Cass Civ Sez Lav n 22420 2006

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. MERCURIO    Ettore                          -  Presidente   - 
Dott. BATTIMIELLO Bruno                           -  Consigliere  - 
Dott. LAMORGESE   Antonio                        -  rel. Consigliere  - 
Dott. COLETTI DE  CESARE Gabriella           -  Consigliere  - 
Dott. TOFFOLI     Saverio                          -  Consigliere  - 
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
A.P., elettivamente domiciliata in ROMA VIA  CALABRIA  56,   presso lo studio dell'avvocato D'AMATO ANTONIO, che la rappresenta  e difende, giusta delega in atti;

ricorrente –

contro

CASSA  NAZIONALE  DI  PREVIDENZA  ED ASSISTENZA  DEGLI  INGEGNERI  ED ARCHITETTI,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro   tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell'avvocato NAPOLITANO, rappresentata e difesa dall'avvocato MARONE GHERARDO, giusta delega in atti;

controricorrente –

avverso  la  sentenza  n.  570/03 della Corte  d'Appello  di  NAPOLI, depositata il 05/03/03 - R.G.N. 1129/2000;
udita  la  relazione  della causa svolta nella Pubblica  Udienza  del 12/07/06 dal Consigliere Dott. AMORGESE Antonio;
udito  il  P.M. in persona dell'avv. Generale Dott. IANNELLI Domenico che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Sig.ra A.P. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di un solo motivo, avverso la sentenza, depositata il 5 marzo 2003, con la quale la Corte di appello di Napoli aveva confermato la decisione di primo grado resa dal Pretore della Stessa città. Questi aveva rigettato la domanda proposta dalla ricorrente nei confronti della Inarcassa - Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza degli Ingegneri ed Architetti, diretta ad ottenere la pensione di reversibilità a seguito del decesso del coniuge, ing. A. L., iscritto alla Cassa, secondo l'assunto della istante, dal (OMISSIS).
Nel respingere l'impugnazione della A., il giudice del gravame, in ordine alla interpretazione della disposizione dettata dalla L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 25 ha espressamente richiamato il precedente giurisprudenziale costituito da Cass. 1876/90 e quindi ha ritenuto insussistente il diritto dedotto in giudizio, in base al rilievo che il coniuge della appellante non era stato iscritto alla Cassa di previdenza in data anteriore al compimento del quarantesimo anno di età, condizione espressamente richiesta dall'art. 7, comma 4, della indicata normativa per ottenere la prestazione indiretta nella ipotesi di ridotta anzianità di iscrizione alla Cassa. Ha aggiunto che neppure poteva essere applicata la deroga di cui all'art. 25, comma 7 della Legge ora citata, poichè essa era riservata agli iscritti in data anteriore all'entrata in vigore della Legge e riguardava il requisito generale di cui all'art. 7, comma 3 e che entrambe le deroghe andavano inquadrate nel regime transitorio stabilito dall'art. 25. Ha inoltre evidenziato che i contributi previdenziali versati dall'ing. Albino erano stati restituiti alla A., la quale aveva riscosso la somma liquidatale, sottoponendo l'accettazione alla condizione che il giudizio sul riconoscimento del diritto alla pensione indiretta si fosse concluso con esito a lei sfavorevole.
La Cassa di previdenza ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico motivo la ricorrente denuncia "violazione ed errata interpretazione della L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 7 e dello stesso art. 25, n. 2/A della predetta Legge per insufficienza e contraddittonetà della motivazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 ed anche per violazione degli artt. 3 e 38 Cost.", e deduce l'errore in cui è incorsa la sentenza impugnata nell'interpretare la disposizione transitoria contenuta nel denunciato art. 25: in base ad una lettura logica e sistematica, la norma, ad avviso della A., deve essere intesa nel senso che i vari e distinti casi in essa elencati sono sottratti alla disciplina della medesima Legge.
Il motivo non può essere accolto.
Va innanzitutto rilevata la inammissibilità della censura la dove denuncia il vizio di motivazione, in quanto per tale parte la doglianza non si riferisce ad errori del giudice del merito nell'accertamento e nella valutazione dei fatti, i quali soltanto possono essere denunciati, sotto tale profilo, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 ma all'interpretazione delle due norme indicate in rubrica.
