indennita sostitutiva di ferie imponibile contributivo anche se rapporto in corso

 

L’indennità sostitutiva per ferie non godute è imponibile contributivo anche se, concretamente, non corrisposta dal datore di lavoro attesa l’attuale intercorrenza del rapporto lavorativo

L’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003 (come modificato dal D.Lgs. n. 213 del 2004) dispone che: "Fermo restando quanto previsto dall'art. 2109 c.c., il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all'art. 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione (comma 1). Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro (comma 2)".

Nella prospettiva del divieto di monetizzazione delle ferie, la Corte di Appello di Perugia aveva ritenuto che, pur in mancanza di godimento delle ferie nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione, l’Inps non potesse avanzare la pretesa di versamento contributivo su un imponibile costituito dall’indennità sostitutiva delle ferie non tempestivamente godute.

Secondo la Suprema Corte, invece, stante l’autonomia dell’obbligazione contributiva rispetto all’obbligo retributivo ed in considerazione della necessità di interpretare estensivamente la portata dell’imponibile contributivo di cui all’art. 12 della l. n. 153 del 1969, decorsi 18 mesi dalla maturazione del diritto alle ferie, in caso di omessa fruizione, in corso di rapporto di lavoro, l’Inps maturerebbe il diritto di percepire i contributi sulla corrispondente indennità sostitutiva.

L’interpretazione della normativa abbracciata dalla Suprema Corte presta il fianco, ad avviso di chi scrive, a rilievi critici.

L’art. 12 della l. n. 153 del 1969, infatti, nell’individuare la nozione di imponibile contributivo fa riferimento al TUIR richiamando la relativa norma che individua i redditi da lavoro dipendente prevedendo, infatti, che “Costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi quelli di cui all'articolo 46, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, maturati nel periodo di riferimento”.

Già nell’art. 12 della l. n. 153 del 1969 risulta chiara la volontà del Legislatore di delimitare l’imponibile contributivo di ciascun periodo in relazione ai redditi, così come individuati dal TUIR che siano effettivamente maturati, ossia il cui diritto sia effettivamente sorto, in un determinato periodo di riferimento.

L’art 51 del Tuir, a sua volta, individua nei termini che seguono i redditi da lavoro dipendente “Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono”.

Non esiste, dunque, alla luce del combinato disposto delle due norme sopra richiamate, un reddito imponibile contributivo che possa prescindere da un effettivo credito del lavoratore avente ad oggetto somme o valori in genere e dipendente dal rapporto di lavoro.

Ora, considerando che il credito del lavoratore avente ad oggetto l’indennità sostitutiva di ferie e permessi non goduti  (e, cioè, somme e/o valori diversi rispetto alla retribuzione imponibile) non sorge se non al momento della cessazione del rapporto di lavoro e solo per la quota delle ferie non ancora effettivamente fruite a tale momento è evidente che il ragionamento seguito dalla Corte, secondo cui l’impiego del lavoratore in un periodo destinato alle ferie produrrebbe un arricchimento datoriale ed una maggiore capacità contributiva non appare in alcun modo desumibile dalla norma di cui all’art. 12 della l. n. 153 del 1969 cos’ coma da quella di cui all’art. 51 del Tuir da quella richiamata.

In alcun modo potrebbe infatti sostenersi che l’indennità costituente, secondo la prospettiva della Corte, imponibile contributivo da commisurare ai giorni di ferie non fruiti il cui diritto sia sorta da più di diciotto mesi costituisca reddito da lavoro dipendente non essendo il alcun modo un credito esigibile da parte del lavoratore stante il divieto posto dall’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003.

 

Cassazione civile sez. lav., 17/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 17/11/2020), n.26160

L'importo corrispondente all'indennità sostitutiva per ferie non godute non erogata va assoggettato a contribuzione allorché sia decorso il termine, previsto dall'art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003, di diciotto mesi dalla maturazione delle ferie ed il rapporto di lavoro non sia cessato, in quanto, atteso il carattere "parafiscale" ed inderogabile dell'obbligazione contributiva, la maggiore capacità contributiva generata dalla effettuazione della prestazione lavorativa in un periodo destinato al riposo non può non incidere sugli oneri di finanziamento del sistema previdenziale posti a carico dell'impresa che ha tratto vantaggio dalla maggior produzione, restando irrilevante - ai fini previdenziali - che l'indennità possa essere monetizzata tra le parti solo alla cessazione del rapporto di lavoro.

