indennizzo legge 210: la IIS si rivaluta e la prescrizione è decennale

indennizzo legge 210: la IIS si rivaluta e la prescrizione è decennale

 

La S.C. fa il punto sull'indennizzo per danni da trasfusioni ex legge 210 e ribadisce che l'indennità integrativa speciale va rivalutata precisando che l'amministrazione è tenuta a pagare le integrazioni sui ratei pregressi entro il limite del termine di prescrizione decennale

  

L'art. 1 della L. n. 210 del 1992 prevede che "Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge).

I commi 1 e 2 dell’art. 2 della l. n. 210 del 1992 prevedono, al comma 1, che l'indennizzo di cui all'art. 1 consiste “in un assegno, reversibile per quindici anni, determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall'articolo 8 della legge 2 maggio 1984, n. 111. L'indennizzo è cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito ed è rivalutato annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato” e, al comma 2 che ”L'indennizzo di cui al comma 1, è integrato dall'indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, prevista per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato, ed ha decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda ai sensi dell'articolo 3. La predetta somma integrativa è cumulabile con l'indennità integrativa speciale o altra analoga indennità collegata alla variazione del costo della vita. Ai soggetti di cui al comma 1 dell'articolo 1, anche nel caso in cui l'indennizzo sia stato già concesso, è corrisposto, a domanda, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento dell'indennizzo previsto dalla presente legge, un assegno una tantum nella misura pari, per ciascun anno, al 30 per cento dell'indennizzo dovuto ai sensi del comma 1 e del primo periodo del presente comma, con esclusione di interessi legali e rivalutazione monetaria”.

Si è posta in giurisprudenza la questione se dovesse essere rivalutata solo la componente base dell'indennizzo prevista dal comma 1 o anche l'indennità integrativa speciale.

A seguito della pronuncia della Corte Costituzionale  n. 293 del 9.11.2011, la Suprema Corte di Cassazione, in merito alla soluzione della questione di diritto controversa, si è orientata in modo univoco (con pronunce emesse dalla VI° Sezione) nel senso che “In tema di danni da trasfusione e somministrazione di emoderivati, l'indennità integrativa speciale, prevista dall'art. 2, comma 2, l. 210 del 1992, è soggetta a rivalutazione annuale, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 293 del 2011, che ha dichiarato illegittima l'esclusione della rivalutazione per violazione del principio di uguaglianza, rispetto alla disciplina, introdotta con l'art. 2, comma 363, della l. 244 del 2007, dei danni da somministrazione di talidomide” (cfr. Cassazione civile    sez. VI 17/09/2013 n 21225) e che “la spettanza della rivalutazione non è ancorata all'entrata in vigore della legge n. 244 del 2007” (cfr. Cass. Civ. Sez. VI n. 10769/12).

Ulteriore profilo, conseguente, che si è posto è quello di stabilire se, per effetto dell'obbligo di corrispondere gli arretrati dell'indennizzo, questi ultimo dovessero essere assoggettati al regime di prescrizione quinquennale o decennale.

Al riguardo, con la recente sentenza della Suprema Corte n. 7885/2014, nel confermare la decisione della Corte di Appello gravata, si è ritenuto di fare applicazione del principio generale secondo cui i ratei non ancora liquidati si prescrivono nel termine di dieci anni.

Cassazione civile, sez. VI, 03/04/2014, n. 7885

2. "Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Torino respingeva il gravame svolto dal Ministero della Salute avverso la sentenza di prime cure di accoglimento della domanda proposta da M. C. nei confronti del suddetto Ministero, intesa ad ottenere la rivalutazione, sulla base degli indici Istat, anche dell'indennità integrativa speciale computata nell'indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 di cui godeva.

3. Avverso detta sentenza il Ministero propone ricorso con un articolato motivo.

4. L'intimata non ha resistito.

5. Il ricorso va dichiarato manifestamente infondato conformemente alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (da ultimo, Cass. 29914/2011).

6. Invero era stato affermato (Cass. n. 21703 del 2009, disattendendo il precedente orientamento di cui a Cass. n. 15894 del 2005) che "In materia di danni da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni od emoderivati, la rivalutazione annuale non si applica all'indennità integrativa speciale, prevista dalla L. 25 luglio 1992, n. 210, art. 2, comma 2, sia perchè il legislatore ne ha espressamente stabilito il riconoscimento solo per l'indennizzo da emotrasfusione;

rivalutazione indennità integrativa speciale l'indennizzo, autonomamente disciplinato dall'art. 2 cit., comma 1 (così come modificato dalla L. 25 luglio 1997, n. 238), sia perchè l'indennità integrativa speciale ha proprio la funzione di attenuare od impedire gli effetti della svalutazione monetaria, per cui è ragionevole che ne sia esclusa normativamente la rivalutabilità".

7. L'infondatezza della pretesa era stata poi confermata dalla successiva sentenza n. 22112 del 2009, che si era data carico di risolvere il contrasto.

8. Inoltre con il D.L. n. 78 del 2010, art. 11, comma 13 convertito in L. n. 122 del 2010, si è disposto che "la L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2, comma 2, e successive modifiche, si interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo della indennità integrativa speciale non è rivalutato secondo il tasso di inflazione".

9. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 293 del 2011, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 11, commi 13 e 14, ritenendo tale disciplina non conforme al canone di ragionevolezza.

10. La Corte Costituzionale ha affermato, con detta sentenza: "Va premesso che, come questa Corte ha già chiarito, la menomazione della salute conseguente a trattamenti sanitari può determinare, oltre al risarcimento del danno in base alla previsione dell'art. 2043 c.c., il diritto ad un equo indennizzo, in forza dell'art. 32 in collegamento con l'art. 2 Cost., qualora il danno, non derivante da fatto illecito, sia conseguenza dell'adempimento di un obbligo legale, come la sottoposizione a vaccinazioni obbligatorie (fattispecie alla quale è stato assimilato il caso in cui il danno sia derivato da un trattamento sanitario che, pur non essendo giuridicamente obbligatorio, sia tuttavia, in base ad una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società: sentenza n. 27 del 1998); nonchè il diritto, qualora ne sussistano i presupposti a norma dell'art. 2 Cost. e dell'art. 38 Cost., comma 2, a misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore nell'ambito della propria discrezionalità (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996). La situazione giuridica di coloro che, a seguito di trasfusione, siano affetti da epatite è riconducibile all'ultima delle ipotesi ora indicate. E il legislatore, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, è intervenuto con la L. n. 210 del 1992, prevedendo (tra l'altro) un indennizzo consistente in una misura di sostegno economico, fondato sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua dei citati artt. 2 e 38 Cost., a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenza n. 342 del 2006, punto 3 del Considerato in diritto), misura che trova fondamento nella insufficienza dei controlli sanitari predisposti nel settore (sentenza n. 28 del 2009). Le scelte del legislatore, nell'esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualità, della misura, della gradualità e dei modi di erogazione delle provvidenze da adottare, rientrano nella sfera della sua discrezionalità. Tuttavia, compete a questa Corte verificare che esse non siano affette da palese arbitrarietà o irrazionalità, ovvero non comportino una lesione della parità di trattamento o del nucleo minimo della garanzia (sentenze n. 342 del 2006 e n. 226 del 2000). Ciò posto, si deve rilevare che con la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 363, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008), è stato disposto che "L'indennizzo di cui alla L. 29 ottobre 2005, n. 229, art. 1 è riconosciuto, altresì, ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell'omonimo farmaco, nelle forme dell'amelia, dell'emimelia, della focomelia e della macromelia". La L. 29 ottobre 2005, n. 229, art. 1, rinvia, a sua volta, ai soggetti di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 1 e disciplina l'ulteriore indennizzo ai medesimi spettante, determinandone importo e modalità di erogazione (comma 1). Il comma 4 della norma statuisce che "L'intero importo dell'indennizzo, stabilito ai sensi del presente articolo, è rivalutato annualmente in base alla variazione degli indici ISTAT". Per il richiamo effettuato dalla L. n. 24 del 2007 all'intero L. n. 229 del 2005, art. 1 anche quest'ultima disposizione si applica all'indennizzo riconosciuto ai soggetti affetti da sindrome da talidomide. Del resto, il regolamento di esecuzione della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 363, recato dal decreto ministeriale 2 ottobre 2009, n. 163 ribadisce nell'art. 1, comma 4, che l'importo dell'indennizzo suddetto "è interamente rivalutato annualmente in base alla variazione degli indici ISTAT. u. Orbene, come già chiarito da questa Corte, non è ravvisabile irrazionale disparità di trattamento dei soggetti danneggiati in modo irreversibile da emotrasfusioni rispetto a quanti abbiano ricevuto una menomazione permanente alla salute da vaccinazioni obbligatorie, trattandosi di situazioni diverse che non si prestano ad entrare in una visione unificatrice (sentenza n. 423 del 2000 e ordinanza n. 522 del 2000). Non altrettanto, però, può dirsi per la situazione delle persone affette da sindrome da talidomide. Invero, la ratio del beneficio concesso a tali persone è da ravvisare nell'immissione in commercio del detto farmaco in assenza di adeguati controlli sanitari sui suoi effetti, sicchè esso ha fondamento analogo, se non identico, a quello del beneficio introdotto dalla L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3. Nella sindrome da talidomide, come nell'epatite post-trasfusionale, i danni irreversibili subiti dai pazienti sono derivati da trattamenti terapeutici non legalmente imposti e neppure incentivati e promossi dall'autorità nell'ambito di una politica sanitaria pubblica.

12. Entrambe le misure hanno natura assistenziale, basandosi sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini alla stregua degli artt. 2 e 38 Cost..

13. In questo quadro non si giustifica, e risulta, quindi, fonte di una irragionevole disparità di trattamento in contrasto con l'art. 3 Cost., comma 1, la situazione venutasi a creare, a seguito della normativa censurata, per le persone affette da epatite post- trasfusionale rispetto a quella dei soggetti portatori della sindrome da talidomide.

