I requisiti per l'iscrizione e per la pensione esercizio continuativo

 

La Giurisprudenza di Cassazione ha affrontato, sotto diversi profili, la tematica dell’esercizio professionale ai fini del riconoscimento dell’esistenza di uno dei presupposti per la valida iscrizione alle Casse di previdenza libero professionali e per l’insorgenza del diritto dovere dell’iscrizione medesima e delle relative conseguenze previdenziali (obbligo contributivo e diritto alle prestazioni).
In tali sistemi previdenziali si è passati da una prima fase in cui il requisito richiesto ai fini della valida iscrizione agli enti previdenziali era l’esercizio professionale ad una seconda fase in cui, invece, il requisito richiesto ai fini della valida iscrizione all’ente previdenziale era l’esercizio continuativo della professione (per la Cassa Commercialisti, ad esempio, si vedano le diverse disposizioni contenute nell’art. 2 della L. n. 100/63 e nell’art. 22 della L. n. 21/86).
Con riferimento al requisito del semplice esercizio professionale (non connotato, cioè, da ulteriori previsioni normative in merito alla continuità), si è formato un filone di Giurisprudenza di Cassazione che ha, via via, enucleato alcuni principi cardine in ordine ai criteri per l’accertamento della sussistenza del requisito in parola.
Segnatamente, la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito come sia irrilevante l’entità e l’intensità del lavoro concretamente svolto e l’eventuale ricorrenza di sospensioni temporalmente limitate dell’esercizio professionale ai fini della valida iscrizione alla Cassa Commercialisti laddove sia stato regolarmente versato il contributo minimo obbligatorio (in tal senso, tra le altre, si vedano Cass. Civ. Sez. Lav. n. 2037/86; Cass. Civ. Sez. Lav. n. 100/86; Cass. Civ. Sez. Lav. n. 7389/91).
La Corte ha, tuttavia, chiarito la portata del principio sopra richiamato specificando che l’esercizio professionale, pur non dovendo essere caratterizzato da intensità e continuità, deve pur sempre essere effettivo e non solo potenziale e non possa ritenersi sussistente ove sia stato interrotto per un periodo lungo di tempo (in tal senso, si vedano Cass. Civ. Sez. Lav. n. 11466/93; Cass. Civ. Sez. Lav. n. 11948/91).
La Corte ha, inoltre, chiarito che il fine di lucro rappresenta un connotato indefettibile dell’esercizio professionale (in tal senso, si veda Cass. Civ. Sez. Lav. n. 10191/90).
E’ stato anche precisato che sussiste, in presenza del regolare pagamento dei contributi minimi obbligatori, una presunzione semplice dell’esercizio professionale che onera l’Ente previdenziale di fornire l’eventuale prova contraria (in tali termini, si vedano Cass. Civ. Sez. Lav. n. 7637/95 e Cass. Civ. Sez. Lav. n. 3754/2003).
In tale prospettiva è stato precisato che l’omessa denuncia di redditi IRPEF possa offrire profili probatori polivalenti (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 7637/95) mentre l’assenza di partita I.V.A., congiuntamente all’assenza di redditi professionali dichiarati ai fini IRPEF è stata ritenuta idonea a comprovare l’insussistenza del requisito dell’esercizio professionale (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 12239/1999).
E’ stato anche precisato che l’esercizio professionale deve essere libero non potendosi ritenere configurato in caso di assunzione della carica di amministratore unico, stante il rapporto di immedesimazione organica (così Cass. Civ. Sez. Lav. n. 7637).
Come chiarito le diverse leggi di riforma dei sistemi previdenziali dei liberi professionisti hanno previsto che il requisito dell’esercizio professionale debba essere continuativo attribuendo ai rispettivi Comitati dei Delegati la competenza a determinare i criteri per la verifica dell’esercizio professionale e individuando determinate casistiche che esonerano il professionista dall’obbligo della continuità dell’esercizio professionale ai fini dell’iscrizione all’ente previdenziale – assunzione di cariche politiche, malattie ecc. ecc. – (si vedano l’art. 22 della L. n. 21/86 per Cassa Commercialisti o l’art. 22 della L. n. 576/80 per Cassa Forense).
La Giurisprudenza di legittimità ha innanzitutto sottolineato la differenza tra le disposizioni normative che, ai fini dell’iscrizione alla Cassa richiedevano esclusivamente l’esercizio professionale e quelle, successive, che hanno introdotto l’ulteriore requisito della continuità “…l’art. 22 della L. n. 21/1986 ha innovato per quanto attiene alla continuità che, secondo quanto risulta in particolare dal quarto comma, è ora intesa in un senso più rigoroso, tanto che – per escludere che un sia pur non lungo periodo di soggiorno all’estero per motivi di studio o l’inattività derivante da malattia o il mancato esercizio della professione (anche solo per qualche mese) conseguente all’assunzione della carica di ministro, facciano venir meno il requisito della continuità – il legislatore ha dettato speciali disposizioni (v. lett. a), b) e c) comma 4 art. 22 cit.)” (così Cass. Civ. Sez. Lav. n. 11948/1991).
Con riferimento al requisito dell’esercizio continuativo della professione la Giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che debbono essere considerate le medie reddituali e di volume d’affari individuate dal Comitato dei delegati ai fini dell’integrazione del diritto – obbligo di iscrizione e che, a tal fine, debbono essere prese in considerazione le risultanze fiscali (in tal senso Cass. Civ. Sez. Lav. n. 4263/87 e Cass. Civ. Sez. Lav. n. 8947/2004).
Cass. Civ. Sez. Lav. n. 4263/87 ha poi precisato che, in caso di annualità con redditi e/o volumi d’affari inferiori ai limiti fissati dal Comitato dei Delegati, la valutazione della media triennale può essere considerata solo a tutela dell’iscritto ai fini del diritto all’iscrizione ma non per fondarne l’obbligo.
Il raggiungimento delle medie fissate dal Comitato dei Delegati è stato poi ritenuto una presunzione semplice della sussistenza dell’esercizio continuativo della professione che ammette, in ogni caso, il professionista all’eventuale prova contraria (in tal senso Cass. Civ. Sez. Lav. n. 4957/98 e Cass. Civ. Sez. Lav. n. 1300/97).
Con riferimento specifico all’Ordinamento previdenziale di Cassa Forense, la Suprema Corte di Cassazione ha, infine, precisato che, ai fini dell’eventuale annullamento delle eventuali annualità risultate al di sotto dei limiti fissati dal Comitato dei delegati, sussiste un termine di decadenza quinquennale per la verifica (in tal senso Cass. Civ. Sez. Un. n. 13289/2005 e Cass. Civ. Sez. Lav. n. 10164/99).

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