4. La questione di cui si discute attiene alla assoggettabilità a contribuzione previdenziale dell'importo corrispondente alla indennità per ferie non godute dal lavoratore, anche se non corrisposta, allorchè siano decorsi i diciotto mesi successivi al momento di maturazione delle dette ferie ed il rapporto di lavoro non sia cessato.

4.1. La sentenza impugnata ha osservato che il disposto del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 come modificato dal D.Lgs. 19 luglio 2004, n. 213 vieta del tutto che possa essere corrisposta una indennità per l'ipotesi di ferie non fruite se non al momento in cui il rapporto di lavoro venga a cessare: da qui, l'inconfigurabilità dell'obbligo contributivo corrispondente, assumendo la cessazione del rapporto di lavoro il ruolo di presupposto di fatto per l'insorgere del diritto.

5. La tesi, in sostanza, stabilisce un nesso di dipendenza necessaria tra l'obbligo del datore di lavoro nei riguardi del dipendente e l'obbligo del medesimo datore di lavoro nei riguardi del sistema previdenziale, di talchè poichè il lavoratore non può pretendere la monetizzazione delle ferie non godute se non alla cessazione del rapporto di lavoro, allo stesso modo l'INPS non può pretendere il pagamento della contribuzione.

Ciò, si afferma, in ragione del disposto del citato D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 (come modificato dal D.Lgs. n. 213 del 2004), il quale dispone: "Fermo restando quanto previsto dall'art. 2109 c.c., il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all'art. 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione (comma 1). Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro (comma 2)".

6. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità (da ultimo Cass. 29 maggio 2018, n. 13473 ed in precedenza Cass. 11261 /2012; 4361/1993; 8791/1995; 4839/1998)), in fattispecie in cui il rapporto di lavoro era cessato e non vi era più concreta possibilità per il lavoratore di fruire dell'intero periodo di ferie maturate, ha consolidato il principio secondo il quale l'indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma della L. n. 153 del 1969, art. 12 sia perchè, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall'art. 2126 c.c. a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sia perchè un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio - oggi pur escluso dal sopravvenuto D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 come modificato dal D.Lgs. n. 213 del 2004, in attuazione della direttiva n. 93/104/CE - non escluderebbe la riconducibilità all'ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo essa comunque un'attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione.

7. Tale conclusione, come è evidente, supera, ai fini dell'individuazione dell'obbligo contributivo, la necessità di attribuire natura risarcitoria o retributiva all'indennità per ferie non godute (tema ad altri fini ancora dibattuto, come rilevato da ultimo da Cass. n. 17371 del 2019) e si colloca su di un piano diverso da quello interno al rapporto tra lavoratore e datore di lavoro quanto alla disciplina delle ferie ed al divieto di monetizzazione delle medesime.

8. Anche nella questione ora in esame è centrale il disposto della L. n. 153 del 1969, art. 12 che regola il sistema di finanziamento previdenziale secondo il principio per il quale, alla base del calcolo dei contributi previdenziali, deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo e non quella di fatto corrisposta, in quanto l'espressione usata dalla L. n. 153 del 1969, art. 12, per indicare la retribuzione imponibile ("tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro...") va intesa nel senso di "tutto ciò che ha diritto di ricevere", ove si consideri che il rapporto assicurativo e l'obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l'instaurarsi del rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, (Cass. n. 17670 del 2007; Cass. n. 6607 del 2004; Cass. n. 5534 del 2003; Cass. n. 3122 del 2003; Cass. n. 27213 del 2018).

9. Dall'autonomia del rapporto previdenziale dal rapporto di lavoro discende l'erroneità della tesi sostenuta dalla sentenza impugnata.

