provvedimenti meramente confermativi

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Il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che cosa si intenda per provvedimento meramente confermativo e le conseguenze in tema di impugnative giudiziali

Con la recente pronuncia n 6878 del 15 settembre 2010, il Consiglio di Stato, con riferimento ad una pronuncia del TAR che aveva dichiarato improcedibile, per difetto di interesse, un primo ricorso giudziale avverso un provvedimento successivamente confermato ha avuto modo di riformare la sentenza di prime cure sul rilievo che il secondo provvedimento doveva ritenersi meramente confermativo e come tale non necessitante di alcuna autonoma impugnativa.
Il Collegio ha ricordato che il provvedimento amministrativo ha natura meramente confermativa allorchè tenga ferme le statuizioni in precedenza adottate senza alcuna acquisizione di nuovi elementi di fatto e senza alcuna nuova valutazione. Al contrario, ove l'amministrazione ponga in essere una, sia pure parziale, nuova istruttoria, anche solo per una nuova valutazione dei fatti o per un diverso apprezzamento degli stessi, il mantenimento dell'assetto di interessi già disposto ha carattere di nuovo provvedimento autonomamente impugnabile.

Consiglio di Stato Sez IV sent n 6878 del 15 settembre 2010

Il provvedimento amministrativo ha natura confermativa quando, senza acquisizione di nuovi elementi di fatto e senza alcuna nuova valutazione, tiene ferme le statuizioni in precedenza adottate, laddove invece, se viene condotta un'ulteriore istruttoria, anche per la sola verifica dei fatti o con un nuovo apprezzamento di essi, il mantenimento dell'assetto degli interessi già disposto ha carattere di nuovo provvedimento, poiché esprime un diverso esercizio del medesimo potere: è dunque necessario, affinché possa escludersi che un atto sia meramente confermativo del precedente, che la sua formulazione sia preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco ed un nuovo esame degli elementi di fatto e diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dar luogo ad un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dar vita ad un provvedimento diverso dal precedente e, quindi, suscettibile di autonoma impugnazione.

FATTO e DIRITTO

1.- Alla odierna ricorrente Fondazione "Il Buon Samaritano", Ente Morale riconosciuto, a seguito dell'approvazione di una variante urbanistica delle aree in proprietà ritipizzate "alla espansione e allo sviluppo dei servizi a carattere regionale assistenziale" e della susseguente convenzione recante tra l'altro vincolo perenne a tale destinazione, venne assentita il 19 giugno 1996 concessione edilizia per la realizzazione del primo stralcio del progettato "Centro sociale polivalente" orientato alla terza età, secondo un'impostazione di convivenza tra giovani volontari ed anziani.
Nel frattempo, occasionato dal finanziamento regionale e dalle prescrizioni dettate dall'Ufficio Regionale del Genio Civile sulla base delle determinazioni assunte dal C.R.T.A., la Fondazione presentava all'appellato Comune di Bari il relativo piano di adeguamento progettuale, riguardante le conseguenti variazioni architettonico-compositive di talune strutture e la relativa distributiva dei volumi.
Al riguardo, l'Ufficio Tecnico Comunale rilevava che nella specie si veniva a configurare un "nuovo progetto" rispetto a quello precedentemente assentito costituente parte integrante e sostanziale della convenzione sottoscritta, sia per quanto concerne l'organizzazione planovolumetrica, sia relativamente all'articolazione ed all'aggregazione degli edifici, dando atto però che tale intervento in variante era ritenuto "migliorativo nell'aspetto compositivo e nell'organizzazione dell'impianto complessivo, nonché rispettoso dell'art. 32 lett h) delle N.T.A. del P.R.G. che disciplinano le aree in questione" per cui detto progetto andava "nuovamente riapprovato dal C.C. al solo fine di reiterare gli impegni già assunti, mediante integrazione della convenzione, per tener conto della nuova soluzione progettuale proposta".
La Commissione Edilizia Comunale, esaminato il progetto nella seduta del 22.1.1998, rassegnava il parere secondo il quale "La C.E., visto il parere dell'U.T. e del relatore, considerato che il progetto di variante risulta essere meritevole di accoglimento, esprime parere favorevole in linea tecnica e rimette all'esame del Consiglio Comunale per la definitiva approvazione e la consequenziale modifica della convenzione".
