. Stato, V, n. 1612/2009; n. 807/2008; VI, n. 4525/2005; V, n. 136/05; n. 323/05).
Peraltro, a differenza di quanto previsto per la bonifica dei siti inquinati, per la rimozione dei rifiuti non è stato previsto dal legislatore alcun onere reale a carico del proprietario, che possa giustificare l'emanazione dell'ordinanza anche nei suoi confronti.
La necessità dell'accertamento della colpa del proprietario è, peraltro, affermata anche dalla giurisprudenza più recente, richiamata dal comune appellante all'odierna discussione; è stato rilevato che, in tema di abbandono di rifiuti, sebbene l'art. 14, comma 3, d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (applicabile "ratione temporis") preveda la corresponsabilità solidale del proprietario o dei titolari di diritti personali o reali di godimento sull'area ove sono stati abusivamente abbandonati o depositati rifiuti, solo in quanto la violazione sia agli stessi imputabile a titolo di dolo o colpa, tale riferimento va inteso, per le sottese esigenze di tutela ambientale, in senso lato, comprendendo, quindi, qualunque soggetto che si trovi con l'area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli - e per ciò stesso imporgli - di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente; per altro verso, il requisito della colpa postulato da tale norma può ben consistere nell'omissione delle cautele e degli accorgimenti che l'ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un'efficace custodia. (Cassazione civile , sez. un., 25 febbraio 2009 , n. 4472, in fattispecie relativa ad ordinanza nei confronti di un consorzio di bonifica per provvedere alla rimozione, all'avvio al recupero, allo smaltimento ed alla messa in sicurezza dei rifiuti depositati lungo un fiume).
Nel caso di specie, tuttavia, mancano elementi per poter accertare anche tale responsabilità "in senso lato", in quanto il Comune non ha fornito indizi concreti per poter addebitare ai proprietari dell'area una qualche omissione.
In primo luogo, tale responsabilità omissiva non può farsi derivare, come sostenuto dal comune, dall'assenza di atti idonei a rimuovere i rifiuti, in quanto la condotta della rimozione dei rifiuti si pone come conseguenza dell'accertamento della responsabilità, e la sua assenza non può costituire un antecedente logico di tale accertamento.
Con riguardo all'omessa vigilanza va rilevato in primo luogo che risulta che siano stati gli stessi proprietari a presentare formale denuncia all'autorità giudiziaria nei confronti del responsabile dello stoccaggio.
Inoltre, con sentenza del Tribunale penale di Genova n. 3997/05 gli odierni appellati sono stati assolti per non aver commesso il fatto dall'imputazione di aver realizzato sul loro terreno una discarica di rifiuti; il giudice penale ha evidenziato che gli elementi raccolti non consentivano di accertare la responsabilità dei proprietari dell'area; che dalle testimonianze era emerso che l'attività degli imputati di natura immobiliare non aveva alcun nesso con le caratteristiche dei rifiuti abbandonati e che la presentazione della menzionata denuncia costituisce ulteriore indice della buona fede dei proprietari e dell'assenza di addebitabilità dello stoccaggio dei rifiuti.
In presenza di tale accertamento non sono sufficienti a dimostrare la responsabilità delle parti appellate le considerazioni svolte (in astratto) dal Comune circa l'omessa vigilanza, in quanto si tratta di argomentazioni che condurrebbero sempre ad addossare la responsabilità solidale ai proprietari dei beni, mentre - come già evidenziato - la disciplina - ratione temporis applicabile - richiedeva l'accertamento della colpa.
Risultano, dunque, ininfluenti le questioni sollevate dall'appellante circa il contenuto della precedente sentenza del Tar e circa l'assenza di un definitivo accertamento della responsabilità del signor Paggi (nel frattempo deceduto), in quanto ciò che rileva è unicamente l'insussistenza dei presupposti per accertare la colpa e, quindi, la responsabilità dei proprietari.
Deve, quindi, essere confermato l'annullamento dell'atto impugnato, disposto dal Tar.
3. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.
In considerazione della peculiarità in fatto della controversia, ricorrono i presupposti per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2010 con l'intervento dei Signori:
Calogero Piscitello, Presidente
Filoreto D'Agostino, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere, Estensore
Roberto Capuzzi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 16 LUG. 2010.



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