Diritto di ritenzione tra codice civile e risvolti penalistici

Avv. Chiara Valente

Foro di Trieste

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Il diritto di ritenzione non integra il reato di appropriazione indebita salvo che non sia ricollegabile ad un atto di disposizione "uti dominus"- Cassazione sez.II penale n. 17295 del 23 marzo 2011.
Può l’officina meccanica che esegue una riparazione su un’autovettura affidatale, rifiutarsi legittimamente di consegnare la stessa al proprietario fintanto che questi non effettua il pagamento del corrispettivo?
In base alla dottrina, il creditore che detenga a garanzia di un credito una cosa di proprietà del debitore, rifiutandosi di restituirla finché l’obbligazione non trova adempimento, esercita il c.d. diritto di ritenzione.
Un tanto trova costante conferma nella giurisprudenza di legittimità, per cui tale principio rappresenterebbe una deroga alla regola per cui nessuno può farsi giustizia da sé, poiché istituto di carattere eccezionale, non suscettibile di applicazione analogica, che riconduce il diritto di ritenzione disciplinato dall’art. 1152 c.c. a una forma di autotutela esclusiva del detentore qualificato (si ricorda: Cass. Civ., n. 12232/2002).
La disciplina del codice civile, infatti, riconosce il diritto di ritenzione come una situazione giuridica non autonoma, bensì strumentale all’autotutela di altra situazione attiva generalmente costituita da un diritto di credito.
Nel caso dell’officina, la ratio è riconducibile al fatto che si tratta di possessore di buona fede, non essendovi in capo alla stessa l’intenzione soggettiva dell’inversione del possesso dell’autovettura, che rimane sempre a disposizione del proprietario, il cui diritto di proprietà non è mai posto in discussione.
Sotto il profilo processuale, il diritto di ritenzione, mirando a tutelare la pretesa creditoria al pagamento dell’indennità da parte del possessore di buona fede, può essere fatto valere in via riconvenzionale nel corso del giudizio di rilascio, soggiacendo così alle stesse regole processuali stabilite per il credito tutelato; ne deriva che trattandosi di una vera e propria domanda, seppure proposta dal creditore convenuto nel giudizio di rivendicazione, non è ammissibile se posta per la prima volta in appello (in tal senso: Cass. Civ. n. 7692/93).
D’altra parte, la condanna generica al pagamento dell’indennità che ne consegue si concretizza in una semplice declaratoria iuris, non implicando necessariamente la prova delle riparazioni che il possessore asserisce di avere eseguito.
E’ quindi, alla luce di tali considerazioni che la più recente giurisprudenza di legittimità afferma che l’omessa restituzione della res non può essere passibile di querela ex art. 646 c.p. salvo che non sia ricollegabile a un atto di disposizione “uti dominus” e, quindi, all’intenzione soggettiva d’interversione del possesso in proprietà, tesa a modificare la natura del rapporto giuridico attraverso l’appropriazione (in tal senso: Cass. Pen. N. 10774/2002; tra le più recenti: Cass. Pen. N.  17295/2011).
Tuttavia, non si può esimersi dal considerare, come ben fa la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza penale n. 17295/2011, che il diritto di ritenzione esercitato su bene altrui, ha efficacia scriminante rispetto al reato di appropriazione indebita solo qualora il credito che s’intende tutelare è certo, liquido ed esigibile; ossia determinato nel suo ammontare e non controverso nel titolo.

Ecco la massima della recente sentenza: "Non integra il delitto di appropriazione indebita il creditore che, a fronte dell'inadempimento del debitore, eserciti a fini di garanzia del credito il diritto di ritenzione sulla cosa di proprietà di quest'ultimo legittimamente detenuta in ragione del rapporto obbligatorio, a meno che egli non compia sul bene atti di disposizione che rivelino l'intenzione di convertire il possesso in proprietà". Ciò che non fa integrare il reato è l'assenza dell'elemento soggettivo dello stesso, ossia la volontà di fare propria la cosa, privandone definitivamente il proprietario: elemento tipico e necessario dell'appropriazione indebita.

