diritto al corretto inquadramento e inquadramento convenzionale

L'inquadramento del lavoratore secondo le previsioni delle fonti collettive, il diritto ad un corretto inquadramento e a un'adeguata retribuzione, l'inquadramento convenzionale e la conservazione delle tutele contro il licenziamento
  
 
 
L'inquadramento del lavoratore discende dalle mansioni attribuite dal datore di lavoro e concretamente espletate e dalla categoria di appartenenza. Si tratta di nozione legata a doppio filo con quella della retribuzione nel senso che l'inquadramento è disciplinato dalle fonti collettive le quali, descrivendo i profili lavorativi di ciascun livello di inquadramento, poi, in attuazione dell'art. 36 della Cost., prevedono diversi livelli retributivi in relazione a ciascun livello di inquadramento. Il lavoratore, poi, ha un diritto al corretto inquadramento nel senso che, salvo convenzioni migliorative, non può essere inquadrato e retribuito sulla base di un parametro che non corrisponda almeno all'inquadramento dovuto in relazione alle mansioni effettivamente disimpegnate.
 
Occorre, però, anche sottolineare che, di norma, non è sufficiente lo svolgimento saltuario di mansioni riconducibili ad un inquadramento superiore per fondare il diritto a tale superiore inquadramento. In ipotesi di mansioni promiscue, infatti, è ricorrente il principio per cui l'inquadramento deve essere determinato in base alle mansioni in concreto prevalenti.
 
Il diritto al superiore inquadramento, cui s'accompagna, il più delle volte, la rivendicazione delle relative e corripondenti differenze retributive è soggetto alla prescrizione decennale mentre le differenze retributive, sempre che la prescrizione maturi in corso di rapporto, sono oggetto di crediti che si prescrivono nel minore termine di 5 anni.
 
Il giudizio avente ad oggetto il diritto ad un superiore inquadramento sul presupposto dello svolgimento di mansioni non rientranti nell'inquadramento ricevuto ma in quello superiore richiede, da parte del lavoratore, una particolare cautela sotto il profilo delle allegazioni in quanto non è sufficiente descrivere le mansioni disimpegnate e l'inquadramento ambito occorrendo, invece, effettuare, sulla base di tali mansioni, un ponderato raffronto tra le declaratorie dell'inquadramento ricevuto e di quello ambito onde rendere evidente sul piano delle allegazioni ed al fine della verifica istruttoria l'incongruenza dell'inquadramento attuale e il diritto a quello superiore.
 
Se, sul piano giuridico, è illegittima l'attribuzione di un inquadramento inferiore rispetto alle mansioni effettivamente espletate dal lavoratore, traducendosi, peraltro, tale fattispecie in una violazione mediata degli artt. 36 Cost. e 2099 c.c. è, invece, ammesso un inquadramento convenzionale di favore volto ad attribuire al lavoratore un trattamento economico migliore. Tuttavia, in giurisprudenza, si è affermato che tale inquadramento convenzionale di favore non può privare il lavoratore delle tutele proprie della qualifica che gli spetterebbe in virtù delle classificazioni di legge. la questione si è in particolare posta con riferimento all'inquadramento convenzionale di un lavoratore quale dirigente ed all'applicazione del regime di stabilità, escluso per i dirigenti, di cui all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. secondo cass n. 18998 "in caso di licenziamento di lavoratore formalmente inquadrato come dirigente, grava sul lavoratore che intenda fruire del più favorevole regime limitativo dei licenziamenti previsto per i dipendenti non aventi tale qualifica, l'onere di provare la natura meramente convenzionale dell'inquadramento, e che le mansioni effettivamente svolte non corrispondevano a quelle previste o, comunque, difettavano, in concreto delle connotazioni proprie della categoria dirigenziale.
 
 
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