Il danno alla persona e la liquidazione ex art. 1226 cc

Il danno alla persona e la liquidazione ex art. 1226 cc. Il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale dopo la sentenza del 7 giugno 2011 n.12408, il ricorso alle tabelle milanesi per garantire liquidazioni uniformi e i correttivi per l'adeguamento al caso concreto

 

Articolo a cura di

Carmela DE MATTIA

Avvocato civilista del Foro di Lecce


La Corte di Cassazione, con sentenza n.12408/2011, ha stabilito che nella liquidazione del danno alla persona, quando manchino criteri prestabiliti ex lege, l’adozione delle regola equitativa di cui all’art.1226 c.c. deve garantire non solo l’adeguata considerazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi. E’ intollerabile ed iniquo, secondo il giudice di legittimità, che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché le relative controversie siano decise da differenti uffici giudiziari.
“Equità”, ha affermato a riguardo la Corte, vuol dire non solo proporzione, ma anche uguaglianza.

Partendo dall’affermazione del sopra espresso principio generale, la Corte ha tratto la conclusione che, nei suoi compiti di giudice della nomofilachia, deve rientrare anche quello di indicare ai giudici di merito criteri uniformi per la liquidazione del danno alla persona, e tali criteri sono stati individuati nelle “Tabelle” di riferimento per la stima del danno alla persona elaborate dal Tribunale di Milano, trattandosi del criterio più diffuso nella prassi sul territorio nazionale. Ne segue la censurabilità, per violazione di legge, delle sentenze di merito che non dovessero applicare il suddetto criterio senza motivare adeguatamente lo scostamento da esso. Con la medesima sentenza la Corte si è preoccupata, altresì, di indicare alcune direttive – per così dire – di “diritto intertemporale”, precisando che le decisioni di merito già depositate e non passate in giudicato - le quali non abbiano liquidato il danno biologico in base alle tabelle del Tribunale di Milano - non saranno per ciò solo ricorribili per cassazione (per violazione di legge), qualora sia mancata in appello una specifica censura in tal senso, e se la parte interessata non abbia prodotto agli atti del giudizio di appello copia delle suddette tabelle.
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Per quanto concerne la tipologia del danno risarcibile, è necessario rifarsi sempre a quanto stabilito con sentenza dell’11.11.2008 n.26972 dalle Sezioni Unite le quali - rimanendo ancorate ai principi già compiutamente delineati nelle precedenti sentenze gemelle del 2003, e pur negando l’autonoma natura di ciascuna delle voci in cui è articolato il danno non patrimoniale - hanno sostanzialmente ribadito la risarcibilità delle medesime voci, precisandone però la portata.
 
E’, dunque, nell’ottica della continuità col passato che deve interpretarsi il dictum del Supremo Collegio che, espressi verbis, statuisce: “queste Sezioni Unite condividono e fanno propria la lettura, costituzionalmente orientata, data dalle sentenze n.8827/2003 e n.8828/2003”.

In particolare, nel caso di perdita del rapporto parentale, le Sezioni Unite escludono la congiunta attribuzione del danno morale “poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente risarcito”.
 
Sul tema si segnala anche la sentenza del Tribunale di Lecce – Sezione distaccata di Maglie, n.368 del 29 novembre 2008 che ha repentinamente applicato il principio espresso dalla predetta sentenza delle S.U. del 2008.
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Il danno risarcibile, dunque, è quello non patrimoniale iure proprio, ossia il ristoro di tutte le sofferenze morali patite in conseguenza della perdita traumatica di un congiunto, ed in particolare anche del c.d. “danno da perdita del rapporto parentale” che, per consolidata giurisprudenza, “deve essere risarcito mediante il ricorso a criteri di valutazione equitativa, rimessi alla prudente discrezionalità del giudice di merito” ma, al contempo, “esplicitando le regole di equità applicate (ai sensi del combinato disposto di cui agli artt.1226 e 2056 codice civile) e, nello specifico, tenendo conto della irreparabilità della perdita della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia subita dai prossimi congiunti della vittima”. Danno che “va al di là del crudo dolore per la morte in sé di una persona cara” e che si concreta “nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che si è fatto per anni, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra superstiti”, così Cass. Civ. Sez. III del 09 maggio 2011 n. 10107.
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Per quanto concerne l’onere della prova sulla esistenza di tale danno non patrimoniale, la giurisprudenza di legittimità ha più volte statuito che, attenendo il pregiudizio ad un bene immateriale, “precipuo rilievo assume rispetto a questo tipo di danno la prova per presunzioni, mezzo peraltro non relegato dall’ordinamento in grado subordinato nella gerarchie delle prove cui il giudice può fare ricorso anche in via esclusiva per la formazione del suo convincimento” (cfr. Cass. Civ. sent. n. 13819 del 2002).
 