Il ricostituito Consiglio Comunale, tuttavia, con la deliberazione n. 257 del 2.11.1998, non approvava l'argomento, senza motivazione alcuna a sostegno del diniego se non eventualmente desumibile dall'ampio dibattito intervenuto in aula prima della votazione e, reinvestito della questione a seguito del riesame in sede cautelare disposto dal TAR adito (ordinanza n. 543/99), con la successiva deliberazione n. 217 del 24.9.2001, denegava nuovamente l'approvazione con mera votazione, pur evidenziando la narrativa del deliberato che: l'integrazione progettuale fosse avvenuta in ossequio alle norme tecniche sopravvenute ed in linea alle prescrizioni di cui al voto C.R.T.A. n. 116/89, non si trattava di nuova variante al P.R.G. come erroneamente emerso nel dibattito sulla citata C.C. n. 257/98 o di sostanziali modifiche di destinazioni d'uso al progetto già approvato per cui il regime dei suoli restava invariato, il Consiglio Comunale veniva chiamato a pronunciarsi unicamente sull'aggiornamento della convenzione già in essere.
2.- In primo grado, con due distinti ricorsi, la citata Fondazione ha impugnato le predette deliberazioni consiliari, unitamente ai relativi atti e pareri presupposti o di loro comunicazione, confutando l'immotivato diniego sul progetto rielaborato, anche in relazione alla sua natura di mera variante edilizia conforme alle indicazioni date dal Settore Urbanistico Regionale, da sottoporre perciò solo all'esame della C.E.C. (RG n. 1659/1999), e contestando l'ulteriore immotivata reiterazione negativa, in elusione dei giudicati cautelari di cui alle ordinanze nn. 543/99 e 867/2001, quando il nuovo intervento del Consiglio Comunale riguardava soltanto autorizzazione al Sindaco a sottoscrivere la susseguente convenzione integrativa (RG n. 264/2002).
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con la gravata sentenza, riuniti i ricorsi in esame, ha dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il primo in quanto sostituito dal successivo atto a seguito della nuova valutazione consiliare ed ha respinto il secondo negli assunti che: la generica destinazione a servizi non certo consente ogni e qualsivoglia utilizzazione del territorio purché qualificabile "servizi" e non è indifferente per l'Amministrazione che si realizzi una piuttosto che altra infrastruttura "cfr. intervento Basso nella delibera di C.C. n. 257 del 1998 (secondo cui) viene completamente modificata la sua destinazione e diventa un centro residenziale per anziani con annessi i servizi invece per infanzia (e) intervento in delibera cit., Piccone, pag. 25 (in base al quale) è un progetto complesso ...nel quale si propone di inserire una residenza degli anziani in un ambiente vivo dove ci siano i bambini, dove ci siano gli studenti, dove ci siano anche gli artigiani, e dove ci siano anche i negozi dove la gente va a comprare); l'intervenuta trasformazione del progetto in itinere, e non già del mero progetto edilizio, come tenta di assumere parte ricorrente, quanto alla concreta destinazione a servizi e dunque alla effettiva utilizzazione e fruizione di un tipo particolare (e diverso e diversificato) di servizi, imponeva una nuova valutazione del proposto utilizzo del territorio da parte dell'organo politico competente, ovvero il Consiglio Comunale, secondo la più ampia discrezionalità di cui l'Amministrazione dispone in materia di scelte urbanistiche; è da evitare che iniziative episodiche, casuali e disorganiche, non estranee a scelte private speculative, avvengano in maniera non coordinata con l'assetto politico-territoriale che la volontà politica intende perseguire per raccordare la pianificazione del territorio (che include l'an, il quomodo ed il quando dell'edificazione e della realizzazione dei servizi alla popolazione) con la programmazione economico-finanziaria del Comune; ne discende che del tutto legittima è nella specie la scelta politica di non dar corso all'intervento che è stata esercitata nel momento in cui il Consiglio Comunale ha inteso non approvare la convenzione di destinazione (specifica) d'uso degli immobili da realizzare; in sostanza reputando non idonea quella concreta destinazione a servizi in quel momento e secondo quelle modalità e tale scelta, significativamente, non è stata censurata, proprio per l'indubbia valenza politica della relativa determinazione.