14. A questi ultimi è riconosciuta la rivalutazione annuale dell'intero indennizzo, mentre alle prime la rivalutazione (sulla base del tasso di inflazione programmato: L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 1) è negata proprio sulla componente diretta a coprire la maggior parte dell'indennizzo stesso, con la conseguenza, tra l'altro, che soltanto questo rimane esposto alla progressiva erosione derivante dalla svalutazione. E ciò ad onta delle caratteristiche omogenee come sopra riscontrate tra i due benefici.

15. La tesi della difesa dello Stato, secondo cui essi in realtà resterebbero differenziati ab angine, "nel senso che il relativo ammontare è comunque diverso", anche a prescindere dalla rivalutabilità o meno della componente commisurata alla indennità integrativa speciale inclusa nella base di calcolo, non può essere condivisa. Infatti, il diverso ammontare dell'indennizzo attiene alla determinazione del quantum e, quindi, risponde a legittime scelte discrezionali del legislatore che non sono qui in discussione. Esse, comunque, non incidono sulle ragioni unificanti sopra evidenziate.

16. Conclusivamente, alla stregua delle esposte considerazioni, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale del D.L. n. 78 del 2010, art. 11, comma 13, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010, art. 1, comma 1. La declaratoria riguarda anche il successivo comma 14, trattandosi di disposizione strettamente connessa alla precedente, in quanto diretta a regolare gli effetti intertemporali della norma interpretativa, della quale, dunque, segue la sorte" (così Corte cost. 293/2011)".

17. Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

18. Il Collegio condivide il contenuto della relazione.

19. Quanto al regime prescrizionale applicabile, si osserva che questa Corte ha già avuto modo di affermare (da ultimo, ordinanza n. 3047 del 2014) che alle componenti essenziali di ratei di prestazioni previdenziali o assistenziali non liquidate si applica la prescrizione ordinaria decennale e non la prescrizione quinquennale, che presuppone la liquidità del credito, da intendere, non secondo la nozione comune desumibile dall'art. 1282 cod. civ., ma quale effetto del completamento del procedimento amministrativo di liquidazione della spesa (procedimento di contabilità, diverso da quello di liquidazione della spesa) con messa a disposizione dell'avente diritto delle relative somme, come fatto palese dal disposto del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129 secondo cui si prescrivono in cinque anni a favore dell'istituto le rate di pensione "non riscosse"; ne consegue che il diritto di credito relativo a qualsiasi somma (ivi compresa quella per rivalutazione ed interessi, costituente parte integrante del credito base) che non sia stata posta in riscossione si prescrive nel termine di dieci anni, trattandosi di credito non liquido ai sensi e per gli effetti del citato art. 129, e che il credito per rivalutazione monetaria ed interessi legali, dovuti sui ratei delle prestazioni assistenziali spettanti agli invalidi civili e loro corrisposti in ritardo, si prescrive in dieci anni a decorrere, per le somme calcolate sul primo rateo, dal centoventunesimo giorno successivo alla presentazione della domanda amministrativa di prestazione e, per le somme calcolate con riferimento ai ratei successivi, dalla scadenza di ciascuno di essi, senza che possa attribuirsi al mero pagamento dei ratei arretrati l'effetto interruttivo di cui all'art. 2944 cod. civ., salvo che il solvens non abbia considerato parziale il pagamento stesso, con riserva di provvedere successivamente al versamento di somme ulteriori; e senza che possa il pagamento della sola somma capitale ritenersi sufficiente a costituire liquidazione della prestazione, tale da determinare l'applicabilità della prescrizione quinquennali. - cfr. in tal senso Cass. Sez un. 10955/2002).

20. E' stato ulteriormente evidenziato (cfr. Cass. 2868/2004) che nella materia dei crediti previdenziali e assistenziali, il diritto a percepire gli interessi sui ratei arretrati delle prestazioni maturati (prima della liquidazione) posteriormente all'entrata in vigore della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, (che ha introdotto il divieto di cumulo fra interessi e rivalutazione monetaria) è soggetto alla prescrizione decennale, non potendo trovare applicazione la prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., n. 4, che si riferisce alle obbligazioni periodiche e di durata, e trattandosi di un credito che, a seguito della modifica apportata dalla predetta L. n. 412 del 1991, rientra nella disciplina dell'art. 1224 c.c., prevista per la responsabilità contrattuale connessa alla mora debendi ed avente, perciò, anche una funzione risarcitoria (cfr. anche Cass. 20428/2004).

21. Orbene, nel caso di specie non risulta che le somme pretese dall'assistito a titolo di rivalutazione sulla componente dell'indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 costituita dall'indennità integrativa speciale siano state poste in riscossione ovvero messe a disposizione dell'avente diritto, e la Corte territoriale, confermando, sul punto, la decisione di prime cure di parziale prescrizione del credito, si è conformata agli esposti principi.

22. Infine, con le recenti disposizioni introdotte con L. 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014), art. 1, comma 223, si è data attuazione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 3 settembre 2013 (Requete n. 5376/11), divenuta definitiva il 3 dicembre 2013, recante l'obbligo di liquidazione ai titolari dell'indennizzo di cui alla citata L. 25 febbraio 1992, n. 210, degli importi maturati a titolo di rivalutazione dell'indennità integrativa speciale. 

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