Il diritto alle pari opportunità

Approfondimento a cura di
 
 
avvocato domiciliatario del Foro di Vibo Valentia
 
 
 
Trattare oggi del diritto alle pari opportunità tra uomini e donne potrebbe sembrare anacronistico, meramente demagogico, puro esercizio didattico, essendo un tema che ha impegnato sforzi attuativi del dettato Costituzio-nale e dei precetti normativi comunitari di non poco conto.
 
Eppure esistono ancor’oggi varie sacche, principalmente culturali, che av-versano il pari livello d’opportunità tra uomini e donne.
 
Il percorso che ha finora condotto a significativi progressi in materia è iniziato ormai da oltre mezzo secolo : alla fine degli anni cinquanta, infatti, ha visto la luce il primo movimento sulle “pari opportunità” in politica (so-stenuto da Nilde Iotti); nel ’59 nacque il Corpo di Polizia che fece venir meno il tabù delle donne-poliziotto; soltanto dal 1966 è stato consentito alle donne l’accesso in magistratura in attuazione della legge 9 febbraio 1963 n. 66 che ha permesso a tutti di concorrere alle cariche e agli impieghi pubblici . Va ricordato che soltanto nel 1945 è stato riconosciuto alle donne il diritto al voto, quando in Svezia ciò era avvenuto già nel 1866 (!).
 
La prima donna Avvocato che ha fatto ingresso alla Corte Costituzionale è stata, nel 1996, Fernanda Contri, diventata poi Vice Presidente.
 
Nel 1981 hanno fatto ingresso al CSM, come componenti laici, le prime due donne avvocato, Ombretta Fumagalli Carulli, anche docente universitario, e Cecilia Assanti, che è scomparsa da alcuni anni.
 
Per quanto riguarda il Consiglio Nazionale Forense - CNF – dal 1926 al 2004 ha avuto solo due rappresentanti di genere femminile, in rapporto a cen-tinaia e centinaia di consiglieri uomini; ed anche successivamente la presenza femminile nel Consiglio è estremamente ridotta : la percentuale è del 4%, insomma quasi impercettibile.
 
La legge costituzionale 30 maggio 2003 n. 1 ha modificato l’art. 51 della Carta per rafforzare il valore costituzionale della eguaglianza di genere.
 
La storia degli interventi normativi e amministrativi è ricca di iniziative che hanno tentato e, ancora oggi tentano, di assicurare una effettiva parità in tutti i settori della vita sociale e professionale agli uomini e alle donne.
 
Permane tuttavia una latente resistenza culturale, anche nei Paesi di grande tradizione democratica e giuridica, alla realizzazione di una concreta e ra-dicata parità di genere sia nelle opportunità iniziali sia negli obiettivi finali.
 
I mutamenti intervenuti nel “mercato del lavoro” ed ancor più nella profes-sione forense, con l’esercito di iscritti agli Ordini (si contano oggi oltre 265.000 avvocati in Italia !  Numero assolutamente sproporzionato rispetto a tutti gli altri Paesi europei), hanno notevolmente inciso sul modus operandi degli avvocati, aprendo sempre maggiori spazi all’associazionismo professio-nale.
 
Terreno tradizionalmente maschile, l’avvocatura ha subito una evidente femminilizzazione negli ultimi vent’anni. Se fino agli anni “80 le avvocate erano presenti in numero molto ridotto ed in forma sporadica negli ordini di periferia, dall’anno 1981 la loro presenza ha subito un netto e progressivo aumento: la rilevante componente femminile, introdottasi nella professione forense, ha superato la compagine maschile nella fascia d’età dai 25 ai 45 anni; nelle aule (e nei corridoi) dei palazzi di Giustizia è facile notare ple-tore di avvocate sfilare frettolosamente con borse e borsette.
 
Da una recente indagine Censis risulta che uomini e donne sembrerebbero incontrare le medesime difficoltà nei diversi momenti della carriera di avvo-cato. Le differenze più significative si osservano in relazione alla fase della maturazione professionale. Da questo punto di vista, il cammino delle donne avvocato appare più complesso, segnatamente rispetto alla possibilità di farsi un nome (le donne ritengono che quel momento sia “molto difficile” all’87% contro il 74% degli uomini), alla possibilità di avere dei clienti propri (80% a 70,1%), al momento in cui si vuole aprire uno studio proprio (77,5% a 62,1%).
 