3.- Con l'appello in esame, la Fondazione ricorrente ha chiesto che entrambi i ricorsi riuniti siano invece accolti, deducendo sulla base di un unico motivo articolato in vari profili di censura che essa conservava interesse all'annullamento del primo deliberato impugnato e dei connessi atti endoprocedimentali, quantomeno sotto il profilo risarcitorio; che il Giudice deve pronunciare non oltre la domanda e l'insufficienza della motivazione di un atto amministrativo non può essere sanata con le argomentazioni svolte per la prima volta nel corso del processo; che dai primi giudici verrebbe utilizzata la deliberazione n. 257/98 per sorreggere la successiva n. 217/01, sostenendo peraltro che il Consiglio Comunale abbia deliberato "la non approvazione della convenzione allegata al progetto in ordine al vincolo di destinazione delle realizzazioni edilizie di cui al nuovo progetto" quando invece si è solo disposto la non approvazione dell'argomento; il TAR, oltre all'errata qualificazione della delibera n. 217/01, avrebbe anche arbitrariamente sostituito, alle (inesistenti) ragioni del diniego, una propria spiegazione e ricostruzione della vicenda; che nell'originario progetto presentato dalla Fondazione (n. 732/88) era previsto che nel Centro Sociale Polivalente, venivano realizzati, oltre agli alloggi per gli anziani anche le ulteriori strutture precisate (scuola materna, supermercato, bar, pasticceria, ristorante, elettrauto, meccanico, falegnameria, ferramenta, ottica, fotografo, pelletteria, ebanisteria, laboratorio di pittura, strutture per artigianato, il giornalismo, la radio, la tv, la musica, tipografia, bowling, sale da gioco, casa albergo, centro studi, centro polisportivo, centro di riabilitazione, ufficio postale, farmacia, banca, tabacchi, giornali, parrucchiere, sale gioco, emeroteca, palestra, cinema-teatro, tensostruttura e chiesa, come risulta altresì dalla delibera n. 161 dell'1/12/93 e su tali aspetti potrebbe essere svolta verificazione); che non sia sostenibile quindi che il nuovo progetto riguardi un centro con destinazione parzialmente diversa; che l'aggiornamento tecnico del progetto sarebbe stato determinato dalla sopravvenienza di nuove norme nazionali e regionali, il cui rispetto è stato imposto dal Genio Civile e, pertanto, non avrebbe potuto essere disatteso neanche dal Comune; che il TAR avrebbe invece ribaltato sulla Fondazione una responsabilità mentre è il Consiglio Comunale, che non ha fatto ciò che doverosamente gli competeva per il conseguente adeguamento della convenzione; che il Comune, così deliberando, avrebbe in effetti inteso perseguire un risultato di paralisi e congelamento del procedimento poiché non si saprebbe ora neppure che fine deve fare la precedente convenzione e la concessione edilizia rilasciata.
Il costituito Comune di Bari, con la memoria depositata il 9 marzo 2010, affermata la competenza del Consiglio Comunale, ha eccepito come: fosse inevitabile che gli interventi non riguardassero esclusivamente la tematica della "convenzione", bensì investissero necessariamente valutazioni ed approfondimenti inscindibilmente connessi di tipo urbanistico, attesa anche l'intervenuta trasformazione del progetto; la modifica del progetto legittimamente abbia determinato l'esigenza di un'attenta riponderazione dei termini tecnici della convenzione e, conseguentemente, del relativo approfondimento svolto in sede consiliare sotto il profilo del concreto interesse pubblico perseguito attraverso la variante; ineccepibile la tesi argomentativa del TAR in ordine al profilo della motivazione, esternata formalmente con la votazione; dal dibattito emergerebbero chiaramente ed inequivocabilmente le ragioni sottese all'adozione del diniego e che consentono di ben comprendere le modalità di formazione della volontà dell'organo consiliare.
La Fondazione appellante ha replicato con la memoria depositata il 26 marzo successivo, in vista dell'odierna udienza in data 9 aprile 2010, nella quale la causa è stata trattenuta a decisione.
4.- In relazione alle rispettive posizioni difensive delle parti, come sopra riassunte, la Sezione conclude per la fondatezza dell'appello e per la conseguente riforma della sentenza impugnata.
