regolarizzazione contributiva ammissibile se si chiama INPS

 
La domanda di regolarizzazione contributiva da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro: necessario chiamare in causa l'INPS altrimenti la domanda è inammissibile
 

 

 
La Suprema Corte ha affrontato d'ufficio, cassando la pronuncia del giudice d'appello, la questione dell'ammissibilità della domanda di regolarizzazione contributiva avanzata direttamente dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro senza convenire in giudizio anche l'ente previdenziale destinatario dei contributi omessi.
 
Il profilo processuale che, ad avviso della Corte, rende la domanda di regolarizzazione contributiva inammissibile è quello che la domanda di condanna a favore del terzo costituisce eccezione alla regola che, in armonia con l'art. 24 cost., prevede che vi debba essere coincidenza tra la titolarità sostanziale del rapporto giuridico che fonda la pretesa e  titolarità attiva della posizione processuale.
 
In sostanza la condanna a favore di terzo è ammessa solo in casi eccezionali che debbono essere normativamente previsti, con la conseguenza che, mancando una previsione normativa che legittimi l'azione proposta dal lavoratore per ottenere la regolarizzazione contributiva obbligando il datore di lavoro al pagamento dei contributi omessi all'ente di previdenza (INPS), la domanda di regolarizzazione contributiva si configura come una domanda di condanna a favore del terzo e, come tale, è inammissibile.
 
La Suprema Corte, tuttavia, rileva l'esistenza di un interesse giuridicamente apprezzabile del lavoratore ad ottenere la regolarizzazione della propria posizione contributiva il che legittima il medesimo ad avanzare la domanda di condanna purchè abbia cura di convenire in giudizio, sin dall'inizio, l'ente di previdenza.
 
Va, tuttavia, rilevato, sul piano pratico, che l'eventuale chiamata in causa dell'ente di previdenza, verosimilmente, comporterà, in caso di effettiva costituzione, un rilevante ostacolo alla definizione conciliativa delle liti.
 
Resta naturalmente la possibilità per il lavoratore, in caso di prescrizione dei contributi, di agire in via diretta per la costituzione della rendita ex art. 13 della l. n. 338 del 1962 ovvero per il risarcimento del danno (anche in via generica) determinato dall'inadempimento dell'obbligo contributivo del datore di lavoro ex art. 2116 c.c. 
 
Prima che i contributi siano prescritti, sarà invece un'azione cautelativa opportuna quella di segnalare la situazione di inadempimento contributivo all'ente previdenziale affinchè questo si attivi o, non facendolo, si esponga ad un'azione risarcitoria da parte del lavoratore. 
 
 
Cassazione civile    sez. lav. 15/09/2014 n 19398
 

L'interesse del lavoratore al versamento dei contributi previdenziali di cui sia stato omesso il pagamento integra un diritto soggettivo alla posizione assicurativa, che non si identifica con il diritto spettante all'Istituto previdenziale di riscuotere il proprio credito, ma è tutelabile mediante la regolarizzazione della propria posizione. Ne consegue che il lavoratore ha la facoltà di chiedere in giudizio l'accertamento dell'obbligo contributivo del datore di lavoro e sentirlo condannare al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente versare) nei confronti dell'ente previdenziale, purché entrambi siano stati convenuti in giudizio, atteso il carattere eccezionale della condanna a favore di terzo, che postula una espressa previsione, restando altrimenti preclusa la possibilità della condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali a favore dell'ente previdenziale che non sia stato chiamato in causa.
 
