investimento pedone e concorso di colpa



attraversamento al di fuori delle strice: tra concorso di colpa del pedone investito e presunzione di responsabilità del conducente

Ove sia investito un pedone che attraversi al di fuori delle strisce pedonali non viene meno la presunzione di responsabilità del conducente ex art. 2054 cc ma il concorso di colpa del pedone va verificato con criteri più elastici.
Nella specie, una signora, investita da un'autovettura mentre percorreva a piedi una strada provinciale, riportava gravissime lesioni. I giudici del merito ravvisavano un concorso di colpa del pedone, con conseguente riduzione del 20% del risarcimento a favore della danneggiata in quanto la medesima aveva percorreva la strada provinciale al di fuori delle apposite strisce pedonali e nella stessa direzione di marcia dell'autovettura.
 

IL CONCORSO DI COLPA DEL PEDONEINVESTITO

Ricorreva per la cassazione della sentenza di appello, il pedone investito sostenendo che la mera violazione dell'art. 190 cod. str. non poteva determinare, di per sè solo, il concorso di colpa affermato dal giudice del merito in quanto avrebbe pur sempre dovuto essere verificata l'incidenza causale nel caso concreto.
La Corte ravvisava l'infondatezza del ricorso in quanto: "in tema di investimento stradale, anche se il conducente del veicolo non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione di colpa che l'articolo 2054, comma 1, c.c., pone nei suoi confronti, non è preclusa l'indagine, da parte del giudice di merito, in ordine al concorso di colpa del pedone investito, con la conseguenza che, allorquando siano accertate la pericolosità e l'imprudenza della condotta del pedone stesso, la colpa di questo concorre, ai sensi dell'articolo 1227, comma 1, c.c., con quella presunta del conducente (Cass., 22 maggio 2007, n. 11873)".
La Corte ha poi richiamato consolidati principi in ordine al concorso di colpa del pedone nella produzione del danno, distinguendo l'ipotesi in cui lo stesso attraversi sulle strisce pedonali dall'ipotesi in cui l'attraversamento avvenga al di fuori di esse. Nel primo caso, infatti, il pedone non è tenuto, alla stregua dell'ordinaria diligenza, a verificare se i conducenti in transito mostrino o meno l'intenzione di rallentare e lasciarlo attraversare, potendo egli fare ragionevole affidamento sugli obblighi di cautela gravanti sui conducenti. Ne consegue che solo l'assoluta straordinarietà ed imprevedibilità della condotta del pedone che attraversi sulle strisce pedonali (della cui prova è onerata la parte danneggiante) può determinarne il concorso di colpa ex art. 1227 cc. Nella specie, secondo la Corte, avendo l'appellante contravvenuto ad un preciso obbligo imposto dall'art. 190 cod. str. procedendo su un lato diverso da quello prescritto da quest'ultima norma (Cass., 30 ottobre 1998, n. 902), sarebbe risultata provato il concorso nell'eziologia dell'evento.
Il motivo di interesse della statuizione della Suprema Corte sul tema è, quindi, dato dalla distinzione tra l'eventualità che l'investimento del pedone avvenga mentre questi stia, o meno, attraversando le strisce pedonali: nelle due ipotesi, secondo la Cassazione, il concorso di colpa del danneggiato-pedone assume rilevanza in modo diverso. Nel caso di attraversamento delle strisce pedonali il pedone può, infatti, «fare ragionevole affidamento sugli obblighi di cautela gravanti sui conducenti». Diversamente è nelle ipotesi, come quella in commento, in cui l'investimento non si verifichi in caso di attraversamento sulle strisce. In questo caso è sufficiente che il comportamento tenuto dal pedone sia caratterizzato dai requisiti della pericolosità o dell'imprudenza: in tal senso la violazione di una prescrizione di legge può essere di per sé sufficiente a far concorrere la colpa del pedone con quella del conducente.

 

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Nella fattispecie sottoposta alla sua cognizione la Suprema Corte ha anche modo di occuparsi, cassando l'impugnata sentenza, della liquidazione del danno non patrimoniale non condividendo una liquidazione effettuata mediante il pedissequo utilizzo delle tabelle pubblicate dal Tribunale di Milano sottolineando la necessità di un'adeguata personalizzazione. In particolare la Cassazione pone in evidenza la necessità sia di «tener conto delle effettive sofferenze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito (...) e di tutti gli elementi della fattispecie, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al caso concreto» (15), sia di calcolare il danno biologico non solo nella sua componente «statica» ma anche alla luce «dell'eventuale probabile aggravamento verificatosi successivamente, ove documentato e scientificamente provato».