Conseguentemente, in linea preliminare, dev'essere osservato come non sussista ragione alcuna di disporre acquisizioni istruttorie o verificazione, essendo la causa matura per la decisione.
Infatti, di là dagli aspetti marginali introdotti a sorreggere le difese e le resistenze, i capisaldi della controversia riposano nella natura della deliberazione consiliare n. 217 del 2001, nelle modalità di espressione di una volontà assembleare nella cura di uno specifico e concreto interesse, e sulle condizioni per il ripensamento di scelte in precedenza effettuate.
5.- In rito, la tesi sostenuta dai primi giudici, relativamente all'improcedibilità del primo ricorso introduttivo (RG n. 1659/1999), non può essere seguita.
È pacifico che, qualora sia disposta la sospensione cautelare giurisdizionale di un provvedimento, è preclusa solo la possibilità di adottare quegli atti ulteriori che trovino presupposto e fondamento logico-giuridico nel provvedimento sospeso ma non anche l'emanazione di un nuovo provvedimento, in sede di riedizione del potere ed in esito alla rinnovazione totale o parziale del procedimento, quando la rinnovazione stessa si estrinsechi in un riesame operato sulla base delle censure opposte al primo provvedimento gravato, proprio allo scopo di sanare i vizi che lo inficiavano, sicché, in tale ottica, la rinnovazione del procedimento costituisce, anzi, l'adempimento di uno specifico dovere-potere dell'Amministrazione, anticipando, così, gli esiti di merito del gravame.
Come da univoca giurisprudenza, però, il riesame di un provvedimento amministrativo è caratterizzato, in via sostanziale, dalla contemplazione di nuovi interessi valutati in sede di rinnovo del procedimento ovvero di nuove prospettazioni degli stessi interessi, mentre in via formale il rinnovo procedimentale comporta un nuovo iter istruttorio (Consiglio Stato , sez. IV, 21 ottobre 2008 n. 5154).
Più incisivamente, il provvedimento amministrativo ha natura confermativa quando, senza acquisizione di nuovi elementi di fatto e senza alcuna nuova valutazione, tiene ferme le statuizioni in precedenza adottate, laddove invece, se viene condotta un'ulteriore istruttoria, anche per la sola verifica dei fatti o con un nuovo apprezzamento di essi, il mantenimento dell'assetto degli interessi già disposto ha carattere di nuovo provvedimento, poiché esprime un diverso esercizio del medesimo potere: è dunque necessario, affinché possa escludersi che un atto sia meramente confermativo del precedente, che la sua formulazione sia preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco ed un nuovo esame degli elementi di fatto e diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dar luogo ad un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dar vita ad un provvedimento diverso dal precedente e, quindi, suscettibile di autonoma impugnazione (Consiglio Stato: sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8853; sez. VI, 10 settembre 2009, n. 5440).
Di conseguenza, mentre l'atto di conferma è autonomamente impugnabile, in quanto da un lato presuppone un completo riesame della fattispecie e dall'altro si sostituisce, pur avendo identico dispositivo, all'atto confermato, l'atto meramente confermativo si limita a richiamare il precedente provvedimento e non ha perciò alcuna valenza costitutiva, con conseguente inammissibilità per difetto di interesse del ricorso proposto avverso di esso e non avverso il provvedimento originario (Consiglio Stato, sez. IV, 10 dicembre 2009, n. 7732).
Nel caso all'esame, il tenore testuale della seconda deliberazione impugnata (n. 217/2001) rende evidente che il Consiglio Comunale si è limitato a richiamare le risultanze della vicenda o meglio a farne schematica cronistoria, nonostante il parere favorevole, sia dei tecnici che della Giunta, e non ha mai proceduto ad un riesame del precedente deliberato, se non a mezzo soltanto della mera votazione eseguita, peraltro pure in assenza di dibattito alcuno sull'argomento.
Il primo ricorso introduttivo era quindi ammissibile: non a caso la sentenza è argomentata in relazione alla relativa deliberazione impugnata nel primo ricorso; semmai, era da dichiarare improcedibile la impugnazione della seconda delibera gravata, in quanto meramente confermativa della prima.
