discarica abusiva è responsabile l'amministratore



Il reato di discarica abusiva è di tipo commissivo ma l'amministratore della società ne risponde


La Suprema Corte, con una succinta motivazione, ha confermato la sentenza di merito con la quale l'amministratore unico di una società era stato ritenuto colpevole del reato di discarica abusiva di cui al D.Lgs. n 152 del 2006, art. 256, comma 3, non ammettendo l'istanza di riapertura dell'istruttoria svolta dalla difesa dell'imputato volta a dimostrare che le condotte integranti il reato al medesimo ascritto erano da riferire a diverso soggetto gerente di fatto la società.

La Suprema Corte ha respinto le istanze istruttorie affermando che la responsabilità dell'amministratore di diritto della società non sarebbe stata scalfita dall'eventuale prova che le condotte fossero effettivamente riferibili ad altri.

Secondo il ragionamento della Suprema Corte ciò non varrebbe a trasformare il reato di discarica abusiva da commissivo in omissivo in quanto:"l'affermazione di colpevolezza dell'imputato non è fondata sull'accertamento dell'omesso intervento per impedire la realizzazione di una discarica ovvero la prosecuzione della sua attività, bensì in quanto responsabile, legale rappresentante, della società "Artedile Building Service S.r.l.", al cui operato è stata direttamente attribuita la realizzazione della discarica medesima.Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha fatto riferimento alla qualità dell'imputato di amministratore unico della società Artedile Building Service ed ai doveri di controllo ad essa inerenti, riferiti all'operato della società medesima, e non a quello di terzi estranei, nella realizzazione della discarica abusiva".