La ricorrente infatti sostiene l'inadeguatezza delle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nell'interpretazione delle norme indicate in rubrica ("La motivazione della sentenza impugnata assolutamente non convince in quanto da alla Legge che ha regolato il trattamento pensionistico degli Ingegneri e degli Architetti una interpretazione ingiustamente restrittiva ... v. pag. 4 del ricorso), e dopo avere sottolineato che la normativa del 1981, nel sostituire le disposizioni dettate dalla L. n. 179 del 1958 e L. n. 1046 del 1971 proprio per stabilire, con riferimento alle pensioni indirette, condizioni più favorevoli senza gli sbarramenti previsti dalle precedenti regolamentazioni, conclude "Tutta la causa è proprio questa: si tratta di stabilire a questo proposito l'effettiva portata della L. n. 6 del 1981, art. 25 che, come è noto, quale norma transitoria mantiene in vigore ai fini del conseguimento della pensione indiretta proprio quanto stabilito dalla citata precedente L. 4 marzo 1958, n. 179 e L. 11 novembre 1971, n. 1046" (v. pag. 5 del presente ricorso).
Non sono dedotti errori nella ricostruzione o nell'accertamento dei fatti o riguardo alla loro valutazione, e la censura attiene in via esclusiva all'interpretazione delle due norme indicate, come risulta dall'inciso con il quale in modo inequivocabile delimita il contenuto della causa.
E tanto sembra confermato da un altro rilievo. La ricorrente infatti trascura la discrepanza esistente sul periodo di iscrizione dell'ing. A. alla Cassa di previdenza dell'ordine professionale di appartenenza, con ciò intendendo soffermarsi soltanto sull'interpretazione della norma transitoria, che se intesa nel senso da lei sostenuto sarebbe sufficiente al riconoscimento del diritto alla pensione indiretta. Infatti la A., nella parte iniziale del presente ricorso, nel riportare il contenuto dell'atto introduttivo del giudizio, specifica il suddetto periodo dal (OMISSIS), mentre la sentenza impugnata sostiene che la ricorrente, nel medesimo atto introduttivo, aveva indicato il suddetto periodo dal (OMISSIS), ed aggiunge che la Cassa, nel costituirsi in giudizio, lo aveva indicato diversamente, cioè sino al (OMISSIS). Anche se la specificazione del termine finale nel (OMISSIS) può essere dovuta ad refuso dell'estensore della sentenza, rimane la diversa indicazione affermata dalla Cassa, senza che l'omissione dell'accertamento sul punto da parte del giudice sia stato lamentato dalla ricorrente.
Orbene, come è noto l'errore di interpretazione di norme giuridiche non è denunciabile ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, ma può essere apprezzato sotto il profilo dell' error in iudicando e può portare o alla Cassazione della sentenza, se la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ha dato luogo ad un dispositivo contrario alla legge, ovvero alla integrazione o correzione, a norma dell'art. 384 c.p.c., comma 2 quando il dispositivo sia comunque conforme al diritto (Cass. 22 dicembre 2003 n. 19618).
Per il resto, il motivo è infondato.
La L. 3 gennaio 1981, n. 6 in tema di prestazioni erogabili dalla Cassa nazionale di previdenza degli ingegneri e architetti, ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, all'art. 7, che detta regole per la pensione di riversibilità ed indirette, al comma 4 stabilisce che essa "spetta, nei casi e alle condizioni di cui al primo comma, ai coniugi ed ai figli dell'iscritto defunto senza diritto a pensione, semprechè quest'ultimo avesse maturato dieci anni di iscrizione e contribuzione alla Cassa"; al comma 5, "le pensioni di riversibilità ed indirette spettano solo ai superstiti di chi sia stato iscritto alla cassa con carattere di continuità a partire da data anteriore al compimento del quarantesimo anno di età, anche se la iscrizione era cessata al momento del sinistro".
Per la necessità, trattandosi di una normativa modificativa della precedente (L. 11 novembre 1971, n. 1046), di disciplinare transitoriamente le posizioni assicurative pregresse, la L. n. 6 del 1981, art. 25 con riferimento alla prestazione oggetto della presente controversia, dispone al comma 6, "per coloro che siano iscritti continuativamente alla cassa dalla data di entrata della cassa stessa si prescinde dalla condizione dell'antecedenza dell'iscrizione al compimento del quarantesimo anno di età, cui all'art. 4, comma 1, lett. b), ed all'art. 7, comma 4"; al comma 7, "gli iscritti alla cassa in data anteriore alla entrata in vigore della presente legge conservano il diritto: 1) alla pensione di vecchiaia con l'anzianità minima di 20 anni; 2) alla pensione di inabilità ed indiretta con l'anzianità minima di: a) due anni se iscritti prima del cinquantesimo anno di età; b) cinque anni, ovvero due anni ove l'evento sia conseguente a infortunio, se iscritti dopo il cinquantesimo anni di età ma primo del sessantesimo anno di età".
In base ad una lettura secondo il criterio logico - sistematico, si deve ritenere, così come ha già avuto occasione di affermare Cass. 8 marzo 1990 n. 1876 nell'esaminare fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio, che la deroga stabilita dal comma 7 della disposizione transitoria del citato art. 25, diretta a regolare i rapporti nella fase di transizione dalla previgente disciplina all'altra introdotta con la L. n. 6 del 1981, si riferisce soltanto al periodo richiesto per l'attribuzione delle prestazione a coloro che fossero stati iscritti alla cassa in data anteriore alla entrata in vigore della medesima legge, e non anche alla continuatività della iscrizione al momento dell'evento considerato dalla tutela previdenziale.