Sul punto, analogamente, altra pronuncia della Suprema Corte di Cassazione statuisce che la presunzione della sofferenza interiore per “lo sconvolgimento esistenziale - riverberante anche in obiettivi e radicali scelte di vita diverse - discende dalla perdita del rapporto parentale secondo l’id quod prelumque accidit per lo stretto congiunto” (così Cass. Cov. Sent. del 06/04/2011 n.7844).
 
Tutto ciò altro non è che la lesione di un vero e proprio diritto con fondamento costituzionale (artt. 2, 29, e 30 Cost.) sinteticamente indicato nel linguaggio adoperato dalla Suprema Corte quale interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e la inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana (cfr. Cass. n. 11761/2006; n.13546/2006).
 
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Per quanto concerne la stima del danno patito occorre avere come punto di riferimento le Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano trattandosi dei parametri di liquidazione – in termini di valori medi – più diffusi sul territorio nazionale del danno non patrimoniale alla persona (danno ‘morale’, cioè ‘danno da sofferenza contingente’), sulle quali poi andare ad operare correttivi per addivenire alla quantificazione che più si attaglia al caso concreto.

La Suprema Corte di Cassazione, infatti, ha stabilito che “nella liquidazione del danno alla persona, quando manchino criteri stabiliti dalla Legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art.1226 codice civile deve garantire non solo l’adeguata considerazione delle circostanze del caso concreto ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi”, così Cass. Civ. Sez. III, del 07/06/2011 n. 12408. Si statuisce inoltre che sarebbe iniquo ed inammissibile che danni identici, riconducibili a casi analoghi, vengano liquidati in misura diversa da parte di differenti Uffici giudiziari. Si tenga presente, ad esempio, l’enorme sperequazione che sussisterebbe se dovessero trovare applicazione le Tabelle del Tribunale di Lecce, di gran lunga inferiori per importi a tutte le altre presenti nello Stato italiano. E’ ovvio, dunque, fare riferimento ad una tabella unica su tutto il territorio nazionale valida per l’indicazione di un unico valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona.
La correttezza delle argomentazioni della Suprema Corte di Cassazione è avallata dall’art.3 della Costituzione che, imponendo la parità di trattamento tra cittadini, non consente interpretazioni della Legge che violino quelle parità proprio in materia di diritti fondamentali; dall’art.32 della Carta Costituzionale che, proclamando solennemente la inviolabilità del diritto alla salute, non sarebbe coerentemente applicato se il ristoro del danno derivato dalla sua lesione ubbidisse a diversi criteri in reazione alla localizzazione del Giudice competente; dal novellato art.111 comma 2 della Costituzione, posto che la prevedibilità delle decisioni giudiziarie, garantita dall’esistenza di un minimo comune denominatore dell’equità risarcitoria, è il principale strumento in grado di deflazionare il contenzioso.
Numerose (e stratificate nel tempo) sentenze hanno già riconosciuto che equità è anche “proporzione” e che non possono essere accettate liquidazioni equitative che si discostino da un minimo comune denominatore dell’equità risarcitoria (cfr. tra le tante Cass. Civ. 12 dicembre 2008 n. 21191; Cass. Civ. 28 novembre 2008 n. 28407; Cass. Civ. 29 settembre 2005 n. 19171; Cass. Civ. 03 agosto 2005 n. 16225; Cass. Civ. 23 febbraio 2005 n. 3766; Cass. Civ. 21 maggio 1996 n. 4671).
A seguito della ricognizione dei valori di effettiva liquidazione portati dalla giurisprudenza del Tribunale di Milano, dunque, viene comunque proposto anche un adeguamento dei valori di liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, prevedente una forbice che consente di tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto (tipizzabili in particolare nella sopravvenienza o meno di altri congiunti, nella convivenza o meno di questi ultimi, nella qualità ed intensità della relazione affettiva familiare residua, nella qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizza il rapporto parentale con la persona perduta).
Pertanto, è comunque necessario andare ad analizzare nello specifico il danno non patrimoniale subìto nel caso concreto.
Conclusioni
Nell’ipotesi il danno c. d. non patrimoniale cui fa riferimento il sistema risarcitorio proposto dalle Tabelle del Tribunale di Milano - inteso come danno unitario che ingloba anche il danno da lesione del rapporto parentale - va esclusa la congiunta attribuzione del danno morale essendo tutte componenti di un unico complesso pregiudizio che va integralmente risarcito.
E’ necessario, pertanto, unificare l’integrale ed unitario risarcimento sotto l’omnicomprensiva categoria del danno non patrimoniale facendo riferimento, ai fini della determinazione del quantum debeatur, ad una tabella unica su tutto il territorio nazionale modellando, ovviamente, l’effettiva quantificazione, non solo alle singole sottocategorie, ma anche a tutte le circostanze del caso concreto.
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