Per le donne che intraprendono la professione forense lo sforzo da profon-dere appare diffusamente più gravoso di quanto non accada ai loro colleghi uomini, soprattutto relativamente a quegli stadi della storia lavorativa che hanno una forte valenza di crescita professionale, sia in termini di auto-nomia, che di capacità di gestione del mercato in senso ampio.
 
Le donne avvocato hanno superato i colleghi uomini nella formazione e l’accesso alla professione: si laureano più numerose ed in tempi più brevi rispetto agli uomini. Le avvocate appaiono più coinvolte nei problemi personali dei propri clienti, sono meno capaci di mascherare l’emotività, anche se sono più capaci di evitare esplosioni d’ira.
 
A dispetto del generalmente riconosciuto maggior impegno profuso dalle avvocate nell’esercizio della professione, delle loro peculiarità e specificità caratteriali di genere migliorative, la partecipazione dei due sessi nel mondo professionale forense si continua a ripartire in modo diseguale, con signifi-cativa penalizzazione per il genere femminile.
 
Prova ne è il fatto che il consistente numero di donne presenti nella pro-fessione forense non corrisponde ad altrettanto titolari di studio.
 
Soltanto il 60% delle donne avvocato iscritte agli Albi è titolare di uno studio proprio o partecipa in associazione con colleghi e/o colleghe.
 
La vita coniugale provoca un’accelerazione della carriera professionale ma-schile ed un rallentamento di quella femminile, così pure la maternità e la responsabilità della crescita dei figli, con riflessi in negativo per le avvocate sia sulla capacità reddituale che nella rappresentanza delle stesse nelle istituzioni e nelle associazioni di categoria.
 
La massiccia presenza delle donne avvocato la troviamo particolarmente nelle Associazioni che riguardano la materia del Diritto di Famiglia, terreno storicamente ricoperto dalle presenze femminili vuoi per tradizione vuoi perchè mercato non appetibile ai colleghi uomini.
 
E’ innegabile il fatto che più aumenta il prestigio della posizione, sia nelle istituzioni che nelle associazioni, maggiormente diminuisce il numero delle donne avvocato destinate a ruoli di rappresentanza dell’avvocatura.

I retaggi culturali sono ancora ben consolidati e così, tranne rare eccezioni, le avvocate penaliste di fama sono numericamente ridotte all’osso.
 
Oggi alle donne viene riconosciuta, sulla carta, una parità formale, ma non ancora una parità sostanziale, spendibile fra le pieghe del quotidiano e questo perchè, alla base, non sono ancora stati modificati gli schemi cul-turali per permettere l’attuazione della parità quale uguaglianza delle oppor-tunità.
 
La problematica di genere attiene ai meccanismi di potere operanti nell’intero corpo sociale e la divisione sessuale del lavoro è parte integrantedella divisione sociale del lavoro. La promozione del lavoro femminile deve affrontare innanzitutto il fatto che la funzione affidata alla donna come madre e moglie nell’ambito domestico e il “lavoro degli affetti” addossato in maniera prevalente alla donna sono tra i motivi principali della distribuzione diseguale delle donne e degli uomini nel lavoro.

E’ perciò importante elaborare nuovi modelli di ruolo ed istituti sociali che  permettano di conciliare professione e famiglia e rispecchino esigenze e scelte specifiche delle donne.
 
Sono certamente maturi i tempi per cui le donne possono e devono rifiutarsi di essere “utilizzate” e poi messe in panchina.
 
Tanto detto deve, però, lanciarsi un avvertimento : le donne-avvocato ed in genere le donne-lavoratrici non devono operare spinte da una sorta di spirito di rivalsa sui colleghi uomini, ma devono essere sempre più portatrici di valori umani e professionali scevri da condizionamenti legati al sesso.
 
Insomma, le intelligenze femminili devono avere il pieno diritto di crescita, maturazione ed espressione non già perché “femminili”, bensì proprio perché intelligenze; qualità di cui mai come nel momento storico che stiamo vivendo c’è estremo bisogno.
 
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