Le autorizzazioni amministrative e la dichiarazione di inizio attività

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La disciplina dell'autorizzazione amministrativa e quella relativa al potere autorizzatorio della PA sono state di recente profondamente innovate dal legislatore con l'introduzione di meccanismi snelli per il conseguimento delle autorizzazioni amministrative (in particolare, nella L. n. 241/1990, viene previsto il meccanismo della dichiarazione di inizio attività di cui all'art. 19, con riferimento alle autorizzazioni vincolate e il meccanismo di cui all'art. 20 del silenzio assenso con riferimento alle autorizzazioni discrezionali).

Prima di esaminare quanto dispongono i succitati articoli in tema di dichiarazione di inizio attività e di silenzio assenso, è opportuno definire l'autorizzazione amministrativa come quel provvedimento che rimuove limiti all'esercizio di attività che formano oggetto di diritti soggettivi o di potestà pubbliche preesistenti. Le autorizzazioni amministrative si configurano, dunque, come provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del privato che condizionano l'esercizio di taluni suoi diritti. Sono figure analoghe all'autorizzazione amministrativa, le licenze (presupponenti la preesistenza di un diritto soggettivo dell'interessato), le abilitazioni e le registrazioni, i nulla osta, le dispense e le approvazioni.

L'art. 3 del D.L. n. 35/2005, convertito in legge n. 80/2005, in materia di autorizzazioni amministrative, novellando l'art. 19 della L. n. 241/1990, ha previsto che, in ogni caso in cui l'autorizzazione richiesta sia sostanzialmente vincolata all'accertamento della susistenza dei presupposti di fatto e di diritto prescritti dalla legge (o da atti di normazione secondaria), l'interessato possa presentare una dichiarazione di inizio attività (la D.I.A.) e possa intraprendere l'attività medesima decorso il termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione medesima, previa comunicazione d'inizio attività. Nel successivo termine di trenta giorni dalal comunicazione di inizio attività la PA potrà emettere provvedimenti motivati di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti. Tale termine potrà essere implementato di ulteriori trenta giorni ove sia necessario, i  merito all'istanza, acquisire pareri. Il privato ha, a sua volta, un termine, che non può essere inferiore a trenta giorni, per conformarsi ai parametri indicati dalla PA nel provvedimento di divieto di prosecuzione dell'attività.

In ogni caso, a fronte della dichiarazione di inizio attività, la PA mantiente il potere di assumere determinazioni in autotutela ex art. 21 quinquies e 21 nonies L. n. 241/1990.

Una prima questione che riguarda la dichiarazione di inizio attività attiene all'inquadramento giuridico dell'intera vicenda in quanto, a fronte di una tesi che ravvisa la sussistenza di un provvedimeno tacito di natura autorizzatoria, del che si trarrebbe conferma proprio dal riconosciuto potere di intervenire in autotutela a favore della PA, si pone una tesi secondo cui, nel procedimento disciplinato dall'art. 19 della L. n. 241 del 1990 non vi sarebbe alcuna forma d'esercizio di potere autoritativo da parte della PA, salvo il caso in cui essa inibisca l'esercizio dell'attività ovvero ne rimuova gli effetti e salvo, naturalmente, il caso in cui ponga in essere atti di revoca o d'annullamento in autotutela; peraltro, con riferimento a questi ultimi, il riferimento all'autotutela è, secondo tale tesi, da intendersi solo in senso atecnico come riguardante i presupposti per l'esercizio del relativo potere. 

Le due diverse opzioni conducono a conseguenze difformi sul piano della tutela giurisdizionale in quanto, seguendo la ricostruzione della vicenda procedimentale della DIA in termini di provvedimento tacito, il terzo pregiudicato sarebbe titolato ed onerato a ricorrere per l'annullamento di tale provvedimento nel termine di decadenza di sessanta giorni. Ove, invece, si opti per la natura esclusivamente privatistica del procedimento di DIA e per l'assenza di un'attività provvedimentale implicita, il terzo potrebbe solo sollecitare la PA ad esercitare il potere d'inibitoria o quello d'autotutela. In caso d'inerzia della PA a fronte di tale istanza, il terzo potrebbe, poi, esperire l'azione di cui agli artt. 2 e 21 bis della L.n. 241 del 1990 in materia di silenzio inadempimento. Secondo una tesi sostenuta di recente dalla VI° Sezione del Consiglio di Stato, la DIA sarebbe un procedimento che, in via ordinaria, non implicherebbe l'esercizio, neppure in forma implicita, di potestà pubblicistiche sicchè il terzo non avrebbe titolo ad impugnare un provvedimento amministrativo (inesistente) ma solo il potere di promuovere un'azione d'accertamento in merito all'illegittimità dell'attività svolta dal privato. Tale sentenza compulserebbe, poi, la PA ad agire in autotutela ex art. 19 della L. n. 241 del 1990.

