La responsabilità dei genitori culpa in educando

Con la sentenza n  18804 del 2009 la Suprema Corte afferma la responsabilità solidale dei genitori, per culpa in educando, per il danno non patrimoniale sofferto dagli stretti congiunti della vittima di omicidio perpetrato dal figlio infradiciottenne. La responsabilità è stata affermata, nonostante la prossimità del compimento del diciottesimo anni, confermandosi la non sufficienza dell'impossibilità della vigilanza ad escludere la responsabilità dei genitori ove, per la natura del fatto dannoso, emergano gravi lacune del percorso educativo.


Cassazione civile  sez. III del 28 agosto 2009 n. 18804
attiene all'elemento soggettivo del reato - di cui attenua la gravità, giustificando una riduzione della pena - ma è in linea di principio irrilevante in ordine all'accertamento del nesso causale fra illecito e danno e dell'entità dei danni. Tuttavia, ai fini della liquidazione dei danni non patrimoniali, il giudice può tenere conto - fra le molteplici circostanze rilevanti ai fini della valutazione equitativa - anche della gravità dell'offesa e dell'intensità dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa, sicché l'omessa considerazione della provocazione può assumere rilievo sotto il profilo della violazione dell'art. 2059 c.c.

I genitori sono solidalmente responsabili nei riguardi dei parenti della vittima di un omicidio commesso dal loro figlio minorenne, ancorché prossimo al compimento della maggiore età al momento del fatto. Tale responsabilità va ravvisata non in un difetto di vigilanza, data l'età del figlio, ma nell'inadempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del minore, in termini tali da consentirne l'equilibrato sviluppo psicoemotivo, la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale. Correttamente il giudice del merito può desumere il grado di educazione dal comportamento del minore, quando esso manifesti un fallimento educativo quanto alla capacità di frenare i propri istinti o di incanalarli in modalità espressive meno gravi e violente.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE                

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. VARRONE      Michele                        -  Presidente   - 
Dott. UCCELLA      Fulvio                         -  Consigliere  - 
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno                          -  Consigliere  - 
Dott. AMBROSIO     Annamaria                      -  Consigliere  - 
Dott. LANZILLO     Raffaella                 -  rel. Consigliere  - 
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1805/2005 proposto da:
L.A. (OMISSIS),            D.G.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MERCURI 8, presso lo studio dell'avvocato SINISCALCHI VINCENZO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato SQUARCIA EMANUELE giusta procura speciale del Dott. Notaio ROBERTO CANNAVO' in Lentini 08/04/2009 rep. 2631;

ricorrenti –

contro

I.F. (OMISSIS), L.N. (OMISSIS), I.G. (OMISSIS),I.N.GR. (OMISSIS), I.M.R. (OMISSIS);

intimati

sul ricorso 5674/2005 proposto da:
I.F.,  L.N., I.G., IN.GR., I.M.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALESSANDRO  SERPIERI 11, presso lo studio dell'avvocato METE ALESSANDRO,  rappresentati e difesi dagli avvocati ITALIA FEDERICO, FLORIO FABIO  giusta delega in calce al ricorso;

ricorrenti

contro

D.G.C., L.A., elettivamente domiciliati in VIA MERCURI 8, ROMA, presso lo studio dell'avvocato SINISCALCHI VINCENZO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato SQUARCIA EMANUELE giusta procura speciale del Dott. Notaio ROBERTO CANNAVO' in Lentini 08/04/2009 rep. 2631;

