Cass Civ Sez Lav n 11935 2008 su indennità maternità enpaf

 
 
 
La sentenza n. 11935 del 13 maggio 2008, in relazione al sistema previdenziale dell’Enpaf, torna ad occuparsi di questione già più volte giunta alla cognizione della Suprema Corte e, cioè, se, nel regime giuridico vigente prima dell’entrata in vigore della L. n. 289 del 2003, ai fini dell’individuazione del reddito da porre a base per il calcolo dell’indennità di maternità delle farmaciste iscritte all’ente di previdenza dovesse essere considerato solo il reddito derivante dall’esercizio della libera professione o l’intero reddito denunciato a fini fiscali e, in particolare, quello derivante dalla partecipazione in società esercente attività di impresa (farmaceutica). La Suprema Corte ribadisce il suo precedente consolidato indirizzo secondo cui: “il criterio di determinazione dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste che, a norma della L. 11 dicembre 1990, n. 379, art. 1, comma 2, è basato sul riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nei secondo anno precedente a quello della domanda, trova applicazione a prescindere dalla forma in cui in concreto sia esercitata l'attività professionale e, in particolare, anche quando il reddito tratto da tale attività abbia natura mista, professionale e di impresa, come si verifica per la farmacista titolare di farmacia (cfr, ex plurimis, Cass. nn. 5221/91; 15222/2000; 15301/2001)”.
Al riguardo, secondo la Suprema Corte, non può condividersi la tesi, sostenuta dall’Enpaf, secondo cui la disciplina dettata dalla L. n. 289 del 2003, a mente della quale solo il reddito da attività autonoma entra a far parte della base di computo dell’indennità di maternità, avrebbe una portata meramente interpretativa della previdente disciplina. Secondo la Corte, invece, la L. n. 289 del 2003 ha portata innovativa e, come tale, vale soltanto per il futuro.

 

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA      Michele                        -  Presidente   - 
Dott. FIGURELLI    Donato                        -  Consigliere  - 
Dott. MAIORANO     Francesco Antonio   -  Consigliere  - 
Dott. DE MATTEIS   Aldo                          -  Consigliere  - 
Dott. BANDINI      Gianfranco                    -  rel. Consigliere  - 


ha pronunciato la seguente:                                         

 

SENTENZA


sul ricorso proposto da:
E.N.P.A.F. ENTE NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA FARMACISTI,  in persona   del  suo  Presidente  legale  rappresentante  pro  tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso lo studio dell'avvocato ANGELETTI ALBERTO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

 

- ricorrente –

 

Contro


B.N.;

intimata –

avverso  la  sentenza n. 692/04 della Corte d'Appello  di  CATANZARO, depositata il 08/07/04 R.G.N. 1175/02;                       
udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 13/03/08 dal Consigliere Dott. BANDINI Gianfranco;                  
udito l'Avvocato GNISCI per delega ANGELETTI;                       
udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. RIELLO  Luigi,  che ha concluso in via principale per  l'accoglimento del ricorso, in subordine rimissione alle Sezioni Unite.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


