azione di reintegrazione e decadenza


Azione di reintegrazione e cognizione della turbativa. Da quando decorre il termine di decadenza?

 

Approfondimento a cura di

Silvia Papadia

avvocato del Foro di Pavia

 

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azione di reintegrazione del possesso - scheda


 

L’azione di reintegrazione nel possesso dev’essere proposta, a pena di decadenza, entro un anno decorrente dalla data del sofferto spoglio o, se questo è clandestino, dalla scoperta dello spoglio.
La tempestività dell’azione di spoglio costituisce un presupposto necessario all’esercizio dell’azione che, se posto in discussione dal convenuto con l’eccezione di decadenza, deve essere provato dall’attore.
Così ha deciso la Suprema Corte con la sentenza n. 9123/12 dello scorso 6 giugno.
Ricordiamo che l’art. 1168 c.c. disciplina una delle azioni a difesa del possesso, rubricata “azione di reintegrazione”. Il titolare di una servitù è possessore di un diritto reale di godimento su cosa altrui e, in caso di molestia, può agire per ottenerne tutela, non solo con l’azione di reintegrazione, ma anche con la c.d. actio confessoria servitutis. Differente è l’efficacia dell’azione, infatti, con il ricorso per reintegrazione del possesso, l’attore mira ad ottenere un provvedimento rapido, sia pur non definitivo, che gli consenta di tornare ad esercitare un diritto, il cui godimento fino a poco tempo prima era pacifico ed indisturbato. Anche per questo il legislatore ha previsto un termine decadenziale sostanzialmente breve.
Nel caso in esame, vi era una servitù di uso pubblico di passaggio su una stradina di campagna di proprietà del titolare di una cava posta sul margine della medesima. Due persone, che da tempo immemorabile avevano l’abitudine di transitare su di una strada sterrata che conduceva al lago nel quale pescavano (attività per la quale erano forniti di regolare licenza), scoprivano che il percorso era intralciato da un grosso masso. Il pezzo di pietra impediva il passaggio veicolare e rendeva molto difficoltoso anche quello pedonale. I pescatori irretiti dal fatto, che addebitavano al proprietario della cava, proponevano azione di spoglio davanti all’allora pretore di Sondrio. Il proprietario della cava ammetteva che a posizionare il masso era stato lui. Egli, convintamente, rivendicava la legittimità di quell’azione essendo il proprietario della stradina; in subordine, contestava la tempestività dell’azione di reintegrazione nel possesso, in quanto, a suo dire, i pescatori erano decaduti dal diritto di esercitarla. Questa tesi viene respinta tanto all’esito dell’azione cautelare quanto alla fine del giudizio di primo grado: gli utilizzatori della strada dovevano essere riammessi all’esercizio del diritto di passaggio del quale erano stati spogliati. Da qui il giudizio d’appello proposto dall’originario convenuto che ribaltava l’esito del primo grado del processo: l’azione di spoglio era da ritenersi tardiva e quindi l’originario ricorso doveva essere rigettato.
La Corte di Cassazione chiarisce che il nodo del problema, nel caso dell’azione di reintegrazione, è il rispetto dei termini decadenziali. L’azione dev’essere proposta entro un anno da quando è iniziato lo spoglio o dal momento che, se clandestino, è divenuto di conoscenza di chi agisce in giudizio. Termine perentorio che dev’essere osservato a pena di decadenza. Da ciò ne discende, secondo gli ermellini, «che la tempestività costituisce presupposto dello spoglio necessario all’esercizio dell’azione che, se posto in discussione dal convenuto con l’eccezione di decadenza, dev’essere provato dall’attore».

Cassazione, Sez. II, 06 giugno2012, n. 9123


Ritenuto in fatto

 