Questa Corte di cassazione (già a partire da Cassazione n. 6810 del 2001) ha infatti segnalato il carattere parafiscale dell'obbligazione contributiva. Ciò per effetto dell'evoluzione intrapresa dal sistema previdenziale pubblico verso una sempre più evidente attenuazione degli aspetti di corrispettività nel rapporto tra assicurati ed ente pubblico erogatore delle prestazioni obbligatorie dovute per legge (aspetto emergente dal principio della c.d. "automaticità delle prestazioni" fissato dall'art. 2116 c.c., la quale prescinde dal preventivo versamento delle contribuzioni da pare del datore di lavoro, nonchè dalla nullità di ogni patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza ed assistenza ai sensi dell'art. 2115 c.c., u.c.).

10. Si è anche affermata la progressiva accentuazione, nel medesimo rapporto, dei connotati di solidarietà non più unicamente limitata ad ambiti ristretti di categorie professionali, ma sempre più estesa alla generalità di contribuenti, secondo criteri di "parafiscalità", per cui il credito contributivo previdenziale, in quanto nascente da un rapporto disciplinato dal regime di previdenza sociale, non diversamente dalle altre forme di finanziamento delle prestazioni di assistenza sociale, per il comune carattere pubblico ed obbligatorio dei rispettivi regimi, entrambi correlati a finalità di ordine costituzionale (art. 38, commi 1 e 2), ha assunto natura inderogabile con consequenziale indisponibilità dei relativi crediti.

11. Da ciò discende che laddove il lavoratore non abbia fruito delle ferie maturate entro il termine indicato dal D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 e cioè è stato impiegato anche mentre avrebbe dovuto riposare, è certamente integrato il presupposto dell'obbligo contributivo richiesto dalla L. n. 153 del 1969, art. 12 giacchè la prestazione è stata resa in un periodo in cui la stessa non avrebbe dovuto essere resa, generandosi una maggiore capacità contributiva, quantificabile in termini economici quale indennità per le ferie non godute, che non può non incidere sugli oneri di finanziamento del sistema previdenziale posti a carico dell'impresa che di tale maggior produzione si è avvantaggiata. Si tratta, come è evidente, dell'applicazione del principio generale in tema di finanziamento del sistema previdenziale di cui si è sopra parlato.

12. Resta, per tale ragione, irrilevante - ai fini previdenziali- che l'indennità possa essere monetizzata tra le parti del rapporto di lavoro solo alla cessazione del medesimo e cioè quando una di tali parti o entrambe deciderà di porvi fine.

L'obbligazione contributiva, infatti, è inderogabile e l'inderogabilità trae origine dal fatto che essa nasce direttamente dalla legge ed è integralmente sottratta all'autonomia privata. In sostanza l'inderogabilità esprime l'indisponibilità dei soggetti coinvolti nel rapporto previdenziale rispetto alla fattispecie legale, così che gli stessi non possono sottrarsi, nemmeno in via convenzionale, se non facendo venir meno i presupposti che determinano il nascere dell'obbligo o del diritto alla contribuzione.

13. Non incrina tali conclusioni l'obiezione, di natura non certo sistematica, relativa al conseguente effetto deterrente che l'imposizione dell'obbligo contributivo anche in costanza di rapporto potrebbe sortire in vista di una fruizione delle ferie non godute in tempo successivo ai previsti diciotto mesi.

E' evidente, infatti, che, al contrario, l'imposizione dell'obbligo contributivo qui sostenuto elimina ogni vantaggio contributivo collegato al lavoro prestato in spregio del diritto alla fruizione regolare delle ferie e, quindi, contrasta tale illegittima prassi. L'eventuale effettiva fruizione in epoca successiva ai diciotto mesi, peraltro, ben potrebbe giustificare il diritto del datore di lavoro a recuperare l'importo dei contributi versati a titolo di indennità per ferie non godute.

14. In definitiva, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d'appello di Roma che esaminerà la fattispecie alla luce del principio di diritto secondo il quale costituisce base contributiva imponibile l'importo corrispondente alla indennità per ferie non godute nell'ipotesi in cui sia decorso il termine previsto dal D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10 a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro. Il giudice del rinvio provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

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