Sotto altra prospettiva l'eventuale prova di una gestione di fatto della società da parte del coimputato L.R., stante il preciso obbligo giuridico inerente alla qualità di amministratore unico di controllare la gestione della società, del cui operato è direttamente responsabile ex lege (cfr. art. 2392 c.c.), del reato di discarica abusiva commesso dalla società e, per essa, dal gerente di fatto della medesima, non può che essere ritenuto responsabile (o corresponsabile) l'amministratore unico della società.
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova, in accoglimento dell'impugnazione proposta dal Procuratore Generale della Repubblica avverso la sentenza del Tribunale di Genova in data 17.7.2009, ha affermato la colpevolezza di P.D.P. in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, così diversamente qualificato il fatto di cui all'originaria imputazione formulata ai sensi dell'art. 110 c.p. e art. 256, comma 1, lett. a) e b), e comma 2, del medesimo decreto legislativo.
Il fatto di cui alla imputazione era stato ascritto al P. per avere, in qualità di legale rappresentante della "Artedile Building Service S.r.l." in concorso con L.R.G., effettuato un abbandono incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi.
La Corte territoriale, in accoglimento dell'impugnazione del P.M., ha qualificato il fatto ascritto all'imputato quale realizzazione di una discarica abusiva, rideterminando la pena inflitta al P. nella misura precisata in epigrafe e disponendo la confisca dell'area adibita a discarica.
La sentenza ha, invece, rigettato i motivi di gravame, con i quali la difesa dell'imputato ne aveva chiesto l'assoluzione, deducendo che unico responsabile delle condotte ascritte al P. era il solo L. R., di cui era chiesto l'esame mediante riapertura dell'istruzione dibattimentale in appello.
Sul punto si osserva nella sentenza che il P. era in ogni caso responsabile dell'operato della società, in quanto obbligato per la sua qualità al controllo delle attività svolte dalla medesima, e che per tale ragione si riteneva superflua l'ammissione del mezzo di prova richiesto.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, del D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 2, comma 1 e art. 40 c.p., nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza. In sintesi, si deduce che l'affermazione di colpevolezza dell'imputato si pone in contrasto con il disposto dell'art. 40 c.p.. Si osserva che la responsabilità penale del P. è stata affermata per una condotta meramente omissiva, benchè non sussistesse a suo carico un obbligo di impedire l'evento. I reati di deposito incontrollato di rifiuti e di realizzazione o gestione di una discarica abusiva sono previsti dalle norme citate solo in forma commissiva, mentre non incombe alcun obbligo sul proprietario dell'area di intervenire per impedire il deposito incontrollato o la realizzazione della discarica, sicchè questi non può essere riconosciuto colpevole per il suo comportamento omissivo. Si osserva, poi, con riferimento alla fattispecie della realizzazione di una discarica abusiva, che la stessa è configurabile solo allorchè vi sia un'organizzazione di uomini e di mezzi diretta al suo funzionamento; organizzazione che nel caso in esame era del tutto assente. Con il secondo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. d), con riferimento al mancato accoglimento della richiesta di esaminare il L.R., deducendo che questi avrebbe potuto fornire elementi utili per accertare la estraneità dell'imputato alla effettiva gestione della società.
Con il terzo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 62 bis c.p., nonchè mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
Si deduce che la sentenza è carente di motivazione in ordine al diniego delle citate attenuati, la cui richiesta trovava il proprio fondamento nel ruolo assolutamente marginale svolto dal P. nella vicenda.
Con motivi aggiunti il ricorrente, denunciando:
1) Violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, e vizi di motivazione della sentenza, censura la disposta confisca dell'area. Si deduce che non è stata accertata l'appartenenza della stessa alla società "Artedile Building Service S.r.L.".
2) Violazione dell'art. 133 c.p., della norma incriminatrice e vizi di motivazione della sentenza, censura la determinazione della pena in misura eccessiva rispetto al minimo edittale senza adeguata motivazione.
Il ricorso non è fondato.
Il reato di deposito incontrollato di rifiuti, così quello di realizzazione e gestione di una discarica abusiva, hanno indubbia natura commissiva, come affermato dal ricorrente e reiteratamente da questa suprema Corte (cfr. di recente sez. 3, 19.12.2007 n. 6098 del 2008, Sarra, RV 238828).
Nel caso in esame, però, l'affermazione di colpevolezza dell'imputato non è fondata sull'accertamento dell'omesso intervento per impedire la realizzazione di una discarica ovvero la prosecuzione della sua attività, bensì in quanto responsabile, legale rappresentante, della società "Artedile Building Service S.r.l.", al cui operato è stata direttamente attribuita la realizzazione della discarica medesima.
Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha fatto riferimento alla qualità dell'imputato di amministratore unico della società Artedile Building Service ed ai doveri di controllo ad essa inerenti, riferiti all'operato della società medesima, e non a quello di terzi estranei, nella realizzazione della discarica abusiva.
Altresì correttamente la sentenza ha escluso la rilevanza dell'eventuale prova di una gestione di fatto della società da parte del coimputato L.R., stante il preciso obbligo giuridico inerente alla qualità di amministratore unico di controllare la gestione della società, del cui operato è direttamente responsabile ex lege (cfr. art. 2392 c.c.) (cfr. anche sez. 3, 6.4.2006 n. 22919, Furini, RV 234474 con specifico riferimento ai doveri di vigilanza e controllo che incombono sull'amministratore della società anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto).
Anche gli ulteriori rilievi in ordine alla inesistenza, nel caso in esame, di una discarica abusiva sono infondati.
Il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 2. comma 1 lett. g), nel dettare i criteri atti a individuare la nozione di "discarica" non richiede l'esistenza di un apparato organizzato di uomini e mezzi, essendo sufficiente che un'area sia adibita a smaltimento dei rifiuti mediante deposito sul suolo o nel suolo.
Sicchè è sufficiente l'abitualità dello smaltimento di rifiuti in un'area determinata e la consistenza del loro accumulo, idonea a provocare il degrado dell'ambiente (sez. 3, 18.9.2008 n. 41351, Fulgori e altro, RV 241533; sez. 5, 14.1.2005 n. 11924, Spagnolo ed ami, RV 231704); requisiti che sono stati accertati dalla sentenza impugnata.
Gli ulteriori motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
Quanto correttamente rilevato in punto di diritto nella sentenza impugnata in ordine alla responsabilità diretta dell'amministratore della società per le violazioni di legge derivanti dalla sua gestione rende evidente la superfluità del mezzo istruttorio chiesto in appello per dimostrare che la società era di fatto gestita da altri.
I motivi di ricorso in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena si esauriscono in contestazioni di merito, inammissibili in sede di legittimità.
Peraltro, la pena è stata determinata in misura corrispondente al minimo edittale, essendovi nella discarica anche rifiuti pericolosi.
L'appartenenza a terzi dell'area sulla quale è stata realizzata la discarica, peraltro oggetto di mera affermazione, costituisce motivo nuovo, non sottoposto all'esame dei giudici di merito, e, perciò inammissibile.
Peraltro, l'eventuale appartenenza a terzi dell'area deve essere fatta valere dai soggetti effettivamente interessati mediante opposizione da proporsi in sede esecutiva.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 25 maggio 2011.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2011


 
 
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