Sul punto, però, una conforme statuizione in questa sede è del tutto irrilevante ai fini della risoluzione della controversia, anche allo scopo di non lasciare margini di possibile ambiguità, alla luce del comportamento complessivo tenuto in vicenda dall'Amministrazione resistente.
6.- Quanto alla motivazione della prima deliberazione censurata, è appena il caso dover puntualizzare come il dibattito che si svolga in seno ad un organo collegiale, e gli interventi che lo compongono, non costituiscono mai motivazione dell'atto amministrativo collegiale, il quale deve essere sostenuto da una motivazione giuridicamente propria che riassuma chiaramente gli elementi essenziali posti a base della decisione, non potendo ammettersi che essa possa essere desunta dalle singole soggettive dichiarazioni dei componenti del collegio, in quanto tali del tutto inidonee a palesare il percorso di formazione della volontà amministrativa (Consiglio Stato: sez. VI, 21 novembre 1996 n. 1624; sez. IV, 12 novembre 1991 n. 932).
In tal senso, il dibattito consiliare, se pure può essere utile ad illuminare le ragioni della scelta che si esprime nella votazione, non può costituire di per sé l'elemento essenziale di un provvedimento amministrativo quale è la motivazione dell'atto, perché rende il senso della scelta deliberativa criptico e non trasparente ovvero incerto l'effettivo contenuto della esternazione della P.A. al privato interessato, in tal modo impedendo una reale contezza della scelta amministrativa stessa.
Nel merito delle ragioni che, nello specifico, possano desumersi dal dibattito, assunte dal TAR e dalla difesa avversaria come elemento di emersione dell'interesse pubblico che l'organo consiliare avrebbe inteso perseguire, e come tali censurate dalla Fondazione ricorrente perché ritenute illegittime, osserva il Collegio che, quantunque possa essere vero che il Consiglio comunale è titolare di ampia discrezionalità nell'esame della proposta deliberativa, tuttavia è parimenti indubitabile che tale discrezionalità non può essere in contrasto con le risultanze della istruttoria, in rapporto alla quale deve essere adeguata, proporzionata e, soprattutto, espressa nell'atto deliberativo come parte integrante e sostanziale di essa in modo certo, chiaro e verificabile.
Vero è che la disciplina urbanistica presuppone scelte "politiche" di localizzazione di impianti, servizi, o aree a standards, ma tali scelte erano state effettuate precedentemente in sede di variazione urbanistica dell'area e comunque esse devono essere sempre preordinate alla migliore e più ordinata valorizzazione e tutela del territorio, secondo legge e nell'osservanza delle previsioni di PRG ed in particolare, nella specie, dell'art. 32 lett h) delle N.T.A.
Norma, come da esposizione in fatto, ritenuta rispettata sia dall'Ufficio Tecnico Comunale che dalla Commissione Edilizia, con l'ulteriore precisazione che nel concreto non si trattava di variante urbanistica, bensì di semplice variante tecnica alla concessione edilizia rilasciata.
Entrambe le deliberazioni consiliari impugnate sono dunque illegittime per le censure dedotte e come tali meritano di essere annullate.
7.- Del resto, nell'economia delle suddette deliberazioni, sia pure da ricostruirsi con riferimento al dibattito consiliare della prima che ne ha determinato l'esito, appare evidente come il pensiero inespresso, che la maggioranza dell'assemblea deliberante ha scelto di fare proprio, sia stato quello di non permettere la realizzazione dell'intervento già assentito, con un effetto sostanziale di ritiro implicito ovvero di ripensamento della scelta urbanistica effettuata, l'uno e l'altro quindi anch'essi privi di alcuna valida motivazione.
Infatti, affinché un provvedimento possa essere considerato come annullamento implicito, occorre che esso risulti conforme ai principi che regolano l'esercizio del potere di autotutela delle pubbliche amministrazioni codificati nell'art. 21-nonies della legge n. 241 del 7 agosto 1990, così come modificata dalla legge n. 15 del 2005 ed, in particolare, deve contenere espressa motivazione con riferimento al vizio di legittimità riscontrato, alla presenza di un interesse pubblico, concreto ed attuale, al ritiro della concessione, alla ponderazione degli interessi, pubblico e privato, e alla prevalenza dell'interesse pubblico rispetto a quello del privato al mantenimento dell'opera.