Cassazione penale sez. II, 23 marzo 2011 n. 17295

CONSIDERATO IN FATTO

Nell'ambito del procedimento penale a carico di:
- I.R. - I.E. - P.S. - Pa.Da. - C.C.;
indagati ex artt. 110 e 646 c.p. perchè, dopo che Po.
G.B. aveva affidato all'officina da loro condotta la sua Fiat "500", si rifiutavano di restituirla, nonostante le richieste del querelante;
Il GIP presso il Tribunale di Pistoia, in data 30.07.2010, emetteva il decreto di sequestro preventivo dell'autovettura;
il Tribunale per il riesame di Pistoia, con ordinanza del 05.10.2010, respingeva il reclamo e confermava il sequestro;
Ricorrono per cassazione gli indagati a mezzo del difensore di fiducia, deducendo:
MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).
1)- I ricorrenti censurano la decisione impugnata per violazione dell'art. 646 c.p. avendo il Tribunale errato nell'applicazione della norma;
- sottolineano che il Po. aveva affidato la sua autovettura all'officina condotta dagli indagati ed all'esito delle riparazioni, poichè il consuntivo era risultato ben più alto di quanto preventivato, il medesimo querelante si era rifiutato di provvedere al pagamento;
tale condotta aveva provocato la reazione degli indagati, che avevano trattenuto in officina l'autovettura, dichiarando di esercitare il diritto di ritenzione ex art. 2756 c.c., in attesa degli esiti della instauranda causa civile;
l'esercizio di tale diritto, espressamente previsto dal codice civile, giustificava il comportamento degli indagati, avendo per altro i medesimi mai inteso attuare alcuna interversione del possesso della vettura;
CHIEDONO pertanto l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.
La Dottrina configura il c.d. diritto di ritenzione osservando che di fronte al mancato tempestivo adempimento dell'obbligazione il creditore che detenga in ragione del rapporto obbligatorio una cosa di proprietà del debitore può rifiutarsi di restituirla fino a quando l'obbligazione non sia adempiuta; tale concetto è del tutto conforme ai principi della giurisprudenza di legittimità che ha sottolineato come il diritto di ritenzione previsto dall'art. 1152 c.c., attuando una forma di autotutela in deroga alla regola per cui nessuno può farsi giustizia da sè, costituisce istituto di carattere eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica e che compete quindi solo al detentore qualificato; (Cassazione civile, sez. 2, 19/08/2002, n. 12232).
Nella specie, i ricorrenti hanno agito in virtù della detenzione qualificata che li legava alla vettura, a loro affidata per le riparazioni in officina, sicchè il loro comportamento non risulta illecito nè sul piano oggettivo, avendo trattenuto la cosa in attesa del pagamento, nè su quello soggettivo, non avendo mai inteso invertire il possesso della vettura che, in effetti, è sempre restata a disposizione del Po., il cui diritto di proprietà non è stato mai posto in discussione.
Nella specie, dunque, deve trovare applicazione la giurisprudenza, puntualmente citata dal ricorrente, secondo la quale l'omessa restituzione della cosa non realizza l'ipotesi del reato di cui all'art. 646 c.p. se non quando si ricollega oggettivamente ad un atto di disposizione "uti dominus" e soggettivamente all'intenzione di convertire il possesso in proprietà; ne deriva che la semplice ritenzione precaria, attuata a garanzia di un preteso diritto di credito conservando la cosa a disposizione del proprietario e condizionando la restituzione all'adempimento della prestazione cui lo si ritiene obbligato, non costituisce appropriazione perchè non modifica la natura del rapporto giuridico fra il bene e la cosa (Cass. Pen. Sez. 2, 25.01.2002 n. 10774).
Il Tribunale ha ignorato tale principio, ormai consolidato (vedi anche: Cass. Pen. Sez. sez. 2, 27.5.1981, G., 150663-4), non assumendo alcun rilievo - nella specie - la questione circa la liquidità ed esigibilità del credito vantato dai creditori, poichè tale questione non vale ad escludere la totale carenza dell'elemento soggettivo dell' appropriazione indebita, consistente nella volontà di fare propria la cosa, privandone definitivamente il proprietario.
Si deve pertanto concludere che manca, nella specie, il "fumus" del reato contestato, con conseguente annullamento senza rinvio sia dell'ordinanza impugnato che del decreto di sequestro.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e il decreto di sequestro emesso dal Gip di Pistoia in data 30.07.2010.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2011.
Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2011

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