10.000 euro per i rumori intollerabili del vicino


La Cassazione enuncia il principio per cui non necessita la prova del danno conseguente alle immissioni non tollerabili di rumore del vicino, trattandosi di nocumento arrecato al dritto alla salute
 
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Con una recentissima pronuncia, la S.C. ha avuto modo di occuparsi della tutela risarcitoria somministrabile, nell'ambito di rapporti di vicinato, in caso di rumori eccedenti la normale tollerabilità. La norma base, da cui la Corte sviluppa il ragionamento sulla risarcibilità del danno alla salute conseguente alle immissioni di rumore, è quella di cui all'art. 844 c.c. che, come probabilmente noto, in origine, mirava a risolvere esclusivamente profili relativi ai rapporti tra proprietà vicine senza considerare espressamente gli eventuali diversi diritti violati del proprietario, soggetto passivo delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità 

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha, tuttavia, già da tempo (Cass. civ., 31 ottobre 2014, n. 23283) affermato che le immissioni che superano la normale tollerabilità integrano gli estremi dell'illecito e, pertanto, obbligano al risarcimento del danno alla salute, introducendo “nuovi” diritti meritevoli di tutela aquiliana, quali il riposo notturno (Cass. civ., 19 dicembre 2014, n. 26899). Ha inoltre sostenuto che la violazione dei diritti tutelati dalla convenzione europea dei diritti dell'uomo consenta il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno «pur non sussistendo alcuno stato di malattia»(Cass. civ., 16 ottobre 2015, n. 20927).


I criteri di determinazione della normale tollerabilità vengono ormai pacificamente riportati a normative pubblicistiche, quali quelle previste dal DPCM 1 marzo 1991 avente ad oggetto la soglia massima di esposizione al rumore.

Trovano pertanto tutela, per il tramite della norma in esame, «la sofferenza e l'insonnia provocati dalla musica a tutto volume»(Cass. civ., 19 dicembre 2014, n. 26899) o «la lesione del normale svolgimento della vita personale e familiare all'interno di un'abitazione e comunque del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita» (Cass. civ., 28 agosto 2017 n. 20445).


Nel caso di specie, i proprietari di un'abitazione hanno proposto un'azione finalizzata all'accertamento del superamento della normale tollerabilità delle immissioni richiedendo, al contempo, il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla compromissione del diritto alla vita personale e familiare nonché alla piena esplicazione delle abitudini di vita. 

La Corte, come detto, ha ritenuto la sussistenza in re ipsa del danno, richiamando, tra l'altro, la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo affermando che "il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita personale e familiare all'interno di un'abitazione e comunque del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi".



Cassazione civile, sez. II, 28/08/2017, (ud. 12/04/2017, dep.28/08/2017),  n. 20445


L.E., riassunto il giudizio dopo dichiarazione di incompetenza del giudice di pace di Roma, ha convenuto innanzi al tribunale di Roma G.N., T.S. e T.V., proprietario il primo e conduttori in locazione gli altri di un locale in (OMISSIS), ad uso falegnameria, sottostante l'appartamento di proprietà dell'attrice; espletata c.t.u., il tribunale ha con sentenza depositata il 25/05/2006 dichiarato cessata la materia del contendere in ordine a domanda di inibitoria di immissioni di polveri, vapori e rumori - essendo state nelle more adottate misure di contenimento in base a ordinanze cautelari - condannando i soli conduttori al risarcimento dei danni per Euro 10.000 oltre accessori;

la corte d'appello di Roma, in accoglimento dell'appello proposto dai signori T. nel contraddittorio della sola signora L., ha riformato con sentenza depositata il 13/03/2013 la decisione del tribunale, rigettando la domanda risarcitoria, affermando che il danno da immissioni sarebbe risarcibile solo ove ne sia derivata comprovata lesione della salute, non essendo risarcibile la minore godibilità della vita, nonchè - quanto al profilo probatorio - espressamente "dissente(ndo) dall'indirizzo giurisprudenziale recepito dal primo giudice, secondo cui quando venga accertata la non tollerabilità delle immissioni la prova del danno deve considerarsi in re ipsa" e rilevando che l'attrice avrebbe dovuto produrre "idonea documentazione sanitaria... e... chiedere l'espletamento di una c.t.u. medico-legale";

avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione L.E., affidandolo a un motivo, cui hanno resistito S. e T.V. con controricorso illustrato da memoria;

Ritenuto che:

sia manifestamente fondato l'unico motivo di ricorso, con cui la signora L. ha lamentato violazione di legge in relazione agli artt. 2 e 32 Cost. e artt. 844,2043 e 2067 cod. civ., deducendo che la corte d'appello si sarebbe posta in contrasto con l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la prova della lesione di un diritto costituzionalmente garantito è anche prova del danno, da ritenersi in re ipsa, o almeno tale prova - in mancanza di accertamento medico-legale - possa essere agevolata mediante presunzioni, che - secondo la signora L. - avrebbero nel caso di specie potuto fondarsi sulla situazione lavorativa documentata della stessa, impegnata in lavoro con turni notturni;

al di là di remoti precedenti citati dalla corte d'appello e rimontanti a epoca in cui nè la materia del danno alla salute nè quella dei rimedi in tema di immissioni avevano conosciuto l'attuale sistemazione sorretta dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, vada data continuità al principio da reputarsi oramai sufficientemente consolidato nella giurisprudenza di questa corte (Cass. Sez. U. 01/02/2017, n. 2611, in relazione alla trattazione anche di una questione di giurisdizione; ma v. anche ad es. Cass. 19/12/2014, n. 26899 e 16/10/2015, n. 20927), secondo il quale il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita personale e familiare all'interno di un'abitazione e comunque del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi (vedi Cass. 16/10/2015, n. 20927);

ne consegue che la prova del pregiudizio subito può essere fornita anche mediante presunzioni o sulla base delle nozioni di comune esperienza;

vada dunque cassata l'impugnata sentenza; peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto per essere il thema decidendum limitato al profilo giuridico del criterio probatorio, adottato dal giudice di primo grado e negato dalla corte d'appello, possa questa corte esimersi dal rinvio e pronunciare nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., rigettando l'appello dei signori T. (infondato dunque nei suoi tre motivi: il primo già disatteso sull'inesistenza delle immissioni, e non attinto dal ricorso in cassazione; il secondo sulla valutazione delle immissioni e del danno, e oggetto dunque delle statuizioni di cui innanzi; il terzo in materia di sospensiva, e quindi superato) e accogliendo la domanda della signora L. in coerenza - anche quanto alle spese - con la sentenza emessa dal tribunale;

vadano compensate, stante il consolidarsi in epoca recente dell'indirizzo giurisprudenziale adottato, le spese processuali del grado di appello e del giudizio di legittimità.
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