resistenti

avverso la sentenza n. 995/2004 della CORTE D'APPELLO di CATANIA 2^  SEZIONE CIVILE, emessa il 22/09/2004, depositata il 16/10/2004;
R.G.N. 1198/2001;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del  19/05/2009 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione 27.3.1992 I.F. e L.N., In.Gr., I.M.R. e I.G. hanno convenuto davanti al Tribunale di Siracusa L.A. e D.G.C., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sul figlio minore L.I., chiedendo il risarcimento dei danni per la morte del rispettivo figlio e fratello, In.Fi., ucciso da L.I. nel corso di una lite. Hanno chiesto altresì la convalida del sequestro conservativo dei beni dei convenuti, ottenuto prima della causa.
I convenuti hanno resistito alla domanda, contestando la responsabilità.
Nel corso del giudizio il Tribunale ha respinto con sentenza parziale la domanda di convalida del sequestro, ritenendo insussistente il periculum in mora. Il processo è stato poi interrotto e riassunto a seguito del raggiungimento della maggiore età da parte di L.J..
Con sentenza definitiva 21.3.2001 il Tribunale, previa separazione delle domande proposte contro L.I., a causa di un vizio della notifica dell'atto di riassunzione, ha condannato L.A. e D.G.C., in via fra loro solidale, a pagare L. 250 milioni ciascuno ai coniugi I., e L. 50 milioni ad ognuna delle tre sorelle.
Proposto appello principale dai coniugi L. e incidentale dagli I., con sentenza 22 settembre - 16 ottobre 2004 n. 995 la Corte di appello di Catania, in parziale riforma, ha ridotto ad Euro 77.500,00 la somma spettante ad ognuno dei genitori della vittima, e ad Euro 20.660 la somma spettante a ciascuna delle sorelle, oltre agli interessi ed oltre ai due terzi delle spese dell'intero giudizio. Ha altresì convalidato il sequestro conservativo.
Con atto notificato a mezzo posta il 12.1.2005 L.A. e D.G.C. propongono tre motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso gli intimati, i quali propongono due motivi di ricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi (art. 335 c.p.c.).
2.- Con il primo motivo ì ricorrenti principali denunciano contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto inammissibili, perchè generiche e tali da demandare ai testi giudizi e valutazioni, le prove testimoniali da essi dedotte a dimostrazione di avere impartito al minore una sana e corretta educazione. A loro avviso le prove avrebbero dovuto essere ammesse, considerato anche il prestigio dei testimoni indicati, fra i quali figurano la suora che aveva seguito l'educazione religiosa del ragazzo e stimati colleghi dei ricorrenti, che avevano sempre frequentato la famiglia.
Lamentano poi che la Corte di appello abbia loro imputato la responsabilità per il comportamento del figlio sulla base di fatti successivi al raggiungimento della maggiore età da parte di lui, fra cui i comportamenti descritti nella relazione redatta dai responsabili della Casa del Sorriso, dove L.I. era stato accolto dopo il reato; senza tenere conto che L.I. aveva diciassette anni e mezzo, al momento del fatto, e che la responsabilità dei genitori si affievolisce via via che il figlio si avvicina alla maggiore età; che abbia imputato a loro negligenza il fatto che L.I. non avesse completato l'obbligo scolastico, mentre ciò dipendeva dal fatto che il ragazzo era stato avviato al lavoro presso il mobilificio di famiglia fin da giovanissimo ed ivi collaborava con i genitori.
3.- Con il secondo motivo deducono ancora vizi di motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha trascurato di considerare che la sentenza penale ha riconosciuto a L.I. l'attenuante della provocazione, per avere egli agito in un incontrollabile impulso d'ira determinato dal comportamento della vittima.
Ed invero In.Fi., omosessuale, da tempo importunava L.I. con profferte amorose, minacciando in caso di rifiuto di diffondere la voce che era anch'egli omosessuale, ed in particolare di dirlo alla ragazza di lui; con allusioni al fatto che correva voce che l' I. avesse avuto in passato una relazione con il padre di L.I..
Rilevano i ricorrenti che uno scatto d'ira suscitato dall'altrui provocazione, in un giovane vicino alla maggiore età e lontano dal controllo dei genitori, non può essere imputato a responsabilità educative, ma esclusivamente ai comportamenti dell'autore e della vittima dell'illecito.
