interessi diffusi diritto di accesso e diritto di informazione

 Nota a margine della Plenaria del Consiglio di Stato in merito ai limiti al diritto di accesso per la tutela degli interessi diffusi facenti capo ad associazioni consumeristiche - il labile confine tra diritto di accesso e diritto di informazione

A cura di

Francesco Ferrara

avvocato del Foro di Palermo

 

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Nonostante la completezza e l’ampiezza della disciplina normativa, e la copiosa giurisprudenza amministrativa, il diritto di accesso continua ad essere oggetto di sentenze il cui merito è quello di sedare le due opposte spinte che si muovono intorno a questo istituto: la ritrosia di certe amministrazioni, da un lato, ed il tentativo di abusare di tale diritto da parte di cittadini ed associazioni.

I fatti da cui trae origine la sentenza in epigrafe possono essere così sintetizzati: il Codacons, nota associazione di consumatori, chiedeva alla SIAE (società italiana autori ed editori) di potere esercitare il diritto di accesso sulle delibere assembleari con le quali era stata disposta la proposizione di un’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del consiglio di amministrazione della SIAE  che aveva disposto di investire importi di notevole entità di titolarità della SIAE nell’acquisto di obbligazioni emesse dalla Lehman Brothers. L’istanza di accesso veniva tuttavia rifiutata dalla SIAE.

La legittimità di tale diniego veniva, tuttavia, confermata dal TAR Lazio – innanzi al quale il Codacons aveva proposto ricorso – sulla base del difetto di legittimazione attiva del richiedente.

Come è noto, infatti, il diritto di accesso non è esercitabile da chiunque indiscriminatamente, ma occorre che chi richiede di conoscere (sia mediante la semplice visione che estrazione) un documento amministrativo dimostri di avere un interesse “personale e concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale si è chiesto l’accesso” (art. 22, comma 1, della l. 241 del 1990).

La norma (modificata con la novella del 2005, l. n. 15) codificando un ampio e consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi negli anni sull’istituto in esame ha inteso precisare che l’esercizio del diritto di accesso non equivale all’esercizio di un azione popolare, dovendo l’istante dimostrare la sussistenza di un proprio interesse qualificato, non necessariamente coincidente con una situazione giuridica soggettiva.

Il quadro normativo di riferimento – con riferimento alla fattispecie in esame – è poi completato da altre due norme, che qui rapidamente si richiamano, l’art. 24, comma 3, della medesima legge n. 241 citata, in base al quale “non sono ammissibili istanze di accesso, preordinate ad un controllo generalizzato delle pubbliche amministrazioni” e l’art. 26 della legge 7 dicembre 200 n. 383 (disciplina delle associazioni di promozione sociale) – che qui si riporta di seguito per completezza espositiva – che stabilisce che “alle associazioni di promozione sociale è riconosciuto il diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui all’articolo 22, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

 2. Ai fini di cui al comma 1 sono considerate situazioni giuridicamente rilevanti quelle attinenti al perseguimento degli scopi statutari delle associazioni di promozione sociale.

Nella fattispecie portata all’attenzione dei giudici di Palazzo Spada, il Codacons – in quanto soggetto portatore di un interesse collettivo o diffuso dei consumatori – si riteneva legittimato a conoscere i documenti riguardanti la posizione finanziaria dell’ente.

Il Consiglio di Stato – respingendo l’appello – ha negato il diritto di accesso del Codacons ritenendo che lo stesso non avesse un interesse qualificato, nel senso indicato dalla normativa sul diritto di accesso. Afferma, infatti, il giudice di appello che il patrimonio della Siae viene gestito nell’esclusivo interesse degli associati e pertanto il Codacons, in quanto rappresentante di una vasta ed indifferenziata platea di consumatori ed utenti del diritto di autore non è legittimato ad esercitare il diritto di accesso.

La pronuncia appare pienamente coerente con il dato normativo e si pone sul solco della giurisprudenza sviluppatasi negli anni sulla legittimazione al diritto di accesso delle associazioni portatrici di interessi diffusi.

Alcuni precedenti giurisprudenziali

Il limite del controllo preventivo e generalizzato sull’attività della Pubblica Amministrazione è stato, anche di recente, oggetto di altre pronunce del Consiglio di Stato che qui di seguito si ricordano, per completezza informativa: 

Ø  Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5491 del ottobre 2011, (ricorrente il Codacons) nella quale si legge che “non è qualità sufficiente a legittimare un generalizzato interesse alla conoscenza di qualsivoglia documento riferito all’attività di un gestore del servizio o dell’esercente una pubblica potestà. Occorre piuttosto che perché il principio di trasparenza operi verso l’esterno, anche per tali figure sia sostenuto da un effettivo, attuale e concreto interesse alla conoscenza di atti che incidono in via diretta e immediata (in quanto collegati alla prestazione o alla funzione svolta).

È evidente perciò che grava sin dall’inizio in capo all’associazione che si assume rappresentativa, alla luce del generale principio dispositivo, un onere di individuazione e rappresentazione di siffatti specifici interessi su cui si basa l’istanza, e altresì che non si può ammettere che la domanda, se incompleta, inesatta o reticente, possa costituire oggetto di integrazioni o rettifiche”.

Ø  Consiglio di Stato, sez VI, n. 1402 del 2012 nella quale i giudici puntualizzano che la ratio del diritto di accesso è garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’amministrazione e non anche l’efficienza e l’efficacia del relativo operato, e pertanto non è ammissibile una richiesta di accesso finalizzata al controllo generalizzato in ordine alla corretta esecuzione di un contratto.

Ø  Consiglio di Stato, sez III, n. 2559 del 2012 nella quale riconoscendo il diritto di accesso di un sindacato dei lavoratori, i giudici non mancano di puntualizzare la necessità che il diritto di accesso si trasformi in una forma di controllo generalizzato della P.A.

Conclusioni

Ad una prima lettura, l’orientamento del Consiglio di Stato potrebbe apparire eccessivamente restrittivo, e quasi tale da vanificare l’esercizio del diritto di accesso da parte di associazioni ed enti rappresentativi di interessi diffusi.

Invero, come ha precisato lo stesso Consesso di giustizia amministrativa (da ultimo, sent. 2259 del 2012) il diritto di accesso va distinto dal più ampio diritto all’informazione al cui più ampio genus appartiene. Diverse ragioni: dalla tutela della riservatezza alla esigenza di tutelare l’ordinario svolgersi dell’attività amministrativa impongono, correttamente, di porre dei limiti all’esercizio del diritto di accesso.

Non bisogna, infatti, confondere il diritto alla trasparenza dell’amministrazione – che questa deve esercitare al meglio, mediante la pubblicazione sui siti istituzionali dei propri documenti di interesse generale, dal diritto di accesso che ha una caratterizzazione ontologicamente più personale, pena lo svilimento dello stesso.

La soluzione adottata dal Consiglio di Stato appare pertanto saggiamente equilibrata, nel senso più proprio della parola, perché tiene in debita considerazione il ruolo importante – e necessario per il corretto svolgersi della vita democratica – delle associazioni ma al contempo sottolinea come accanto al diritto alla conoscenza (riconducibile al diritto all’informazione: art. 21 cost.) coesistono altri valori di rango costituzionale e regole fondamentali dell’ordinamento giuridico che impongono che l’esercizio di un diritto sia subordinato alla dimostrazione dell’esistenza di una legittimazione.

 

Francesco Ferrara

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