Peraltro, la predetta facoltà di ripensamento riservata alla pubblica amministrazione può essere esercitata esclusivamente dal soggetto che ha emesso il provvedimento da annullare o da altro organo previsto dalla legge, ragione per la quale, in forza del principio di tipicità dei poteri autoritativi della pubblica amministrazione e dei poteri concorrenti nel governo del territorio, il Consiglio Comunale non poteva omettere di considerare la destinazione urbanistica dell'area alla espansione e allo sviluppo dei "servizi a carattere regionale assistenziale", nonché la circostanza che l'adeguamento progettuale era conseguente alle determinazioni del Genio Civile in sintonia alle prescrizioni del C.R.T.A.
Sul punto, va tenuto conto che, ai sensi dell'art. 32 lett. c), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, costituisce variante essenziale rispetto al progetto approvato la modifica della localizzazione dell'edificio tale da comportare lo spostamento del fabbricato su un'area totalmente o pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista, trattandosi di modifica che comporta una nuova valutazione del progetto da parte dell'amministrazione concedente, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri urbanistici e con le connotazioni dell'area, mentre sono ininfluenti rispetto all'obbligo di acquisizione da parte dell'interessato di un nuovo permesso di costruire la circostanza che le altre caratteristiche dell'intervento (sagoma, volumi, altezze etc.) siano rimaste invariate rispetto all'originario permesso di costruire, e l'assenza di ogni incidenza della variante sul regime dei distacchi e delle distanze (Cons.St., sez. IV, 20 novembre 2008 , n. 5743).
Ebbene, nell'assenza di alcuna specifica motivazione ed una volta che è pacifico come nella fattispecie siano stati rispettati la precedente localizzazione dell'intervento, i volumi e gli standards, come ammesso dall'U.T.C. e dalla C.E.C., restano allora inspiegati anche gli elementi ostativi che si oppongano alla realizzazione dell'intervento di specie, a rilevanza sovracomunale ed a finalità sociale, con vincolo conformativo riconosciuto rispondente agli interessi regionali assistenziali ed ove si consideri, altresì, la conformità all'azzonamento e la caratteristica propria di un Centro Sociale Polivalente.
Infatti, l'assistenza agli anziani non può essere circoscritta ad una determinata funzione, ma abbraccia una pluralità di attività dirette e strumentali al miglior soddisfacimento dei loro bisogni di vita, materiali ed affettivi, nei diversi campi implicati dello sport e dello spettacolo, culturale e ricreativo, di spazi commerciali e d'intrattenimento, di luoghi di promozione lavorativa o per la formazione dei giovani con il tutoraggio degli anziani, di ambienti riabilitativi e così via, per una sana convivenza sociale in una Comunità piuttosto che in una struttura istituzionalizzata, ossia ghettizzata.
La categoria logico - giuridica in discorso, piuttosto ampia e relativa alle "attrezzature ed impianti di interesse generale" di cui all'art. 2 del DM 2 aprile 1968 n. 1444 ed all'art. 9, lett. f), della legge 28 gennaio 1977, n. 10, comprende tutti quegli impianti ed attrezzature che, sebbene non destinati a scopi di stretta cura della pubblica amministrazione, siano idonei a soddisfare bisogni della collettività, ancorché vengano realizzati e gestiti dagli "enti istituzionalmente competenti": pacifica giurisprudenza ha da tempo chiarito che per tali enti devono intendersi non solo i soggetti pubblici, ma anche i soggetti privati che agiscano per conto o in sostituzione dell'ente pubblico per la realizzazione di un'opera di interesse generale.
Vale a dire, in sostanza, da un canto, che gli interventi edificatori posti in essere dalla Fondazione privata appellante trovano idoneità quali opere d'interesse generale nella conforme destinazione urbanistica e, dall'altro, che le plurime attività di supporto contestate durante il dibattito consiliare non sono di per sé incompatibili, in una visione confacente di "servizi alla persona" e di libera iniziativa da parte del "Terzo Settore" che non può essere impedito nelle sue filosofie ed impostazioni assistenziali, una volta appurata la conformità urbanistica e l'osservanza delle norme tecnico - edilizie.
Anche sotto tali profili deve quindi convenirsi in merito alla sussistenza del vizio di difetto assoluto di motivazione.