Nè troverebbero riscontro nelle prove acquisite agli atti gli episodi di comportamento arrogante, erroneamente attribuiti a L.I. dopo il delitto.
4.- I due motivi - che vanno congiuntamente esaminati, perchè connessi - non sono fondati.
Le censure attengono alla valutazione dei fatti e delle prove in base ai quali la Corte di appello ha ritenuto di dovere imputare ai genitori la responsabilità per il delitto compiuto dal figlio diciassettenne: responsabilità che vanno ravvisate non in un difetto di vigilanza, data l'età del figlio, ma nell'inadempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del minore, in termini tali da consentirne l'equilibrato sviluppo psicoemotivo, la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale.
Trattasi di valutazioni del giudice di merito non suscettibili di riesame in sede di legittimità se non sotto il profilo degli eventuali vizi di motivazione, da ravvisare nell'eventuale incoerenza od illogicità dell'iter logico in base al quale il giudice è pervenuto al suo convincimento, o nel manifesto contrasto fra i dati di fatto posti a fondamento della decisione e le risultanze probatorie acquisite agli atti.
La sentenza impugnata non presenta alcun vizio di tal genere.
Appare logica e congruente la decisione di non ammettere le prove dedotte dai ricorrenti, prove articolate in capitoli che appaiono effettivamente generici, in quanto demandano ai testi giudizi e valutazioni, senza specificare i fatti che sarebbero idonei a giustificare quei giudizi.
Nè la qualità o il prestigio dei testimoni può valere a sanare l'erronea formulazione dei capitoli di prova.
Vero è poi che il minore era vicino ai dicìotto anni, ma ciò non esclude che il suo comportamento abbia manifestato un fallimento educativo, quanto alla capacità di frenare i propri istinti o di incanalarli in modalità espressive meno gravi e violente: reazioni che peraltro sembrano avere tratto origine proprio da comportamenti dei genitori, ed in particolare del padre, che unitamente all'atteggiarsi del contesto sociale in cui la famiglia si trovava a vivere - hanno probabilmente ferito la sensibilità del minore nelle sue corde più profonde e meno controllabili.
La Corte di appello ha giustamente rilevato che, di fronte alle dicerie sulle sue frequentazioni omosessuali con la vittima, il padre di L.I. non chiarì mai la propria situazione con il figlio, ma lo lasciò in balia delle maldicenze, che tanto nefasta influenza possono esercitare sulla personalità ancora fragile di un minorenne.
Questo è probabilmente il punto centrale della vicenda.
L'educazione è fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti e di presenza accanto ai figli, a fronte di circostanze che essi possono non essere in grado di capire o di affrontare equilibratamente.
L.I. è stato lasciato praticamente solo di fronte alle provocazioni della vittima e dell'ambiente, in relazione a comportamenti, veri o presunti, di un genitore, in relazione ai quali si è trovato indifeso. Donde la reazione di ribellione e di violenza.
Proprio con l'avvicinarsi dell'età maggiore - allorchè acquista la capacità di fare del male tanto quanto un adulto, serbando però l'inettitudine a dominare i propri istinti e le altrui offese, che caratterizza l'età immatura - il minore ha particolare bisogno di essere sostenuto, rasserenato ed anche controllato: soprattutto in relazione a vicende, presenti e passate, quali quelle in esame.
Neppure è suscettibile di censura il giudizio della Corte di appello, nella parte in cui ha addebitato ai genitori il fatto di non avere indotto il figlio a completare la scuola dell'obbligo.
Trattasi di comportamento che - pur se motivato dalle migliori intenzioni - ha privato il giovane dell'apporto di socializzazione, amicizie, ampliamento dei riferimenti culturali oltre il contesto familiare e di paese, che bene o male la scuola favorisce. 5.- Con il terzo motivo, deducendo violazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4, per totale carenza o illogicità della motivazione sulla quantificazione dei danni morali, i ricorrenti lamentano che tali danni siano stati liquidati in importi rilevanti e non giustificati, senza tenere conto della provocazione da parte della vittima, che dovrebbe invece comportare un'attenuazione del risarcimento, ai sensi dell'art. 62 c.p., artt. 1227 e 2046 c.c..
