Il reato putativo e il reato aberrante

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reato putativo

Con il termine reato putativo, la dottrina usa individuare la fattispecie prevista e disciplinata dall'art. 49 cp, 1° comma che stabilisce la non punibilità di chi commetta un fatto non costituente reato nell'erronea supposizione che esso costituisca reato.
 
Parimenti non è punibile con la pena prevista per il reato più grave chi abbia realizzato il reato meno grave e supponga erroneamente di aver realizzato il reato più grave.

Tale erronea supposizione può consistere in un errore sul precetto o in un errore sul fatto e può originare da un errore di fatto o da un errore su legge penale o extra penale.

Viene ricondotta alla figura del reato putativo anche l'erronea supposizione dell'insussistenza di cause di giustificazione in realtà esistenti.

Secondo la dottrina, l'art. 49 cp, 1° comma sarebbe una norma superflua in quanto implicita nel sistema, considerato che, nel reato putativo, difetta la tipicità della condotta che non è, infatti, conforme ad alcuna delle fattispecie di reato contemplate dalla legge.

In caso di errore sul precetto, la non punibilità del fatto erroneamente supposto come costituente reato è una diretta conseguenza del principio di legalità mentre, in caso di errore sul fatto, la non punibilità deriva dall'accoglimento, nell'ambito dell'ordinamento penale, del principio per cui il tentativo punibile è solo quello che si sia concretizzato in atti idonei diretti ad offendere e della conseguente non punibilità degli atti preparatori.
 
Naturalmente la non punibilità del fatto erroneamente supposto come integrante reato non esclude la punibilità per il reato diverso effettivamente realizzato. La figura in esame si distingue dall'aberratio delicti di cui all'art. 83 cp in quanto nell'aberratio delicti il diverso reato viene commesso per errone nella fase esecutiva.

Si è, peraltro, avuto modo di osservare che l'art. 49 cp, 1° comma, costituisce una norma di chiusura nell'ambito dell'ordinamento penale essendo espressione del principio di materialità che impone che la volontà criminale si estrinsechi quanto meno nella forma del tentativo punibille.

Ulteriori norme che costituiscono espressione di tale principio di materialità sono l'art. 115 cp che sabilisce la non punibilità di accordi diretti a commettere reati che non si siano poi concretizzati e l'art. 56 cp in materia di tentativo punibile che stabilisce, ai fini della punibilità del tentativo, che esso si debba essere concretizzato in atti idonei non equivocamente diretti alla commissione di un delitto non essendo sufficiente, ai fini della punibilità penale, la mera intenzione di delinquere o l'aver realizzato solo degli atti preparatori.

reato aberrante

Con il termine reato aberrante, la dottrina individua, in via generale, le fattispecie contemplate e disciplinate dagli artt. 82 e 83 del codice penale che si caratterizzano per il fatto che, per un errore nella fase esecutiva del reato, viene recata offesa a persona diversa da quella alla quale l'offesa era effettivamente diretta oppure viene commesso un reato diverso da quello che formava l'oggetto della volontà criminale.

Diversamente dall'errore di cui agli artt. 47, 48 e 49 cp, che vizia la volontà nel suo momento formativo, nelle fattispecie di reato aberrante la volontà si forma correttamente e, tuttavia, per un errore nell'uso dei mezzi d'esecuzione del reato o per altra causa viene:
o cagionata offesa a persona diversa (aberratio ictus ex art. 82 cp)
o realizzato un fatto penalmente diverso da quello oggetto del proposito criminale (aberratio delicti ex art. 83 cp).
 
L'errore nella fase esecutiva che caratterizza le fattispecie di reato aberrante viene indicato come errore inabilità e così distinto dall'errore motivo che incide sul momento formativo della volontà che viene indicato come errore vizio.



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