scissione societaria e licenziamenti collettivi in frode alla legge

Nulli i licenziamenti individuali per GMO laddove sia stata elusa la disciplina sui licenziamenti collettivi attraverso fittizie operazioni societarie

 

Con una recentissima pronuncia, la S.C. ha affrontato una questione riguardante la validità e l'efficacia di licenziamenti individuali per G.M.O. nulli, ad avviso della Corte, in quanto intimati mediante un complessivo meccanismo giuridico elusivo della disciplina imperativa di tutela dei lavoratori prevista dagli artt. 4, 5 e 24 della l. n. 223 del 1991. Nel caso di specie, prima dell'intimazione dei licenziamenti da parte di tre distinte società, di cui due nate come gemmazione da una scissione societaria e la terze costituente l'originaria società successivamente scissa, i lavoratori licenziati costituivano l'organico di un'unica impresa e, laddove fossero stati licenziati da questa, sarebbero stati garantiti, soprattuto in merito alla corretta applicazione dei criteri di scelta, dalle disposizioni di cui agli artt. 4 e 5 della l. n. 223 del 1991.  Secondo la Corte Territoriale, confermata dalla S.C., nel caso di specie, la scissione societaria, così come gli intiamti licenziamenti per G.M.O. sono stati due negozi collegati ma autonomi entrambi nulli in quanto preordinati ad eludere la disciplina di tutela relativa ai licenziamenti collettivi e di cui alle norme sopra citate. In realtà alla medesima conclusione e, tuttavia, presumibilmente, con una diversa qualificazione del vizio, la Corte territoriale avrebbe potuto giungere mediante la qualificazione come unico centro imprenditoriale delle tre società nate dalla scissione societaria. D'altronde il presupposto di fatto della conclusione cui è giunta la Corte è quello della natura fittizia della scissione il che, però, non può che condurre, se mpre in punto di fatto, a ritenere che le tre società anche dopo la scissione costituissero un unico centro di interessi.
Nel caso di specie, come detto, i giudici di legittimità hanno concordemente con la Corte d’appello, ritenuto la configurabilitàdi un negozio in frode alla legge "laddove il contratto in sé lecito che realizzi, anche mediante la combinazione con altri atti giuridici, un risultato vietato dalla legge"; nel caso di specie, il fine illecito di eludere la disciplina sui licenziamenti collettivi (artt. 4 e 5, l. n. 223 del 1991), perseguito con l’operazione di scissione, in virtù del "collegamento negoziale fra l'operazione societaria ed i plurimi e successivi licenziamenti".
La peculiarità del contratto in frode alla legge, regolato dall'art. 1344, c.c., consiste, in altre parole, nel fatto che gli stipulanti raggiungono, attraverso gli accordi contrattuali, il medesimo risultato vietato dalla legge; con la conseguenza che, nonostante il mezzo impiegato sia lecito, è illecito il risultato che attraverso l'abuso del mezzo e la distorsione della sua funzione ordinaria si vuole in concreto realizzare (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1523).
Il nesso causale tra il contratto di scissione e i successivi licenziamenti per g.m.o. La finalità fraudolenta del negozio di scissione, posto in essere dalla società datrice di lacvoro, in collegamento con i licenziamenti intimati viene ribadita dalla Corte di cassazione che richiama quanto accertato dalla Corte d’appello in merito al nesso causale in riferimento al "mutamento rivelatosi solo formale in ordine allo svolgimento delle attività lavorative ed a fronte della realizzazione, nel tempo trascorso fra la scissione e i licenziamenti, di un'unica commessa",e nell'evidente "effetto ottenuto con la scissione, consistente nella frammentazione della forza lavoro fra tre distinte società... pur continuando ad operare come soggetto indistinto... con il risultato di sottrarsi alla disciplina... in tema di licenziamenti collettivi".
 

 

Cassazione civile, sez. lav., 07/08/2018, (ud. 19/04/2018, dep.07/08/2018),  n. 20620

La scissione parziale realizzata da una società attraverso l'assegnazione a due società di nuova costruzione di altrettanti rami d'azienda, con redistribuzione della complessiva forza lavoro fra i tre soggetti giuridici, costituisce un negozio in frode alla legge se, nell'arco di successivi 120 giorni, vengono realizzati plurimi licenziamenti per giustificato motivo oggettivo nei confronti di una moltitudine di dipendenti. Sono pertanto nulli i licenziamenti se alla base vi è una scissione attuata in frode alla legge.