L'art. 19 della L. n. 241 del 1990 novellato ha, dunque, sostanzialmente avvicinato l'istituto della DIA a quello del silenzio assenso tanto che una minoritaria dottrina ritiene che detti istituti possano essere sostanzialmente assimilati, salve le differenze dei campi applicativi e dei termini.

Sotto il profilo dell'ambito applicativo del modello procedimentale introdotto con la dichiarazione di inizio attività, il comma 1 dell'art. 19 della L. n. 241/1990 stabilisce che esso riguardi ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per iscrizioni in albi o ruoli per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale (autorizzazioni vincolate). Il comma 4 dell'art. 19 prevede, sotto forma d'eccezione alla disciplina generale della dichiarazione di inizio di attività, che permangono i diversi termini, previsti dalla normativa speciale, concernenti l'inizio dell'attività e l'adozione, da parte della PA di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti in determinati e specifici settori(costituisce disciplina speciale in materia, quella della licenza edilizia che trova la sua fonte nel D.P.R. n. 380/2001). Non si applica, inoltre, la disciplina della dichiarazione di inizio attività di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 ai procedimenti in materia di sicurezza pubblica, di immigrazione, di difesa nazionale, di tutela della salute, del paesaggio, dell'ambiente, nonchè in materia di amministrazione della giustizia e delle finanze e in materia di atti imposti dalla normativa comuniaria.

L'art. 20 della L. n. 241/1990 disciplina, sempre in tema di autorizzazioni amministrative, il silenzio assenso, stabilendo che nei procedimenti ad istanza di parte volti al conseguimento di un determinato provvedimento amministrativo, l'inerzia della PA che si protragga oltre i termini di cui all'art. 2, commi 2 e 3 assume il significato implicito di acoglimento dell'istanza. Anche in materia di silenzio assenso valgono le eccezioni per materia di cui all'art. 19, sicchè esso non si forma nei procedimenti in materia di sicurezza pubblica, di immigrazione, di difesa nazionale, di tutela della salute, del paesaggio, dell'ambiente, nonchè in materia di amministrazione della giustizia e delle finanze e in materia di atti imposti dalla normativa comuniaria.  La disciplina in materia di silenzio assenso non si applica, inoltre, in tutti i casi in cui il silenzio della PA assuma il significato di silenzio rigetto (cfr. l'art. 25 della L. n. 241 del 1990 in tema di istanze ostensive). Ulteriori procedimenti esclusi dall'ambito d'applicazione dell'art. 19 della L n. 241 del 1990 possono essere individuati con decreto della Presidenza del Consiglio su proposta del Ministro della Funzione Pubblica, di concerto con i ministri competenti. S ritiene, in ogni caso, che la norma di cui all'art. 20 della L. n. 241 del 1990 non legittimi, per un verso, il consolidamento di posizioni in favore del privato che sia privo dei requisiti legali per l'esercizio dell'attività o che abbia formulato un'istanza allegando circostanze false e, per altro verso, non sia applicabile, ex art. 97 cost, a quei procedimenti autorizzatori o concessori relativamente ai quali il privato non sia in grado di allegare tutti i fatti  e i documenti la cui acquisizione sia necessaria per l'adozione del provvedimento.

A fronte di un'istanza volta al conseguimento di un provvedimento amministrativo, dunque, la PA potrà, entro il termine di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 2 della L. n. 241 del 1990, emettere un provvedimento espresso di diniego ovvero indire una conferenza di servizi impedendo la formazione del provvedimento implicito d'assenso; in difetto potrà esclusivamente agire in forma di autotutela non potendo, in ogni caso, adottare il provvedimento di diniego tardivamente nè comportarsi come se l'autorizzazione implicita, con lo spirare del termine di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 2 della L. n. 241 del 1990, non vi sia stata.

La distinzione sostanziale tra le autorizzazioni di cui all'art. 19, in ordine alle quali viene prevista il procedimento della dichiarazione di inizio attività, e quelle di cui all'art. 20, in ordine alle quali viene previsto il procedimento del silenzio assenso, è che, mentre le prime hanno natura di autorizzazioni vincolate, le seconde sono di carattere discrezionale. Tra le differenze, in chiave procedimentale, mette conto segnalare che, secondo la prevalente dottrina, il preavviso di diniego di cui all'art. 10 bis sarebbe compatibile solo con il procedimento di silenzio assenso di cui all'art. 19 della L.n. 241 del 1990 e non con quello della DIA.

 

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