Del resto la ricorrente non spiega perchè la ipotesi prevista dalla lettera b) del richiamato art. 25 dovrebbe essere sottratta alla disciplina della L. n. 6 del 1981, e limitandosi a sostenere la esclusione di tale fattispecie dalle regole come modificate dalla normativa, propone una lettura solo parziale del medesimo articolo, del tutto scollegata dal resto della disciplina, senza tenere conto del precedente art. 7, rispetto al quale invece l'art. 25 si pone in funzione derogatoria.
L'art. 25, comma 6 evidenzia che si prescinde dalla condizione di antecedenza della iscrizione al compimento del quarantesimo anno di età per i professionisti che siano stati iscritti continuativamente alla Cassa dalla data della sua entrata in vigore, e questa disposizione rimarrebbe priva di qualsiasi validità, come sottolineato da Cass. 8 marzo 1990 n. 1876, ove si volesse far riferimento al periodo di iscrizione previsto dal successivo comma per le differenti ipotesi di cui alle lettere a)e b).
La ricorrente non considera poi che una lettura del comma 7 indipendente dal precedente, porterebbe ad affermare la sufficienza del ridotto periodo di iscrizione quale previsto dalle due ipotesi dall'art. 25, lett. a) e b) con quanto stabilito dall'art. 7, che prevede una contribuzione di dieci anni alla Cassa per l'erogazione della pensione di riversibilità allorchè la iscrizione del professionista fosse già cessata al momento della morte.
Inconferente è il richiamo alla pronuncia della Corte Cost. n. 169/86, la quale si riferisce alla reversibilità di pensione già in godimento del professionista.
Analogamente si deve ritenere per i richiami alle altre due pronunce del Giudice della L. n. 123 del 1990 e L. n. 189 del 1991, le quali hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale rispettivamente del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, comma 3, (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) limitatamente alle parole "a condizione che il matrimonio sia durato almeno due anni", e della L. 12 agosto 1962, n. 1338, art. 7, comma 1, n. 2 (Disposizioni per il miglioramento del trattamento di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) nel testo riformulato dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 24 recante revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale, subordina il diritto alla pensione di reversibilità per il coniuge, quando il lavoratore pensionato abbia contratto matrimonio dopo il compimento del settantaduesimo anno d'età, alla condizione che il matrimonio sia durato almeno due anni, poichè si riferiscono alla durata del matrimonio del pensionato.
Priva di fondamento è la dedotta violazione della successiva L. n. 290 del 1990, art. 21, comma 1,: infatti questa norma riguarda il ricalcolo delle pensioni che siano state già liquidate ai sensi della L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 2 mentre qui la pensione indiretta è stata negata alla A..
Manifestamente infondata è la questione di illegittimità costituzionale della menzionata L. n. 6 del 1981, artt. 7 e 25 con riferimento all'art. 38 Cost., poichè il comma 2 di tale norma ("I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria") consente che il diritto alle prestazioni previdenziali possa essere subordinato a determinati requisiti contributivi e la disciplina transitoria predisposta per armonizzare il sistema come modificato dalla legge sopravvenuta non è affatto irragionevole; e del resto la ricorrente in proposito nulla deduce limitandosi a sostenere in modo assolutamente generico che la interpretazione delle norme denunciate a cui pervenuto il giudice del merito, sarebbe in contrasto "con i principi di tutela previdenziale, della pensione e della garanzia del minimo vitale" affermati dal precetto costituzionale. E nessuna rilevanza al fine di pervenire ad una diversa conclusione sulla questione in esame, può essere attribuito al richiamo fatto dalla ricorrente alla pronuncia della Corte costituzionale n. 243 del 1990, in quanto la illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 38 Cost., dell' art. 4, comma 2, e L. 20 ottobre 1982, n. 773, art. 5, comma 3 nella parte in cui, rinviando all'art. 2, comma 5, stessa Legge, prevedono che le pensioni di inabilità e di invalidità a favore dei geometri siano calcolate in proporzione ai redditi professionali, si basa sulla esclusione della disposizione di ogni intervento di solidarietà che valga a garantire il minimo vitale, su una situazione cioè che è ben diversa da quella del requisito contributivo previsto con l'anzianità di iscrizione alla Cassa di previdenza.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero fra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2006.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2006

 

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