La Dott.ssa B.N., farmacista titolare di farmacia, chiese al Tribunale di Crotone, con ricorso depositato il 3.2.1999 nei confronti dell'ENPAF, a cui era iscritta, la corresponsione delle differenze per indennità di maternità ai sensi della L. n. 379 del 1990, art. 1, comma 2, ("L'indennità di cui al comma primo viene corrisposta in misura pari all'80 per cento di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda"), rispetto a quanto erogatole in applicazione del comma 3 de medesimo articolo ("In ogni caso l'indennità di cui al comma 1 non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all'80 per cento del salario minimo giornaliero stabilito dal D.L. 29 luglio 1981, n. 402, art. 1 ...)".
Sulla resistenza dell'ENPAF, il Giudice adito accolse la domanda.
L'appello dell'Ente, basato sul rilievo che andava distinto il reddito d'impresa da quello professionale, a cui esclusivamente si riferiva la L. n. 379 del 1990, art. 1, comma 2, venne respinto dalla Corte d'Appello di Catanzaro con sentenza del 13.5 - 8.7.2004.
A sostegno del decisum la Corte territoriale, espressamente richiamando altresì la giurisprudenza di legittimità, osservò che il dato testuale non consentiva di desumere una differenziazione a seconda delle forme in cui era stata svolta l'attività professionale, atteso che anche il reddito d'impresa è soggetto al prelievo fiscale e deve intendersi come reddito ai fini fiscali;
inoltre l'interpretazione accolta risultava coerente con la ratio della legge, di tutela della maternità per le libere professioniste.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale l'ENPAF ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria.
L'intimata non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Con il primo motivo l'Istituto ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 379 del 1990, art. 1, commi 2 e 3, come sostituito dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, nonchè insufficiente e contraddillo ria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sostenendo che, ai fini della determinazione dell'indennità, deve essere preso in considerazione soltanto il reddito derivante dall'attività autonoma di farmacista (e non già, quindi, anche quelli di diversa natura, quale quello di partecipazione in società esercente attività di impresa denunciato dalla B.), e richiamando, altresì, quale parametro interpretativo in tal senso, il disposto della L. n. 289 del 2003, art. 1.
1.2 Osserva il Collegio che, con riferimento alla disciplina (che qui specificamente rileva) vigente anteriormente all'emanazione della L. n. 289 del 2003, la giurisprudenza di legittimità aveva costantemente affermato il principio secondo cui - avuto riguardo alle mancate ulteriori specificazioni da parte del legislatore e alla realtà sociale costituita dalla gestione delle farmacie con vendita di prodotti farmaceutici e para-sanitari - il criterio di determinazione dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste che, a norma della L. 11 dicembre 1990, n. 379, art. 1, comma 2, è basato sul riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nei secondo anno precedente a quello della domanda, trova applicazione a prescindere dalla forma in cui in concreto sia esercitata l'attività professionale e, in particolare, anche quando il reddito tratto da tale attività abbia natura mista, professionale e di impresa, come si verifica per la farmacista titolare di farmacia (cfr, ex plurimis, Cass. nn. 5221/91; 15222/2000; 15301/2001).
1.3 Tale orientamento non è stato seguito dalla pronuncia di questa Corte n. 12260/2005, espressamente richiamata dalla parte ricorrente, sulla base delle seguenti considerazioni:
- dalla relazione alla proposta di legge di modifica del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, in materia di indennità di maternità per le libere professioniste (art. 70 che, al secondo comma, recepisce il del L. n. 379 del 1990, art. 1, comma 2) "... si evince che si intende chiarire, senza possibilità di equivoci, che il reddito da prendere a riferimento per il calcolo dell'indennità è solo quello professionale con esclusione di quanto eventualmente percepito per altre attività svolte (come, ad esempio, proventi patrimoniali, redditi d'impresa, eccetera)";
- con la L. n. 289 del 2003, art. 1, è stato disposto che il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, comma 2, va modificato, nell'espressione "del reddito percepito e denunciato ai fini fiscali", con la seguente: "del solo reddito percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo";
- "...non sussiste la necessità di accertare se tale modifica sia di natura interpretativa, con conseguente sua retroattività, o meramente innovativa, costituendo, piuttosto, essa un elemento chiarificatore della citata disposizione di cui alla L. n. 289 del 2003, art. 1, che può indurre a interpretare correttamente il D.Lgs. 26 marzo art. 70, comma 2, come se esso si riferisca al reddito percepito e denunciato ai Uni fiscali dalla libera professionista"; - tale significato è stato a suo tempo rifiutato da questa Corte, in sintonia con i principi indicati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 3 del 1998, "... ma è pur sempre ipotizzarle come alternativa ermeneutica anche nei testo originario del secondo comma della L. n. 379 del 1990, art. 1, e, perciò, può essere interpretato correttamente nel senso indicato dalla L. 15 ottobre 2003, n. 289, art. 1, lett. A)".
1.4. Ritiene il Collegio di non poter condividere tale interpretazione sulla base delle seguenti considerazioni:
- l'utilizzo, nella relazione alla proposta di legge di modifica del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, della locuzione "si intende chiarire" non si è tradotto nell'emanazione di una norma di espressa portata retroattiva, nè di natura interpretativa della normativa preesistente;