Cassazione civile  Sez. III  9 marzo 2011 n. 5540

1. In tema di circolazione stradale, la mera circostanza che il pedone abbia attraversato la strada, sulle strisce pedonali, frettolosamente e senza guardare non costituisce da sola presupposto per l'applicabilità dell'art. 1227, comma 1, c.c., occorrendo invece, a tal fine, che la condotta del pedone sia stata del tutto straordinaria ed imprevedibile.
2. Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva la cui liquidazione deve essere necessariamente
personalizzata tenendo conto sia della gravità del danno biologico che delle effettive sofferenze patite dall'offeso.



FATTO.
M.T. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pesaro, G.D.M., C.G., P.D.M., D.M.S. e M.D.M., nella loro qualità di eredi di D.M.F., nonché la s.p.a. Allianz Subalpina Assicurazioni, quale compagnia assicuratrice per la r.c. auto di quest'ultima, per sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni da essa subiti a seguito di un incidente stradale.
Deduceva l'attrice che, mentre camminava sul margine destro di una strada provinciale era investita dall'auto condotta da D.M.F. riportando gravissime lesioni personali.
La s.p.a. Allianz Subalpina Assicurazioni si costituiva contestando la domanda attrice, sia in relazione all'an che in relazione al quantum.
Il Tribunale concedeva due provvisionali.
Con sentenza del 30 agosto-2 settembre 2002 il Tribunale dichiarava che l'incidente per cui è causa si era verificato per colpa concorrente di F.D.M. e M.T., rispettivamente nella misura dell'80% e del 20% e condannava i convenuti, in solido fra loro, al pagamento della somma di Euro 65.587,24 già detratto quanto corrisposto dalla s.p.a. Allianz Subalpina in corso di causa, oltre accessori.
Proponeva appello M.T. deducendo che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto l'esistenza di un suo concorso di colpa. Contestava la determinazione del danno biologico, del danno morale, delle spese medico assistenziali e di quelle future.
La Allianz Subalpina sosteneva la totale infondatezza del proposto gravame di cui chiedeva il rigetto, con integrale conferma della sentenza impugnata.
La Corte d'Appello di Ancona respingeva l'appello e confermava la sentenza impugnata.
Proponeva ricorso per cassazione M.T. con 10 motivi. Resistevano con separati controricorsi la Allianz s.p.a. (già R.A.S. s.p.a. conferitaria dell'azienda di Allianz Subalpina s.p.a.) e G.D.M.
Le parti presentavano memorie.

 

