rivalutazione e interessi crediti di lavoro

Rivalutazione ed interessi relativi ai crediti di lavoro, debbono essere liquidati d'ufficio dal giudice a prescindere da eventuali istanze del creditore 
 

 

 
 
L'art. 429 cpc costituisce un sottosistema con riferimento agli accessori dei crediti in quanto stabilisce il principio che, per quel che concerne i crediti di lavoro, il giudice, quando pronuncia la sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale [1284 1 c.c.], il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto.
In tal senso, per i crediti di lavoro la rivalutazione si cumula con gli interessi che vanno calcolati sulla somma via via rivalutata.
Il cumulo di rivalutazioni ed interessi, poi, ha precisato la Suprema Corte non dipende da una specifica istanza del lavoratore creditore in quanto, trattandosi di accessori di detto credito, debbono essere liquidati dal giudice d'ufficio una volta accertato il credito.
 
 
ARTICOLO N.429 c.p.c.
Pronuncia della sentenza.
 
[I]. Nell'udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo [4371] e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza (1).
[II]. Se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza.
[III]. Il giudice, quando pronuncia la sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale [1284 1 c.c.], il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto [150 att.].
(1) Comma così sostituito dall'art. 53 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con modif. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133. Il testo precedente recitava: "Nell'udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo.". A norma dell'art. 56 , dello stesso decreto legge., la modifica si applica ai giudizi instaurati dalla sua entrata in vigore.
 
Cassazione civile    sez. lav. 04/04/2006 n 7846
 

L'art. 429 c.p.c. è applicabile anche ai rapporti di lavoro autonomo ex art. 409 n. 3) dello stesso codice di rito ed, inoltre, gli interessi e la rivalutazione monetaria relativi al credito di lavoro ed afferenti al periodo successivo alla sentenza di primo grado devono essere liquidati d'ufficio dal giudice di appello, trattandosi di elementi che costituiscono parte essenziale del credito e concorrono ad esprimere l'entità esatta al momento della liquidazione con la conseguenza che la mancanza di apposita istanza dell'interessato non esclude il potere-dovere del giudice di provvedere a determinare l'esatta consistenza del credito riconosciuto al lavoratore al momento suddetto, secondo il combinato disposto dello stesso art. 429 c.p.c. e dell'art. 150 disp. att. del medesimo codice.


Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione dell'art. 2909 c.c. e falsa applicazione dell'art. 429 c.p.c., n. 3, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 deducendo che il creditore vincitore in primo grado ma soccombente per quanto attiene alla rivalutazione monetaria - sia perchè il Giudice abbia pronunziato in senso negativo sulla domanda sia che non abbia pronunziato affatto - è tenuto ad impugnare il relativo capo della sentenza, formandosi di contro - come era accaduto nel caso di specie - un giudicato interno.
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta violazione degli artt. 112 e 345 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto in sede di gravame il D.I. aveva chiesto la condanna di essa ricorrente al pagamento della somma di L. 789.294.324 con gli interessi legali ed il risarcimento dei danni secondo gli indici ISTAT dalla maturazione al soddisfo", con evidente riferimento all'art. 1224 c.c., per essere stata richiesta non la rivalutazione ma, appunto il risarcimento del danno mentre il Giudice d'appello, violando il principio della corrispondenza tra chiesto e giudicato aveva riconosciuto la "rivalutazione" monetaria della somma liquidata a favore del D. I. in sentenza.
Il terzo e quarto motivo da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni giuridiche tra loro strettamente connesse, risultano privi di giuridico fondamento. Ed invero, come è stato più volte ribadito in tema di rivalutazione monetaria, l'art. 429 c.p.c. è applicabile anche ai rapporti di lavoro autonomo ex art. 409 c.p.c., n. 3 (cfr. Cass. 6 aprile 2002 n. 4957; Cass. 20 febbraio 1993 n. 2052); gli interessi e la rivalutazione monetaria relativi al credito di lavoro ed afferenti al periodo successivo alla sentenza di primo grado devono essere liquidati d'ufficio dal Giudice d'appello, trattandosi di elementi che costituiscono parte essenziale del credito e concorrono ad esprimere l'entità esatta al momento della liquidazione con la conseguenza che la mancanza di apposita istanza dell'interessato non esclude il potere - dovere del Giudice di provvedere a determinare l'esatta consistenza del credito riconosciuto al lavoratore al momento suddetto, secondo il combinato disposto dell'art. 429 c.p.c. e dell'art. 150 disp. att. c.p.c. (cfr.
tra le altre Casa. 5 marzo 1994 n. 2145; Cass. 18 novembre 1991 n. 12360; Cass. Sez. Un., 22 maggio 1985 n. 3098); che non è configurabile nel caso di specie la violazione dell'art. 112 c.p.c. perchè si versa in un caso di mutatio libelli allorquando la parte faccia valere nel corso del giudizio una nuova pretesa, diversa da quella originaria, e non quando il Giudice si limita a dare una diversa interpretazione del fatto costitutivo o del petitum attribuendo - come appunto nella fattispecie in oggetto - una diversa qualificazione giuridica all'originaria pretesa, senza modificare i fatti costitutivi, che rimangono quindi inalterati (cfr. ex plurimis: Case. 26 marzo 2002 n. 4318, Cass. 8 maggio 1998 n. 4660).
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