- è stata invece emanata una disposizione modificativa, destinata a produrre i propri effetti, secondo i principi generali, per il tempo successivo alla sua entrata in vigore;
- proprio la circostanza che sia stata emanata una norma modificativa testimonia dell'esistenza di un pregresso diverso regime, che il legislatore ha inteso mutare;
- in tale regime non veniva fatto riferimento alla qualificazione fiscale ("da lavoro autonomo") dei reddito da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell'indennità;
in difetto di siffatta specificazione, la formulazione della norma, nel fare riferimento al reddito della libera professionista, valorizza il dato obiettivo costituito da un reddito connesso allo svolgimento, in qualsiasi forma, dell'attività professionale, ivi compresa quindi quella in cui il reddito tratto da tale attività abbia natura mista, professionale e di impresa, come si verifica per la farmacista titolare di farmacia;
- in altri termini, come pure ha avuto modo di affermare questa Corte, atteso che "...nella norma in esame l'attività libero - professionale non è richiamata in funzione del reddito denunciato bensì del soggetto produttore, il fatto che il reddito sia stato dichiarato come reddito d'impresa è irrilevante", dovendosi anche tener conto che l'iscritta "...conserva la qualità di libera professionista, che l'esercizio dell'impresa non esclude" (cfr. Cass. n. 15301/2001, in motivazione).
1.5 Intende quindi il Collegio dare continuità ai sopra ricordati principi interpretativi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità anteriormente all'emanazione della legge n. 289/2003 e che del resto questa Corte, anche successivamente, ha già espressamente ritenuto di confermare (cfr. Cass. n. 1102/2005), onde il motivo all'esame va disatteso.
2. Con i secondo motivo l'Istituto ricorrente ha riproposto la già svolta eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 379 del 1990, art. 1, come sostituito dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, nell'interpretazione, come detto qui condivisa, già seguita dalla Corte territoriale, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., assumendo che si verificherebbe una evidente disparità di trattamento tra le farmaciste libere professioniste e coloro che sono percettrici di un reddito di impresa, parificando due redditi "oggettivamente ed ontologicamente diversi; risulterebbe inoltre l'irragionevolezza delle citate disposizioni considerando che tutti i soggetti pagano un eguale contributo, che risulterebbe sproporzionato rispetto alle diverse prestazioni derivanti dall'applicazione delle disposizioni in esame, rispetto alla natura dei redditi.
Osserva ai riguardo questa Corte che la censura è manifestamente infondata.
La Corte Costituzionale (sentenza n. 3 del 1998) ha infatti rilevato che la funzione della legge è di consentire alle professioniste di dedicarsi con serenità alla maternità evitando che la stessa si colleghi ad uno stato di bisogno o anche più semplicemente ad una diminuzione del tenore di vita, funzione da cui deriva il collegamento tra l'indennità ed il reddito della assicurata; tale essendo la ratio della norma, appare dunque irrilevante la natura del reddito della professionista (solo professionale o di natura mista professionale e di impresa come per le farmaciste titolari di farmacia). Anzi, come già rilevato da questa Corte (cfr. Cass. n. 15222/2000), la lesione del principio di eguaglianza si avrebbe se alle professioniste che percepiscono un reddito di natura mista (professionale e di impresa) dovesse erogarsi, come ritiene l'Istituto ricorrente, soltanto l'indennità nella misura ridotta di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, comma 3, non venendo in tal modo garantito, per queste ultime, quella finalità di assicurare la conservazione del tenore di vita che costituisce il mezzo di tutela della serena maternità secondo la Corte Costituzionale.
Quanto al secondo profilo di pretesa incostituzionalità, relativo al rapporto tra prestazioni erogande e contributo versato, deve ritenersi la manifesta infondatezza della questione, atteso che:
- non può ritenersi che il reddito d'impresa debba risultare necessariamente più elevato di quello da lavoro autonomo, cosicchè neppure è ravvisabile una diversa onerosità delle prestazioni in dipendenza soltanto dalla natura dei redditi di riferimento;
- come già rilevato da questa Corte in altra pronuncia (cfr, Cass. n. 15222/2000), la L. n. 379 del 1990, art. 5, (vigente all'epoca dei fatti per cui è causa), che regolava la copertura degli oneri, prevedeva, proprio "al fine di assicurare l'equilibrio della gestione delle singole casse", che il Ministro del Tesoro, sentiti i consigli di amministrazione, potesse variare con decreto la contribuzione;
inoltre, per completezza di motivazione, deve osservarsi che la D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 83, come modificato dal D.Lgs. n. 115 del 2003, art. 8 prevede che "...per gli enti comunque denominati che gestiscono forme obbligatone di previdenza in favore dei liberi professionisti, la ridefinizione dei contributi dovuti dagli iscritti ai fini del trattamento di maternità avviene mediante delibera degli enti medesimi, approvata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, nonchè con gli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza sul relativo ente" (comma 2) e che "Ai fini dell'approvazione della delibera di cui al comma 2, gli enti presentano ai Ministeri vigilanti idonea documentazione che attesti la situazione di equilibrio tra contributi versati e prestazioni erogate" (comma 3). Anche il motivo all'esame va quindi disatteso.
3. Sulla base delle considerazione che precedono il ricorso va dunque respinto.
Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, non avendo l'intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.


La Corte:
Respinge il ricorso; nulla per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2008

RICHIEDI CONSULENZA