Con ricorso depositato il 1.4.1998 ex art. 703 c.p.c. S.G., P.M., A.G. e SC.Be.Di. , adivano l’allora Pretore di Sondrio, sezione distaccata di Morbegno chiedendo la reintegrazione o manutenzione nel possesso di una servitù di uso pubblico di passaggio pedonale e con veicoli, esercitato dalla collettività dei cittadini su una strada sterrata in territorio del comune di (OMISSIS) , che partendo dalla stradale n. (OMISSIS), dopo avere costeggiato una cava di proprietà del convenuto Pe.Ro., conduceva alle sponde del lago demaniale di (OMISSIS). Precisavano i ricorrenti che tale strada era da loro – come da altri – utilizzata da tempo immemorabile, per raggiungere tale lago dove esercitavano la pesca, essendo in possesso di regolare licenza e di aver notato intorno alla metà del mese di aprile del precedente anno, la presenza di un enorme macigno, posto di traverso alla strada, che impediva l’acceso carrabile e ostacolava quello pedonale. Secondo i ricorrenti tale masso proveniva dalla vicina cava di Ro.Pe. , il quale peraltro non aveva negato di essere l’autore del fatto, sostenendo di essere proprietario della strada.
Quest’ultimo, costituendosi in giudizio, pur negando l’esistenza di qualsiasi servitù di uso pubblico sulla strada in questione, eccepiva innanzitutto l’inammissibilità o improcedibilità dell’azione promossa di ricorrenti, in quanto non esercitata entro l’anno dal preteso sofferto spoglio, come richiesto dall’art. 1168 c.c., atteso che il masso era stato collocato sulla strada nel dicembre del 1996.
Espletate le sommarie informazioni, il giudice adito, disponeva la reintegra dei ricorrenti nel possesso del passaggio sulla strada in questione; l’ordinanza quindi, all’esito del giudizio di merito, veniva confermata dai Tribunale di Sondrio, sezione distaccata di Morbegno, con sentenza n. 6/2002, che riteneva assolta dagli attori la prova di essere venuti a conoscenza dell’impedimento entro l’anno dall’invocata tutela. La sentenza veniva appellata dal Pe. , e l’adita Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 1986/05 depositato in data il 4.8.2005, in accoglimento della proposta impugnazione, dichiarava inammissibile il ricorso possessorio proposto dai ricorrenti, valutando negativamente le dichiarazioni dei testi escussi e così statuendo che essi non avevano fornito la prova di aver agito entro l’anno dalla scoperto dell’impedimento posto dal Pe. al passaggio delle auto sulla strada in parola.
Avverso la predetta pronuncia, ricorrono per cassazione gli odierni ricorrenti sulla base di un unico mezzo; l’intimato resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con l’unico motivo i ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 132 co. 1 n. 4 c.p.c. “per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia riguardante l’esame e la valutazione delle prove testimoniali”. La censura si riferisce alla ritenuta incapacità di testimoniare dei testi in quanto appartenenti alla comunità di persone astrattamente titolari del diritto di uso civico vantato dai ricorrenti, nonché alla negativa valutazione delle dichiarazione dei due testi escussi (V. e Sa. ), ai fini della prova delle tempestività della proposizione del ricorso ex art. 1168 c.c..
La doglianza è infondata, non essendo configurabile la prospettata violazione di legge. Invero occorre innanzitutto precisare che la corte territoriale ha ritenuto alcuni testi non tanto incapaci di testimoniare perché facenti parte della comunità degli utenti della strada, quanto inattendibili e comunque ne ha ritenuto vaga e non determinante la loro deposizione. In secondo luogo la sentenza ha fatto retta applicazione dell’art. 1168 c.c. e del principio secondo cui l’esperibilità dell’azione di spoglio è soggetta al termine di un anno (decorrente dalla data del sofferto spoglio o, se questo è clandestine, dalla scoperta dello spoglio), che, essendo perentorio, deve essere osservato a pena di decadenza. Ne consegue che la tempestività costituisce un presupposto dello spoglio necessario all’esercizio dell’azione che, se posto in discussione dal convenuto con l’eccezione di decadenza, dev’essere provato dall’attore (nella fattispecie peraltro lo spoglio non poteva essere ritenuto clandestino: a tal fine è necessario non tanto che il possessore abbia ignorato il fatto, ma soprattutto che egli si sia trovato nella impossibilità di averne cognizione: Cass. n. 1131 del 04/02/1998).
Non è neppure ravvisabile il denunziato vizio motivazionale, attraverso il quale in realtà si tenta inammissibilmente di far passare in sede di legittimità una lettura delle risultanze processuali diversa da quella effettuata dal giudice di merito. Al riguardo la motivazione della decisione impugnata appare congrua ed immune da vizi logici e giuridici e può ben essere condivisa.
Conclusivamente dev’essere rigettato il ricorso de quo; le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in complessive Euro 2.700,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
Depositata in Cancelleria il 06.06.2012

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