indennità di accompagnamento anche in caso di ricovero in istituto

L'indennità di accompagnamento è una prestazione assistenziale riconosciuta in presenza di una condizione di inabilità e sempre che il soggetto versi nell'impossibilità di deambulare ovvero di attendere agli atti quotidiani della vita senza continua assistenza; l'art.art. 1 comma 3 della l. n. 18 del 1990 esclude dall'indennità di accompagnamento gli "invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto".
 
Sul punto la Suprema Corte è intervenuta per fornire chiarimenti in merito alla nozione di ricovero gratuito in istituto idoneo ad escludere il diritto all'indennità.
 
In particolare la Suprema Corte con una serie di pronunce ha esteso il perimetro del diritto all'indennità di accompagnamento ritenendo che la stessa spetti anche in caso di ricovero gratuito in ospedale laddove la struttura non assolva per intero alle funzioni cui è preordinata l'indennità di accompagno costringendo il beneficiario a rivolgersi all'esterno erogando un corrispettivo, ad esempio, ad un infermiere privato ovvero inducendo i familiari del beneficiario a fornire gratuitamente assistenza sostitutiva.
 
Il problema che si pone, come sinteticamente enucleato dalla Suprema Corte nella sentenza che qui brevemente si annota è se un ricovero presso un ospedale pubblico possa costituire l'equivalente del ricovero gratuito in istituto, essendo lecito il dubbio se il legislatore, nel sancire la ricordata esclusione dall'indennità, abbia inteso significare che l'indennità di accompagnamento non è erogata in caso di "ricovero presso qualsiasi struttura" di cura ovvero se la citata erogazione venga meno solo in caso di ricovero presso un "istituto", vale a dire una struttura in cui, oltre alle cure mediche, venga garantita al paziente totalmente invalido e non autosufficiente (come nella specie è pacifico) una assistenza completa, anche di carattere personale, continuativa ed efficiente in ordine a tutti gli "atti quotidiani della vita" cui l'indennità in parola è destinata a fare fronte, tale da rendere superflua la presenza dei familiari o di terze persone.
 
La Suprema Corte con la sentenza n 2270 del 2 febbraio 2007, seguita peraltro da giurisprudenza successiva, ha ritenuto di seguire questa seconda interpretazione, indicata come la più ragionevole e lineare con lo spirito della legge.