 
4.1. In via di premessa, occorre ribadire la preclusione di carattere assoluto della declaratoria di invalidità dell'atto di fusione sancita dall'art. 2504quater c.c., quale effetto dell'iscrizione nel registro delle imprese, a tutela dell'affidamento dei terzi e della certezza dei traffici, in riferimento alla deduzione di vizi tanto inerenti direttamente all'atto di fusione, quanto concernenti il procedimento di formazione dell'atto e della sua iscrizione (Cass. 1 giugno 2012, n. 8864), richiamata anche per le operazioni di scissione dall'art.2504novies (oggi art. 2506ter) c.c.: e ciò anche qualora si asserisca la mera preordinazione dell'impugnativa ad una futura ed ipotetica azione di risarcimento del danno nei confronti degli amministratori o di terzi (Cass. 20 dicembre 2012, n. 28242, sull'individuazione dell'oggetto della pronuncia richiesta per l'appunto nella declaratoria di nullità o nell'annullamento della delibera).

4.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha dato espresso ed argomentato conto di una tale preclusione e della sua ratio (al terzo e quarto capoverso di pg. 4 della sentenza), individuando correttamente i presupposti di configurazione del contratto in frode alla legge "laddove il contratto in sè lecito realizzi, anche mediante la combinazione con altri atti giuridici, un risultato vietato dalla legge", con argomentata disamina critica della finalità (perseguita con l'operazione di scissione) vietata dalla legge, individuata nell'elusione della disciplina sui licenziamenti collettivi (L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5), in virtù del "collegamento negoziale fra l'operazione societaria ed i plurimi e successivi licenziamenti" (per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 5 al terzultimo capoverso di pg. 6 della sentenza).

4.3. Ed essa ha fatto esatta applicazione dei principi di diritto regolanti la materia, secondo cui la peculiarità del contratto in frode alla legge, regolato dall'art. 1344 c.c., consiste nel fatto che gli stipulanti raggiungono, attraverso gli accordi contrattuali, il medesimo risultato vietato dalla legge: con la conseguenza che, nonostante il mezzo impiegato sia lecito, è illecito il risultato che attraverso l'abuso del mezzo e la distorsione della sua funzione ordinaria si vuole in concreto realizzare (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1523).

Sempre nell'ambito dell'illiceità della causa, non si ha invece contratto in frode alla legge (art. 1344 c.c.), bensì in violazione di disposizioni imperative (art. 1343 c.c.), qualora le parti perseguano il risultato vietato dall'ordinamento, non già attraverso la combinazione di atti di per sè leciti, ma mediante la stipulazione di un contratto la cui causa concreta si ponga direttamente in contrasto con disposizioni di tale natura (in particolare, urbanistiche: Cass. 7 ottobre 2008, n. 14769): e concernenti la validità del contratto, non già il comportamento dei contraenti, che può essere fonte di responsabilità (Cass. s.u. 19 dicembre 2007, n. 26724; Cass. 10 aprile 2014, n. 8462). Nè la violazione di una norma imperativa produce necessariamente la nullità del contratto, ma soltanto qualora, a norma dell'art. 1418 c.c., comma 1, "la legge" non "disponga diversamente": con onere per l'interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso di inosservanza del precetto, abbia consentito la validità del negozio predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti della norma (Cass. 11 dicembre 2012, n. 22625; Cass. 28 settembre 2016, n. 19196). Tuttavia, nel caso di specie non esiste una siffatta diversa previsione di legge, che non può evidentemente essere individuata, come infondatamente prospettato dalla ricorrente, nella "scissione sebbene condizionata al periodo di tempo in cui chiunque vi abbia interesse vi si opponga" (così sub b, a pg. 14 del ricorso), in quanto atto lecito e non più invalidabile, dovendosi piuttosto far riferimento alla disciplina in materia di licenziamenti collettivi: elusa, proprio attraverso la complessiva operazione negoziale, di cui la scissione societaria ha costituito una parte essenziale e che integra, per le ragioni dette, un contratto in frode alla legge.

5. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1344,1345 e 1346 c.c., anche in relazione agli artt. 2112 c.c. e L. n. 223 del 1991, art. 24 per esclusione della finalità fraudolenta della funzione del negozio di scissione, non integrante illiceità della causa, anche in considerazione della sua sussumibilità nella categoria del trasferimento d'azienda, è infondato.

5.1. Deve, infatti, essere ribadita, per le ragioni illustrate, la finalità fraudolenta del negozio di scissione in collegamento con i licenziamenti intimati. E ciò per avere la Corte territoriale accertato il nesso causale in riferimento al "mutamento rivelatosi solo formale in ordine allo svolgimento delle attività lavorative ed a fronte della realizzazione nel tempo trascorso fra la scissione e i licenziamenti di un'unica commessa", nell'evidente "effetto ottenuto con la scissione, consistente nella frammentazione della forza lavoro fra tre distinte società... pur continuando ad operare come soggetto indistinto... con il risultato di sottrarsi alla disciplina... in tema di licenziamenti collettivi" (così all'ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza).

5.2. Una tale operazione integra, come pure già detto, ipotesi di illiceità della causa del contratto (Cass. 6 aprile 2018, n. 8499); non già un'ipotesi di mera frode nei confronti dei terzi, che si esaurisca, in assenza di una norma di divieto del comportamento (invece esistente nel caso di specie), nel mero intento delle parti di recare pregiudizio ad altri, in sè non illecito (Cass. 4 ottobre 2010, n. 20576), ma eventualmente sanzionabile di inefficacia (Cass. 31 ottobre 2014, n. 23158).

5.3. Nè, per la stessa ragione di illiceità dell'operazione sia pure sussumibile nella più generale vicenda circolatoria dell'azienda (essendo stati ceduti alle due società beneficiarie della scissione, di nuova costituzione, due rami d'azienda), ricorre qui l'ipotesi di una cessione comportante situazioni, sia pure in atto, che possano condurre agli esiti regolati dalla legge n. 223/1991 (in materia di Cassa integrazione, di mobilità, di trattamenti di disoccupazione), non essendo enucleabile dal sistema di garanzie da essa apprestato un precetto che ciò vieti, ovvero che consenta di cederla solo a condizione che non sussistano elementi tali da rendere inevitabili quegli esiti: con la conseguenza di escludere la ricorrenza di un contratto in frode alla legge nella cessione di azienda, motivata dall'intento di addossare ad altri la titolarità di obblighi ed oneri conseguenti, ad un soggetto che, per le sue caratteristiche imprenditoriali ed in base alle circostanze del caso concreto, renda probabile la cessazione dell'attività produttiva e dei rapporti di lavoro (Cass. 2 maggio 2006, n. 10108; Cass. 20 marzo 2013, n. 6969).

5.4. Nel caso di specie ricorre piuttosto, come già ritenuto, la diversa ipotesi di frode alla legge, in funzione di clausola generale di tipizzazione delle condotte tenute in violazione di norme imperative. Ed essa è stata integrata: dalla chiara finalità di violare una norma imperativa di natura materiale (quale la disciplina regolante i licenziamenti collettivi, nella ricorrenza dei presupposti della L. n. 223 del 1991: Cass. 9 ottobre 2000, n. 13457), nel senso che sia da essa enucleabile un precetto, non esplicitato, che vieti di raggiungere risultati sostanzialmente equivalenti a quelli espressamente vietati; dall'identità di risultato fra contratto espressamente vietato e contratto mezzo di elusione; manifestazione dell'elusione da indici sintomatici (così, in motivazione: Cass. 2 maggio 2006, n. 10108).
Il caso. La Corte d'appello di Cagliari aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato nullo il licenziamento per g.m.o. del lavoratore, intimato in frode alla legge in quanto l'operazione complessivamente realizzata dalla società datrice di lavoro, attraverso scissione parziale a due società di nuova costituzione e la suddivisione dei lavoratori tra le tre società “nell'identità di svolgimento di mansioni nell'unico capannone e con le stesse attrezzature, ad evasione della medesima commessa, sia prima che dopo la scissione societaria, gestita indistintamente tra i tre diversi soggetti (formalmente autonomi ma facenti capo agli stessi soci)”.

 

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