5.1.- Il motivo va esaminato congiuntamente al primo motivo di ricorso incidentale, che muove alla sentenza impugnata una censura uguale ed opposta, cioè quella di avere ingiustificatamente ridotto le somme liquidate dal Tribunale in risarcimento dei danni morali, senza considerare che non vi è prezzo che possa ripagare la vita di un figlio.
5.2.- Entrambi i motivi debbono essere rigettati.
La Corte di appello ha proceduto alla liquidazione dei danni morali con implicito riferimento alla motivazione del Tribunale, che ha fatto propria, ritenendo tuttavia di dovere equitativamente apportare una riduzione agli importi liquidati.
Trattasi di valutazione non suscettibile di censura sotto il profilo della legittimità, in relazione alla quale i ricorrenti prospettano censure del tutto generiche, che attengono essenzialmente al merito della decisione e che pertanto sono inidonee a giustificare la riforma della sentenza impugnata, sotto il profilo dei vizi di motivazione.
Il richiamo dei ricorrenti principali alla provocazione non è in termini.
La provocazione attiene all'elemento soggettivo del reato - di cui attenua la gravità, giustificando una riduzione della pena - ma è in linea di principio irrilevante in ordine all'accertamento del nesso causale fra illecito e danno e dell'entità dei danni. Sicchè non ricorrono i presupposti per l'applicazione degli artt. 2046 e 1227 c.c., richiamati dai ricorrenti.
Vero è che, ai fini della liquidazione dei danni non patrimoniali, il giudice può tenere conto - fra le molteplici circostanze rilevanti ai fini della valutazione equitativa - anche della gravità dell'offesa e dell'intensità dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa, sicchè l'omessa considerazione della provocazione potrebbe assumere rilievo sotto il profilo della violazione dell'art. 2059 c.c..
La sentenza impugnata, tuttavia, ha effettivamente ridotto le somme liquidate dal Tribunale in risarcimento dei danni non patrimoniali, in relazione alle censure proposte in appello dai ricorrenti ed, avendo (inevitabilmente) dovuto procedere alla quantificazione dei danni con valutazione equitativa, la decisione non è suscettibile di censura, non sussistendo parametri precisi a cui commisurare l'entità della riduzione applicabile in relazione alle varie peculiarità della fattispecie, ivi inclusa la provocazione.
6.- Con il primo motivo del ricorso incidentale gli I. lamentano violazione dell'art. 132 c.p.c., e difetto di motivazione, nella parte in cui la Corte di appello ha loro negato il risarcimento dei danni patrimoniali, per il fatto che la vittima, vivendo fuori casa, non contribuiva al mantenimento dei genitori. Assumono che il ragazzo aveva intrapreso una promettente carriera nel settore della moda ed avrebbe realizzato cospicui guadagni, con i quali avrebbe certamente provveduto anche ai loro bisogni, sebbene non coabitasse con loro.
6.1.- Il motivo deve essere rigettato.
Le doglianze sono generiche e non prospettano alcuna circostanza, la cui prova sarebbe acquisita agli atti, idonea a dimostrare l'esistenza e l'entità dei danni patrimoniali, che la Corte di appello avrebbe ingiustamente disatteso.
Al contrario, la sentenza impugnata ha rilevato nella motivazione che i ricorrenti non hanno fornito alcuna prova dell'entità dei loro redditi e della loro necessità di poter contare sugli introiti del figlio e sul contributo di lui al loro mantenimento.
Giustamente, pertanto, la domanda è stata rigettata.
7.- Il secondo motivo, con cui i ricorrenti incidentali denunciano la violazione dell'art. 91 c.p.c., per avere la Corte di appello compensato parte delle spese processuali, anzichè porle interamente a carico dei L., è inammissibile, sia perchè del tutto privo di motivazione, sia perchè il giudice di merito può disporre a sua discrezione la parziale o totale compensazione delle spese, incontrando come unico limite il divieto di condannare al pagamento la parte vittoriosa (cfr., fra le altre, Cass. civ. Sez. Ili, 11 gennaio 2008 n. 406).
8.- Entrambi i ricorsi debbono essere rigettati.
9.- Considerata la reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio si compensano per intero.

P.Q.M.

La Corte di cassazione riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 200
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