senza valutazione dei rischi nullo il contratto a termine

La Cassazione ha affermato la nullità del contratto a termine e la sua conversione in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in mancanza della valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro
 
Cassazione civile 8 marzo 2012 n. 5241


In materia di rapporto di lavoro a tempo determinato, l'art. 3 del d.lgs. n. 368 del 2001, che sancisce il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, costituisce norma imperativa, la cui ratio è diretta alla più intensa protezione dei lavoratori rispetto ai quali la flessibilità d'impiego riduce la familiarità con l'ambiente e gli strumenti di lavoro. Ne consegue che, ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione, la clausola di apposizione del termine è nulla e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi degli art. 1339 e 1419, co. 2, c.c.

La disciplina del contratto a termine è stata di recente più volte sottoposta all'attenzione dei giudici di legittimità. Tuttavia, in questa occasione La Suprema Corte, con una recente sentenza, è intervienuta sul tema relativo al contratto a termine da un'angolazione diversa da quella abitualmente seguita sanzionando con la nullità del termine la mancata osservanza della normativa obbligatoria sulla sicurezza.
La vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguardava un lavoratore assunto con contratto a termine stipulato per esigenze sostitutive di personale assente con diritto alla conservazione del posto.
La Corte territoriale aveva escluso la richiesta conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato, sulla base del rilievo che la disposizione che vieta di procedere ad assunzioni a termine, nelle sedi ove non sia stata effettuata la valutazione dei rischi, non prevede detto effetto.
La Suprema Corte interessata della delicata questione degli effetti conseguenti alla violazione del divieto contenuto nell'art. 3, comma 1, lett. d del d.lgs. n. 368/01, il quale non consente l'apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato alle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 626/1994, e successive modificazioni, ha ritenuto potersi concludere nel senso della conversione del contratto a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Il divieto in questione, che viene riproposto all'art. 20, comma 5, lett. c e all'art. 34, comma 3, del d.lgs. n. 276/2003, anche per la somministrazione di lavoro e per il lavoro intermittente, come sottolineato dalla dottrina, per un verso, intende produrre un effetto dissuasivo ulteriore attraverso la “sanzione civile indiretta” della preclusione dell'accesso a quelle forme di occupazione flessibile la cui fruibilità rappresenta oggi una soluzione di concreto interesse economico ed organizzativo per le aziende.
Per altro verso, la logica del divieto è stata vista come quella di accordare una più intensa protezione ai rapporti di lavoro sorti mediante l'utilizzo di contratti atipici, flessibili e a termine, sul rilievo che i lavoratori così impiegati siano più vulnerabili sul piano infortunistico.
Questa impostazione emerge chiaramente sia dal rapporto OIL del 28 aprile 2010, sia dall'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva di attuazione e recepimento 1999/70/CE del 28 giugno 1999, entrambi espressamente richiamati dai giudici di legittimità e viene evidentemente recepita anche nella disposizione contenuta nell'art. 18, co. 1, lett. a, del d.lgs. n. 106/2009 che, in tema di valutazione dei rischi, ha aggiunto l'obbligo di valutare anche i rischi connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.
La sentenza si sofferma in particolare sulle conseguenze della violazione del divieto di assunzioni a termine da parte delle aziende non in regola con la valutazione dei rischi. In realtà, il d.lgs. n. 368/01 non prevede espressamente la conversione del rapporto in caso di omessa valutazione dei rischi, né si registrano al riguardo precedenti giurisprudenziali idonei ad interpretare in tal senso il dato normativo.
Tuttavia, sul rilievo che il contratto a tempo determinato si configura come «un'eccezione-deroga rispetto alla figura normale del contratto a tempo indeterminato», principio da ultimo ribadito anche nell'art. 1, comma 9 lett. a della l. n. 92/2012, ove si afferma: «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune del rapporto di lavoro», la S.C. conclude nel senso che «la nullità della clausola del termine di durata apposto al contratto di lavoro in divieto di norma imperativa comporta la nullità dell'opzione contrattuale scelta dalle parti contraenti verso l'ipotesi derogatoria (del lavoro a termine) e la validità del contratto di lavoro, stipulato inter partes secondo la regola generale del rapporto a tempo indeterminato».
Il datore di lavoro che intenda accedere alla possibilità di stipula del contratto a tempo determinato è tenuto ad assolvere specificamente l'onere della redazione del documento di valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 2, co. 1, lett. q del d.lgs. n. 81 del 2008.
Là dove il datore di lavoro non adempia a tale obbligo si configura una pattuizione contraria alla legge e il rapporto a termine dovrà essere convertito in rapporto a tempo indeterminato.
Il principio di diritto enucleato dalla sentenza che si annota è sicuramente destinato ad aprire un nuovo filone giurisprudenziale, sia in ordine agli altri divieti contenuti nel d.lgs. n. 368/2001 sia in ordine a quelle altre fattispecie contrattuali per le quali opera la medesima disciplina prevista per il contratto a tempo determinato.
Ulteriore dubbio che potrà porsi in sede giudiziale sarà quello se il giudice di merito dovrà limitarsi ad un accertamento meramente formale o piuttosto sarà chiamato anche ad una verifica sui contenuti della valutazione dei rischi e alla sua congruità.
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