DIRITTO.
Con il primo mezzo d'impugnazione M.T. denuncia: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2043, 2054, 2697 c.c., 115, 116 c.p.c., 190 cod. str. introdotto dal d.lgs. n. 30 aprile 1992, n. 285, art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale non ha correttamente utilizzato le suddette norme in relazione alla fattispecie de qua in quanto ha confermato il concorso di colpa del pedone nella misura del 20% e quella del conducente in misura dell'80%.
La Corte ha in particolare errato, secondo M.T., per aver affermato il concorso di colpa sostenendo che la mera violazione dell'art. 190 cod. str. ha determinato il concorso di colpa affermato dal giudice di primo grado, senza neppure svolgere alcun rilievo circa l'elemento causale riferibile al pedone.
Il motivo è infondato.
In tema di investimento stradale, anche se il conducente del veicolo non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione di colpa che l'articolo 2054, comma 1, c.c., pone nei suoi confronti, non è preclusa l'indagine, da parte del giudice di merito, in ordine al concorso di colpa del pedone investito, con la conseguenza che, allorquando siano accertate la pericolosità e l'imprudenza della condotta del pedone stesso, la colpa di questo concorre, ai sensi dell'articolo 1227, comma 1, c.c., con quella presunta del conducente (Cass., 22 maggio 2007, n. 11873).
D'altra parte il pedone che si accinge ad attraversare la strada sulle strisce pedonali non è tenuto, alla stregua dell'ordinaria diligenza, a verificare se i conducenti in transito mostrino o meno l'intenzione di rallentare e lasciarlo attraversare, potendo egli fare ragionevole affidamento sugli obblighi di cautela gravanti sui conducenti. Ne consegue che la mera circostanza che il pedone abbia attraversato la strada, sulle strisce pedonali, frettolosamente e senza guardare non costituisce da sola presupposto per l'applicabilità dell'art. 1227, comma 1, c.c., occorrendo invece, a tal fine, che la condotta del pedone sia stata del tutto straordinaria ed imprevedibile (Cass., 30 settembre 2009, n. 20949). Nella specie l'impugnata sentenza ha accertato che la condotta della conducente del veicolo ha concorso in maniera rilevante alla produzione dell'evento, pur non rappresentandone la causa unica: l'appellante infatti risulta aver contravvenuto ad un preciso obbligo imposto dall'art. 190 cod. str. procedendo su un lato diverso da quello prescritto da quest'ultima norma (Cass., 30 ottobre 1998, n. 902).
Con il secondo motivo si denuncia: «Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto controverso essenziale per la decisione art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., e 366-bis c.p.c.».
Parte ricorrente ritiene insufficiente e contraddittoria la motivazione con la quale l'impugnata sentenza ha determinato il concorso di colpa della conducente dell'autovettura investitrice nella misura dell'80% e della pedone investita nella misura del 20% senza motivazione e/o con motivazione insufficiente e contraddittoria.
Ritiene parte ricorrente che, nella specie, il rapporto eziologico necessario a determinare l'imputabilità concorsuale del comportamento della pedone non sussiste e l'investimento è derivato solo dallo sbandamento dell'auto che ha attinto la pedone.
Il motivo è infondato.
Come sostiene l'impugnata sentenza la T. procedeva infatti a piedi lungo la strada, nella stessa direzione dell'auto investitrice, sul margine destro della carreggiata, contravvenendo al disposto dell'art. 190, comma 1, cod. str. Dal rapporto degli agenti di polizia intervenuti sul luogo dell'incidente si evidenzia inoltre la presenza di una banchina erbosa della quale il pedone avrebbe prudentemente potuto avvalersi, almeno in parte, anziché ingombrare detto margine stradale.
Alla luce di tali elementi deve ritenersi che il comportamento della T. non è stato privo di efficienza causale rispetto all'evento dannoso e che la motivazione sul punto è senz'altro congrua.
Con il terzo mezzo d'impugnazione parte ricorrente denuncia «Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2056 c.c., art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Sostiene M.T. che la Corte d'Appello di Ancona non ha correttamente applicato le suddette norme in relazione alla determinazione, sotto il profilo del quantum debeatur, del danno biologico da lei stessa subito.
Secondo la ricorrente la sentenza di secondo grado ha errato in particolare per avere applicato le «tabelle» del Tribunale di Milano cronologicamente corrispondenti al momento dell'incidente e non quelle pubblicate al tempo della decisione e per non avere operato alcuna integrazione in aumento in relazione alla peculiare gravità del danno da macro-permanente da essa stessa subito.
Il motivo è fondato.
In caso di lesioni gravissime con perdita della salute e con perdita totale della capacità lavorativa sia generica che specifica, il danno biologico deve essere necessariamente personalizzato calcolando anche la componente della capacità lavorativa e del danno psichico sicché, ai valori tabellari della stima statica della gravità del danno, devono aggiungersi in aumento le altre componenti, secondo un prudente apprezzamento che tenga conto del tempo della liquidazione e dell'eventuale probabile aggravamento verificatosi successivamente, ove documentato e scientificamente provato (Cass., 12 dicembre 2008, n. 29191).
Nella specie la Corte d'Appello, in presenza di lesioni gravissime, non ha provveduto alla personalizzazione del danno, limitandosi all'adozione di criteri predeterminati.
Con il quarto mezzo parte ricorrente denuncia «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 2059 c.c., art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Sostiene parte ricorrente che la Corte d'Appello di Ancona non ha correttamente applicato le norme in epigrafe in relazione alla determinazione del danno morale accertato alla ricorrente a seguito delle lesioni riportate nell'incidente per cui è causa.
Il motivo è fondato.
Nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, il giudice di merito deve infatti tener conto delle effettive sofferenze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al caso concreto. Il ricorso da parte dei giudici di merito al criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico è legittimo, purché il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria personalizzazione di detto criterio alla fattispecie e dando atto di non aver applicato i valori tabellari con mero automatismo (Cass., 9 novembre 2006, n. 23918). Nella specie M.T. ha subito un danno gravissimo e l'impugnata sentenza non ha provveduto a personalizzare il suddetto criterio.
Con il quinto motivo si denuncia «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 2059 c.c., art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale non ha correttamente applicato le norme in epigrafe in relazione alla determinazione dell'intero danno «non patrimoniale» nella concezione da ultimo proposta da questa Corte a Sezioni Unite con la sentenza dell'11 novembre 2008, n. 26972.
La decisione della Corte d'Appello di Ancona, si afferma, pur riconoscendo la necessità che il danno sia risarcito integralmente in relazione alla concretezza del caso singolo, si è limitata ad applicare le tabelle pubblicate dal Tribunale di Milano che sono invece preordinate a criteri standardizzati e quindi prive di autonoma valutazione della fattispecie concreta.
Il motivo è fondato.
Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce infatti una categoria ampia ed onnicomprensiva nella cui liquidazione il giudice deve tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima (Sez. Un. civ., 11 novembre 2008, n. 26972).
Nel caso di specie risulta dalla c.t.u. che il soggetto era gravemente menomato nella sua integrità psicofisica, che a causa della tracheotomia e dell'impedimento fonetico aveva difficoltà a verbalizzare la propria pur limitata produzione ideativa.
Con il sesto, settimo e ottavo motivo che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, si denuncia rispettivamente: 6) «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c. e 115 c.p.c., art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.»; 7) «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c., 115, 112 c.p.c., art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.»; 8) «Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motiva zione su un fatto controverso essenziale per la decisione — artt. 360, comma 1, n. 5, e 366-bis c.p.c.».
Si afferma con tali motivi che la Corte territoriale non ha fatto buon uso delle norme in epigrafe in ordine alla valutazione e quantificazione del danno emergente costituito dalle spese sostenute sino alla decisione e di quelle da affrontare in futuro.
Sostiene in particolare M.T. che in ordine a talune spese sostenute e provate la Corte d'Appello ha violato le norme in epigrafe (artt. 2056, 1223 c.c. e 115 c.p.c.) le quali assicurano il diritto del danneggiato ad essere risarcito delle spese che provi di aver sostenuto a causa dell'incidente.
In tal senso, secondo parte ricorrente, la Corte territoriale non ha fatto buon governo dell'art. 112 c.p.c. secondo il quale il giudice deve pronunciare su tutta la domanda. Infatti in ordine al capo della domanda avente ad oggetto le «spese sostenute da M.T. a causa dell'incidente nel periodo dal 16 dicembre 1997» alla decisione, la Corte d'Appello di Ancona ha omesso la pronuncia con riferimento a talune spese quali quelle per ticket per medicinali, visite specialistiche, trasporti in ambulanza, diritti di copia di cartelle cliniche, esami di laboratorio, assistenza.
I motivi sono infondati.
La Corte d'Appello ha infatti correttamente osservato che, riguardo alle spese future, il giudice deve accertare che le stesse saranno sostenute secondo una ragionevole e fondata attendibilità e che nella specie dalla c.t.u. non risulta l'esigenza di una assistenza di tipo infermieristico mentre per la manutenzione della protesi è previsto il ricovero ospedaliero a carico del servizio sanitario nazionale così come a carico di tale servizio è la terapia riabilitativa.
Quanto alle spese sostenute dal dì dell'incidente a quello della pronuncia la Corte territoriale le ha ritenute dovute in misura ridotta adottando il criterio della liquidazione forfettaria.
Con il nono motivo di ricorso si denuncia «Violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c., art. 360, comma 1, n. 3, e art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Secondo il ricorrente la Corte territoriale non ha correttamente applicato le suddette disposizioni in ordine alla qualificazione della natura del danno da incidente stradale e correlata applicazione della rivalutazione monetaria e degli interessi.
Il motivo è infondato.
Secondo l'impugnata sentenza l'importo determinato in valori monetari correnti all'epoca della sentenza di primo grado, costituiscono debito di valuta in conseguenza della liquidazione operata e sono suscettibili di incremento sulla base degli interessi legali fino al saldo, senza operare ulteriore valutazione, in applicazione della sentenza di questa Corte (Sez. Un., 17 febbraio 1995, n. 1712).
Con il decimo ed ultimo motivo si denuncia «Violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c., art. 112-115 c.p.c., art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione delle facoltà che il nostro ordinamento offre al giudice per decidere correttamente. Basti ricordare che nella fattispecie de qua la Corte territoriale non ha vagliato nel complesso le prove della parte, e soprattutto non ha neppure preso in esame i titoli e tantomeno adempiuto l'obbligo di motivazione.
Il motivo è infondato.
La valutazione delle prove rientra infatti nella discrezionalità del giudice di merito che, ai fini della decisione, non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averle vagliate, nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.
In conclusione, devono essere accolti il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso e rigettati gli altri. L'impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Ancona in diversa composizione. (Omissis).


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