 
10. Con riferimento al capo della sentenza investito dal ricorso incidentale, la Corte rileva d'ufficio che la sentenza impugnata reca "condanna degli appellati, singolarmente per il periodo di tempo in cui hanno intrattenuto il rapporto di lavoro con la T., al versamento dei contributi agli enti previdenziali", e che l'ente previdenziale non è stato parte in causa nel giudizio in questione, sicchè la condanna ora detta si qualifica come condanna nei confronti di terzo.
11. Ciò posto, va rilevato in linea generale che i contributi sono dovuti dal datore di lavoro in ragione della sussistenza del rapporto lavorativo e che tuttavia è esclusa una pronuncia di pagamento in favore del lavoratore (che ha invece diritto - ove ne siano maturati i presupposti - alla costituzione della rendita L. n. 1338 del 1962, ex art. 13 o all'azione di risarcimento danni ex art. 2116 cod. civ.:
tra le altre, Sez. L, n. 3491 del 14/02/2014; Sez. L, n. 26990 del 7/12/2005).
12. Peraltro, è indubitabile l'interesse del lavoratore al versamento dei contributi, dalla legge protetto come diritto soggettivo alla posizione assicurativa, benchè non s'identifichi con il diritto spettante all'Istituto previdenziale, nè si configuri come una posizione di contitolarità in tale diritto e ancor meno di solidarietà attiva (cfr. Sez. L, n. 7104 del 10/06/1992); detto interesse del lavoratore è connesso con il diritto di credito dell'istituto, sia geneticamente, perchè nasce dal medesimo fatto che a quello da origine (la costituzione del rapporto di lavoro), sia funzionalmente, perchè l'adempimento del debito contributivo realizza anche la soddisfazione del diritto alla posizione assicurativa. In proposito, si è anche affermato il diritto del lavoratore alla regolarizzazione contributiva, stabilendosi, per il caso di sua violazione (Sez. L, n. 7459 del 21/05/2002), che, ove il lavoratore abbia dato comunicazione dell'omissione contributiva del datore di lavoro al competente ente previdenziale e quest'ultimo non abbia provveduto a conseguire i contributi omessi, lo stesso ente, in quanto obbligato, nell'ambito del rapporto giuridico con l'interessato (anche ex artt. 1175 e 1176 cod. civ.), alla diligente riscossione di un credito che, ancorchè proprio, vale a soddisfare il diritto costituzionalmente protetto del lavoratore, è tenuto a provvedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore medesimo, ove a quest'ultimo sia precluso di ricorrere alla costituzione della rendita L. n. 1338 del 1962, ex art. 13 o all'azione di risarcimento danni ex art. 2116 cod. civ..
13. La sussistenza del suddetto interesse del lavoratore, ed il riconoscimento di una sua tutelabilità mediante la regolarizzazione della posizione contributiva, danno ragione del riconoscimento da parte dell'ordinamento della facoltà del lavoratore di chiamare in causa il datore di lavoro e l'ente previdenziale, convenendoli entrambi in giudizio, al fine di accertare l'obbligo contributivo del primo e sentirlo condannare al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente) nei confronti del secondo, a valere sulla sua posizione contributiva, impedendo il verificarsi di un danno nei suoi confronti (e nei limiti in cui a ciò il lavoratore vi abbia interesse, come avviene quando non operi in suo favore, o c'è il rischio che possa non operare, per qualsiasi ragione, il principio di automaticità delle prestazioni).
14. Resta per converso esclusa per ragioni processuali la possibilità per il lavoratore di agire per ottenere una condanna del datore al pagamento dei contributi nei confronti dell'INPS che non sia stato chiamato in causa, stante la generale esclusione dei provvedimenti nei confronti di terzo ed il carattere eccezionale della condanna c.d. a favore di terzo. Infatti, di regola il processo deve svolgersi tra tutti coloro che sono parti del rapporto sostanziale dedotto, i quali hanno diritto ad interloquire sulle questioni che li riguardano (art. 24 Cost.), e il provvedimento che definisce il processo fa stato solo nei confronti delle parti e loro aventi causa, mentre solo in alcuni casi eccezionali (ne sono un esempio, nella materia del lavoro, le due condanne in favore di terzo previste dall'art. 18 stat. lav. in materia di licenziamenti illegittimi) è ammessa una pronuncia in favore di terzo.
15. Può dunque affermarsi che, in caso di omissione contributiva, il lavoratore può chiedere la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali in favore dell'ente previdenziale solo se quest'ultimo sia parte nel medesimo giudizio, restando esclusa in difetto l'ammissibilità di tale pronuncia (che sarebbe una condanna nei confronti di terzo, non ammessa nel nostro ordinamento in difetto di espressa previsione).
 
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