Cassazione civile  sez. lav. 02 febbraio 2007 n. 2270

In tema di indennità di accompagnamento, il ricovero presso un ospedale pubblico non costituisce "sic et simpliciter" l'equivalente del ricovero in istituto ai sensi dell'art. 1 comma 3 l. n. 18 del 1990 - che esclude dall'indennità di accompagnamento gli "invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto" - e, pertanto, il beneficio può spettare all'invalido grave anche durante il ricovero ove si dimostri che le prestazioni assicurate dall'ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la vita quotidiana. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza della corte territoriale che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva escluso il diritto alla prestazione assistenziale in favore di una giovane donna, e per lei al padre e tutore, in stato di coma profondo da decerebrazione, continuativamente e gratuitamente ricoverata in ospedale, sul presupposto della non erogabilità della prestazione in ipotesi di lungo-degenze in strutture pubbliche ospedaliere, dell'irrilevanza della volontà o necessità dei familiari di essere vicini alla loro cara per sopperire ad eventuali carenze del personale o per stimolarla emotivamente).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. P.M., nata il (OMISSIS), versa dal 1986 in stato di coma profondo da decerebrazione ed è stata continuativamente e gratuitamente ricoverata in ospedale. Il padre e tutore ha chiesto l'indennità di accompagnamento, che è stata riconosciuta in via amministrativa con decorrenza 1.4.1989. Successivamente, essendo emerso che la P. era ricoverata in permanenza presso il Policlinico, il Prefetto revocava la concessione dell'indennità in parola con provvedimento in data 12.6.2000 ed invitava il P. a restituire quanto riscosso a far tempo dal 1.2.1995. Con ricorso depositato in data 6.11.2000, P.C. chiedeva che venisse riconosciuto il diritto alla prestazione "de qua".
2. Previa costituzione ed opposizione dell'INPS, il Tribunale di Verona accoglieva la domanda attrice, ritenendo che nella specie il ricovero in un ospedale non escludeva la necessità di ulteriore assistenza, specie di tipo affettivo e psicologico. Proponeva appello l'INPS e la Corte di Appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dall'attore P. e lo condannava alla restituzione dei ratei indebitamente percepiti. La Corte di Appello così motivava: la L. n. 18 del 1980, art. 1, prevede la corresponsione dell'indennità di accompagnamento in favore degli invalidi civili che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, necessitano di assistenza continua;
tale ipotesi ricorre indubbiamente nella fattispecie;
il comma 3 della norma citata prevede peraltro l'esclusione dell'erogazione nel caso di invalidi civili gravi, ricoverati gratuitamente in istituto;
l'appellata si trova da oltre un quindicennio continuativamente e gratuitamente ricoverata presso un reparto ospedaliero;
è pertanto fondato l'appello dell'INPS, dato che la norma non lascia adito a dubbi circa la non-erogabilità della prestazione in ipotesi di lungo-degenze in strutture pubbliche ospedaliere;
non rileva la volontà o la necessità dei familiari di essere vicini alla figlia, per sopperire ad eventuali carenze del personale o per cercare di stimolare emotivamente la paziente;
la previsione dell'indennità di accompagnamento risponde ad esigenze diverse da quelle ritenute dal giudice, per le quali soccorrono altri istituti (pensione di inabilità); deve porsi in diritto la questione se il ricovero gratuito in struttura pubblica costituisca requisito essenziale del diritto all'indennità, ovvero elemento esterno che impedisce l'erogazione della stessa per il tempo in cui l'inabile sia ricoverato a carico dell'erario;
nella fattispecie detta questione è irrilevante, posto che non è possibile formulare sicura prognosi circa l'uscita dallo stato di coma.
3. Ha proposto ricorso per Cassazione P.C., nella spiegata qualità, deducendo un motivo. L'INPS si è costituito con procura e non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con l'unico motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 della L. n. 18 del 1980, art. 1, comma 3 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5: la Corte di Appello ha fondato la propria decisione su di una interpretazione meramente letterale della norma, la quale intende invece incoraggiare i familiari all'assistenza , ma non osta al riconoscimento dell'indennità di accompagnamento quando l'invalido, pur ricoverato in ospedale e curato, non è totalmente assistito dalla struttura e quindi necessita della continua assistenza anche dei familiari per sopravvivere. Detti familiari, in ospedale come a domicilio, dovranno pur sempre pagare infermieri ed assistenti, abbandonare il lavoro, effettuare un sostegno economico aggiuntivo.
5. Il ricorso è fondato nei sensi di cui "infra". La L. n. 18 del 1980, art. 1, comma 3, sopra citata dispone che sono esclusi dall'indennità di accompagnamento gli "invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto". Il problema che si pone nella presente fattispecie è se un ricovero presso un ospedale pubblico possa costituire l'equivalente del ricovero gratuito in istituto, essendo lecito il dubbio se il legislatore, nel sancire la ricordata esclusione dall'indennità, abbia inteso significare che l'indennità di accompagnamento non è erogata in caso di "ricovero presso qualsiasi struttura" di cura ovvero se la citata erogazione venga meno solo in caso di ricovero presso un "istituto", vale a dire una struttura in cui, oltre alle cure mediche, venga garantita al paziente totalmente invalido e non autosufficiente (come nella specie è pacifico) una assistenza completa, anche di carattere personale, continuativa ed efficiente in ordine a tutti gli "atti quotidiani della vita" cui l'indennità in parola è destinata a fare fronte, tale da rendere superflua la presenza dei familiari o di terze persone.
6. L'esame della giurisprudenza di questa Corte di Cassazione induce a ritenere preferibile questa seconda tesi. "Il ricovero di un inabile totale, sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, in una struttura pubblica non in grado di prestargli tutte le cure necessarie per un'adeguata assistenza infermieristica può giustificare, in via eccezionale rispetto a quanto testualmente dispone la L. n. 18 del 1980, art. 1, il riconoscimento del diritto all'indennità di accompagnamento anche per il periodo di ricovero soltanto nell'ipotesi in cui, proprio a causa di tale necessaria integrazione, l'assistito abbia subito un danno ingiusto perchè costretto a retribuire il cosiddetto "infermiere privato": Cass. 2.11.1998 n. 10946. Il principio è ripreso da Cass. 8.4.2002 n. 5017, la quale ha riconosciuto l'indennità di accompagnamento in favore di un invalido psichico, necessitante di continuo controllo anche con eventuale ricovero presso appositi istituti. Più in generale, Cass. 20.7.1995 n. 7917 prevede che la condizione del non- ricovero in istituto si pone come elemento esterno alla fattispecie e non osta al riconoscimento dell'indennità di accompagnamento per il tempo in cui il disabile sia ricoverato in istituto e non abbisogni dell'accompagnatore.
7. Sulla scorta di tali principi, va dunque affermato che il ricovero presso un ospedale pubblico non costituisce "sic et simpliciter" l'equivalente del "ricovero in istituto" ai sensi della L. n. 18 del 1980, art. 1, comma 3 e che pertanto l'indennità di accompagnamento può spettare all'invalido civile grave anche durante il ricovero in ospedale, ove si dimostri che le prestazioni assicurate dall'ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la vita quotidiana.
8. Tale indagine è mancata nel processo di appello. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata ed il processo va rinviato alla Corte di Appello di Bologna, la quale dovrà uniformarsi al principio di cui al paragrafo che precede e provvederà altresì alle statuizioni circa le spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Bologna.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2007
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