contratto di mediazione e di procacciamento d'affari

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Cass Civ Sez III n  12694 del 25 maggio 2010 si occupa di due profili riguardanti la mediazione. In primo luogo, considerando che il diritto alla provvigione sorge allorchè il contratto risulti concluso per effetto della messa in relazione posta in essere dal mediatore, la sentenza si occupa delle conseguenze di un'eventuale recesso esercitato con rfierimento al contratto concluso su detto diritto a provvigione. In secondo luogo, la sentenza si occupa di chiarire gli elementi distintivi tra mediazione e contratto di procacciamento d'affari individuandoli nell'equidistanza tra gli interessi delle parti che caratterizza l'attività mediatoria e nell'espletamento del mandato di procacciamento d'affari nell'interesse del committente.

Cass Civ Sez III n 12694 del 25 maggio 2010

In tema di rapporti tra mediazione e contratto atipico di procacciamento di affari, il mediatore si distingue dal procacciatore di affari per il rapporto di collaborazione che - assente secondo l'espresso dettato normativo nella mediazione (art. 1754 c.c.) - caratterizza il procacciatore di affari, il quale, anche senza carattere di stabilità, agisce nell'esclusivo interesse del preponente, solitamente imprenditore, raccogliendo proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi e trasmettendogliele. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito nella parte in cui aveva ritenuto inammissibile, perché nuova, la domanda di riconoscimento del compenso proposta per la prima volta in appello sulla base del procacciamento di affari, dopo che in primo grado la medesima domanda era stata fondata su un rapporto di mediazione).

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SEZIONE TERZA CIVILE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. MORELLI  Mario Rosario                      -  Presidente   - 
Dott. SEGRETO  Antonio                                -  Consigliere  - 
Dott. CHIARINI M. Margherita                       -  rel. Consigliere  - 
Dott. SPIRITO  Angelo                                    -  Consigliere  - 
Dott. LANZILLO Raffaella                             -  Consigliere  - 
ha pronunciato la seguente:

sentenza  

sul ricorso 1214-2006 proposto da:
M.D.  (OMISSIS), elettivamente  domiciliato  in  ROMA,  VIA  G.  FERRARI  11, presso lo studio dell'avvocato  PACIFICO ANTONIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato  BONOMO  MARCO giusta delega a margine del ricorso;

ricorrente –

contro

G.M. (OMISSIS),          F.G. (OMISSIS),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA D. CHELINI 5, presso lo studio dell'avvocato   NUCCI  FRANCESCO,  che  li  rappresenta   e   difende unitamente  agli avvocati ROSITANI NICCOLO', FERRANTE VINICIO  giusta  delega in calce al controricorso;

controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2385/2005 della CORTE D'APPELLO di MILANO,  2^  SEZIONE CIVILE, emessa il 28/9/2005, depositata il 13/10/2005, R.G.N.  1741/2002;
udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del  10/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;
udito l'Avvocato ANTONIO PACIFICO;
udito l'Avvocato FRANCESCO NUCCI;
udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott.  MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.D. conveniva in giudizio G.M. e F. G. chiedendone la condanna al pagamento del compenso, pattuito nella misura del 4%, per aver espletato il mandato a vendere una quota pari al 50% del capitale sociale della s.n.c. Strato del valore di almeno L. 900 milioni avendo trovato l'acquirente B. C. con cui era stato raggiunto l'accordo scritto per acquistare il 45% delle quote di detta società per il prezzo di L. un miliardo e mezzo, successivamente formalizzato per atto pubblico. Poichè egli aveva inoltre stimato l'azienda ed aveva assistito alla stipulazione del contratto ed alla trasformazione e fusione della società, aveva inviato parcella anche per tali ulteriori attività. Concludeva quindi affinchè i convenuti fossero condannati al pagamento della somma di L. 97.875.600.
Il Tribunale condannava i convenuti a pagare Euro 1.300,00.
Con sentenza del 13 ottobre 2005 la Corte di Appello di Milano rigettava il gravame sulle seguenti considerazioni: 1) non essendovi censura del M. concernente la parcella n. (OMISSIS) relativa alla stesura del contratto di vendita del (OMISSIS) per il quale la sentenza di primo grado ha riconosciuto parzialmente un compenso, il relativo motivo è inammissibile; 2) il contratto intercorso tra le parti era stato correttamente qualificato dai giudici di primo grado come di mediazione unilaterale con diritto al compenso solo nel caso di effettiva conclusione dell'affare (art. 1755 c.c., comma 1), ed era da confermare l'esclusione del mandato perchè il M. non aveva l'obbligo giuridico di procurare la vendita e di curarne l'esecuzione, indipendentemente dal risultato raggiunto; 3) difettavano altresì i rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza di cui all'art. 1754 c.c. tali da consentire l'imputazione giuridica diretta degli atti ai mandanti avendo il M. soltanto il potere di contattare i terzi interessati, potendo al più dirimere contrasti al fine di risolvere contestazioni o rinunce; 4) la diversità di struttura ed oggetto del contratto concluso rispetto a quello indicato nella lettera di incarico conferma, in base al canone interpretativo di cui all'art. 1362 c.c., comma 2, che il ruolo del M. era limitato a mettere in contatto i venditori con un possibile acquirente; 5) la configurabilità del procacciamento di affari oneroso era un nuovo profilo dedotto per la prima volta in appello e perciò inammissibile; 6) pacificamente il M. non era iscritto all'albo dei mediatori, ai sensi della L. n. 39 del 1989 e quindi il compenso non era riconoscibile; 7) non era provato che il M. avesse valutato l'azienda e la testimonianza dell'impiegata dello studio era generica, atteso che altro professionista di esso aveva svolto l'attività di trasformazione societaria.
Ricorre per cassazione M.D. cui resistono G.M. e F.G.. Il ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Lamenta il ricorrente con il primo motivo "Violazione e falsa applicazione dell'art. 1754 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)"- che erroneamente, ai sensi dell'art. 1362 c.c., i giudici di merito non hanno ravvisato il contratto di mandato, per non esser l'oggetto di esso rigidamente predeterminato, essendo invece l'esecuzione dell'incarico estesa a tutti gli atti necessari ed utili per il suo espletamento; comunque nella specie il contratto era determinato perchè l'oggetto era la vendita del "50% delle azioni della s.n.c. Strato" per un prezzo stabilito, si che l'ampliamento della cessione, concertato con il M. che aveva redatto l'atto definitivo di vendita, del 45% delle azioni della società nata dalla fusione della Strato s.r.l. - così trasformata la sua precedente ragione sociale - con la s.r.l. Farina, non ha modificato il mandato, che comprendeva infatti anche le necessarie successive modifiche sociali per giungere alla esecuzione del medesimo, e perciò di natura giuridico - negoziale. Inoltre il M. poteva comporre controversie con l'acquirente in nome e per conto dei mandanti anche in relazione a rinunce alla proposta di acquisto, o al risarcimento dei danni e perciò l'incarico era di transigere e non solo di appianare divergenze; egli poteva altresì quietanzare ed incassare le somme versate dall'acquirente trattenendo il suo compenso e quindi agiva in nome e per conto dei mandanti escludendo l'indipendenza e la terzietà del mediatore.
Il motivo è infondato.
Ed infatti non soltanto i giudici di merito hanno escluso la configurabilità del mandato non avendo il M. provato di essere obbligato a compiere atti giuridici nell'interesse della parte che lo ha incaricato - oggetto tipico di detto contratto (Cass. 24333/2008), e caratteristico per differenziarlo dalla mediazione, in cui il mediatore non è vincolato a mettere i soggetti in relazione tra loro per concludere un affare, e per questo non può privilegiare gli interessi di nessuno, neppure della parte che lo ha incaricato di attivarsi e che si è obbligata a corrispondergli la provvigione, avendo l'obbligo di comunicare a tutte le parti le circostanze relative alla sicurezza e alla valutazione dell' affare, influenti sulla conclusione di esso (art. 1759 cod. civ.), e quindi di comportarsi nei confronti di tutte secondo buona fede e correttezza - ma hanno altrettanto correttamente ravvisato anche la diversità tra l'oggetto dell'incarico ricevuto dal M. e quello del negozio concluso, non ancora venuto ad esistenza all'epoca del conferimento dell'incarico. Ed infatti, ribadito che la norma del terzo comma dell'art. 2331 cod. civ., che prevede la nullità della emissione e della vendita delle azioni prima dell'iscrizione della società nel registro delle imprese, è applicabile anche alla vendita di quote di società a responsabilità limitata, la mancanza dell'oggetto ' della cessione - ragione giustificativa della predetta nullità - prima che la società venga ad esistenza con l'iscrizione (Cass. 10263/1999) incide sull'incarico conferito al M., tant' è vero che non è contestato l'accertamento di merito secondo cui alla trasformazione societaria, presupposto giuridico indispensabile per la cessione delle quote, provvide altro professionista dello studio. Quindi anche sotto tale profilo è immune da vizi logici e giuridici la qualificazione dell'attività del M. come limitata a mettere in contatto i soggetti interessati all'affare senza svolgere alcuna cooperazione giuridica per il raggiungimento del risultato da essi perseguito ed imputabile alla loro sfera giuridica.
2.- Con il secondo motivo - "Violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)", il M. lamenta che la Corte abbia ritenuto inammissibile il profilo del procacciamento di affari oneroso atipico perchè nuovo, pur non essendo immutati i fatti costitutivi della domanda, essendo stata prospettata soltanto una nuova qualificazione giuridica, che il giudice di appello poteva effettuare anche di ufficio, perchè non implicava nessun nuovo accertamento di fatto.
Il motivo è infondato.
La caratteristica giuridica che distingue il mediatore dal procacciatore di affari è il rapporto di collaborazione - assente invece, come innanzi detto, per espresso dettato normativo, nella mediazione (art. 1754 cod. civ.), ed in fatto escluso dai giudici di merito senza che nessun vizio di motivazione sia denunciato al riguardo - che egli, anche senza carattere di stabilità, ha nei confronti di colui nel cui esclusivo interesse agisce - raccogliendo proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi e trasmettendole al preponente, solitamente un imprenditore (Cass. 13629/2005) - e che ne implica la non neutralità. Se invece il giudice di merito accertasse che nel concreto atteggiarsi del rapporto tra le parti - e quindi non soltanto avuto riguardo all'affinità della funzione economica perseguita dalla mediazione cd. atipica e dal procacciatore di affari - l'intermediario non si limiti a procacciare l'affare, ma compia tutte le attività materiali necessarie per la sua conclusione, assumendone i relativi oneri (Cass. 16009/2003), sì che siano ravvisabili caratteristiche giuridiche identiche a quelle con un mediatore unilaterale e fiduciario (Cass. 14582/2007, 25260/2008)- per il diritto al compenso dell'attività svolta deve sussistere il requisito soggettivo dell'iscrizione in apposito settore dell'albo - della L. n. 39 del 1989, art. 2, nn. 2 e 4 (Cass. 19066/2006) - onde evitare l'elusione della norma.
3.- Concludendo il ricorso va respinto.
Il ricorrente va condannato a pagare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione pari ad Euro 7.200 di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2010

 

 
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