8.- L'Amministrazione comunale, del resto, neppure in questa sede ha fornito alcuna precisa indicazione o mezzi di prova atti a smentire le circostanze sopra dette ed accertate nel corso dell'istruttoria tecnico-amministrativa in ordine alla rispondenza dell'intervento alla disciplina urbanistico-edilizia, trattandosi come ivi precisato di variante tecnico- edilizia e non di variante urbanistica.
Che nella specie sia controversa variante di adeguamento migliorativo all'assetto complessivo dell'impianto edilizio si ricava, oltre dai citati pareri positivi, dalla circostanza che nel dibattito non vengono contestate le determinazioni del Genio Civile e del C.R.T.A., ma soprattutto dal fatto che questa variante tecnica non ha comportato alcun aumento di volume né incidenza territoriale maggiore di quella considerata in sede di rilascio della concessione originaria.
Al riguardo, il Collegio ritiene di condividere l'interpretazione affermatasi nella giurisprudenza della citata disposizione di cui all'art. 32, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, secondo cui costituiscono "variazioni essenziali" rispetto al progetto approvato le "modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza": tale disposizione viene comunemente intesa nel senso che la modifica della "localizzazione" dell'edificio assurge al livello di "variazione essenziale" allorché si sia in presenza di una traslazione non parziale, ma tale da comportare lo spostamento del fabbricato su un'area totalmente o pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista; ciò viene giustificato con la considerazione che tale modifica comporta una nuova valutazione del progetto da parte dell'Amministrazione concedente, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri urbanistici (Cons. St., IV, n. 5743 del 2008, citata).
Ma, nel caso di specie, una siffatta evenienza non ricorre per le diverse caratteristiche prima precisate, con la conseguenza che la variante tecnico-edilizia in questione non può essere configurata alla stregua di un progetto di vera e propria nuova costruzione.
Deriva da ciò che l'aggiornamento della convenzione di specie, non incidendo in materia di disciplina del territorio o della regolamentazione urbanistica, non potesse neppure essere rifiutata al fine di allineare gli impegni convenzionali assunti con la originaria concessione edilizia (condizionata alla stipula della convenzione poi sottoscritta) alla soluzione tecnico-progettuale definitiva (implicante, in esito alle prescrizioni regionali, solo il suo adeguamento)
Sotto tale aspetto si può dunque sostenere la incompetenza del Consiglio Comunale in relazione alla natura della variante tecnica implicata, propria della gestione dirigenziale, che però, incidendo anche sull'adeguamento della convenzione di riferimento, di conseguenza comportava la rimessione all'organo consiliare, ma a questo fine, non già per una valutazione contenutistica di essa o addirittura per la messa in discussione dell'intervento edilizio assentito mediante valutazioni di tipo urbanistico o perfino con un ripensamento sostanziale dello stesso intervento edilizio.
Anche sotto tali aspetti gli atti gravati in prime cure risultano inficiati.
9.- Per concludere, le deliberazioni impugnate sono dunque illegittime per le censure dedotte e come tali vanno annullate, con conseguente obbligo per il Consiglio Comunale di Bari di pronunciarsi sulla proposta in variante della originaria concessione edilizia relativa all'intervento della Fondazione ricorrente, nel rispetto di quanto qui sancito e nei termini di legge, decorrenti dalla comunicazione della presente sentenza o sua notifica a cura di parte più diligente.
Di conseguenza, in accoglimento dell'appello ed a riforma della sentenza impugnata, devono essere accolti i ricorsi di primo grado.
Le spese di lite relative al doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano complessivamente e forfetariamente in euro 5.000,00 (euro cinquemila), che il Comune resistente corrisponderà alla Fondazione appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l'appello in epigrafe n. 9467 del 2004 e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Bari n. 3255 del 2003, accoglie i ricorsi riuniti di primo grado con l'annullamento dei rispettivi atti oggetto di originaria impugnazione.
Condanna il Comune di Bari al pagamento delle spese di lite relative al doppio grado di giudizio, che si liquidano a favore della Fondazione appellante nella misura di 5.000,00 (euro cinquemila), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2010 con l'intervento dei Signori:
Luigi Maruotti, Presidente FF
Antonino Anastasi, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere
Vito Carella, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 15 SET. 2010

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