licenziamento con email whatsup e posta elettronica

Il licenziamento nel tempo dei social - la validità dei licenziamenti intimati con posta elettronica o con email o a mezzo whatsup nelle prime pronunce dei giudici di merito - le nuove frontiere del licenziamento orale 

 

Il licenziamento intimato oralmente è una delle rare ipotesi di recesso che, anche dopo le riforme introdotte prima dalla legge Fornero e poi dal Jobs Act, è totalmente inefficace e consente al lavoratore di rivolgersi al Giudice per conseguire la reintegra nel posto di lavoro e le retribuzioni per il periodo di interruzione in fatto della prestazione, a prescindere dal numero dei dipendenti presenti in azienda.

L’art.2 L.604/1966 sul punto precisa che “1. il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. 2. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. 3. Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace.

La Corte di Cassazione ha precisato, al riguardo che “in tema di forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali, potendo, la volontà di licenziare essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta purché chiara”. Su tale scorta è stato ritenuto atto scritto di recesso la consegna al dipendente da parte del datore del libretto di lavoro accompagnata da lettera di trasmissione indicante il recesso datoriale. (Cass. Civ. 13 agosto 2007, n. 17652); più recentemente è stato chiarito come “In tema di forma del licenziamento, l'art. 2 della legge n. 604 del 1966 esige, a pena di inefficacia, che il recesso sia comunicato al lavoratore per iscritto, ma non prescrive modalità specifiche di comunicazione” (Cass. L. n°12499 del 19 luglio 2012)

La giurisprudenza di merito si è già trovata di fronte a casi di licenziamento comminato tramite email, sms e messaggi Wathsapp, e si è interrogata se tali forme di licenziamento rispettino la forma scritta come richiesta per legge. In particolare: Il Tribunale di Roma (ordinanza del 20.12.2013) si è espresso per l’inefficacia del licenziamento intimato tramite e-mail non sottoscritta “in quanto non fornirebbe al destinatario garanzia della provenienza dal mittente dichiarato (il datore di lavoro nella persona di un suo rappresentate munito di poteri di rescissione del rapporto) potendo ad esso sostituirsi qualsiasi soggetto capace di confezionare un indirizzo elettronico aziendale fraudolento”.

Con tale pronuncia si è, dunque ritenuta l’inefficacia del licenziamento in ragione non della mancata sottoscrizione ma a motivo della possibilità di falsificazione e quindi non autenticità dell’indirizzo elettronico apparentemente facente capo all’azienda datoriale, così implicitamente fatto assurgere a “sostituto” della sottoscrizione.

Con più recente pronunciamento, il Tribunale di Frosinone (ordinanza 15.2.2016) in fattispecie nella quale la posta elettronica proveniva da indirizzo mail riconducibile alla datrice di lavoro, ha affermato che la e-mail priva di firma digitale non è licenziamento scritto poiché mancante dei requisiti propri dell’atto scritto ex art.2702 c.c., sottolineando come la sottoscrizione sia requisito posto a tutela non solo del lavoratore, in tal modo abilitato ad una pronta attribuzione del messaggio scritto, ma anche del mittente il quale è in presenza di questa agevolato al disconoscimento.

Pronuncia che ha quindi focalizzato il problema dell’inefficacia del licenziamento via e-mail sulla mancanza di sottoscrizione con firma elettronica certificata.

il Tribunale di Genova (ordinanza n. 223 del 5 aprile 2016) ha affrontato il caso di un barista addetto alla preparazione di aperitivi che è stato licenziato dal datore di lavoro con un sms dal seguente tenore: “non faccio più aperitivi, buona fortuna”.

Ebbene secondo il Giudice genovese il messaggio, inserito nel contesto dei rapporti intercorsi tra le parti, manifestava chiaramente la volontà della società di risolvere il rapporto. E’ stato inoltre motivato che l’sms è un documento informatico, sottoscritto con firma elettronica. Tale forma di firma elettronica, pur non consentendo l’identificazione del firmatario del documento, è idonea a soddisfare i requisiti di forma scritta richiesti dalla legge ai fini della validità del licenziamento.

Ad analoga conclusione è giunta la Corte d’Appello di Firenze (sentenza n.629 del 05 luglio 2016) , sia pure per diversa via. In questo caso, infatti, l’utilizzo di un sms per comunicare il recesso è stato ritenuto idonea forma scritta poiché assimilato al telegramma fonodettato o alla comunicazione e-mail la cui provenienza sia provata o non contestata (va, tuttavia, ricordato che la rilevanza giuridica attribuita al telegramma trova fonte nella legge (art.2705 c.c.) e da tale norma gli è attribuito espressamente l’efficacia probatoria della scrittura privata (prevista dall’art. 2702 c.c. il quale da giuridica rilevanza esclusivamente agli atti sottoscritti), se l'originale consegnato all'ufficio di partenza è sottoscritto dal mittente, ovvero se è stato consegnato o fatto consegnare dal mittente medesimo, anche senza sottoscriverlo)

La Corte d’Appello di Roma (sentenza del 4.10.2017) ha ritenuto rispondere al requisito della forma scritta il licenziamento tramite sms intimato con messaggio del seguente tenore: “ciao Ilaria, abbiamo superato il peggio… Comunque adesso siamo quasi operativi… La rete ancora non è attiva e così i telefoni. Speriamo di fare in fretta. Per i nostri rapporti direi di sospenderli ho bisogno di riflettere sull’organizzazione generale dell’ufficio e sui progetti futuri. Ci sentiamo presto per tarare il tutto. Ti prego di contattare Angelo per i nostri sospesi economici. Grazie di tutto. Ti chiamerò comunque lunedì. Saluti. Renzi”.

Riguardo al contenuto del messaggio, all’evidenza ambiguo parlando di sospensione del rapporto in attesa di una taratura dell’organizzazione dell’ufficio e dei progetti futuri, il giudice di seconde cure ha comunque ritenuto di qualificare il contenuto dell’atto come espressione di volontà di recesso tenuto conto di alcuni dati caratterizzanti la fattispecie concreta: il rapporto di lavoro era privo di formalizzazione; non risultavano atti datoriali successivi, motivo per il quale è stato ritenuto che il messaggio sms rivelasse la sua natura in fatto di atto conclusivo del rapporto; la lavoratrice aveva impugnato l’atto di cui si tratta qualificandolo come licenziamento e la datrice di lavoro non risultava aver mai risposto e quindi aver mai contestato tale qualificazione.

Riguardo all’idoneità della forma la medesima Corte ha ricordato che “il requisito della forma scritta non presuppone necessariamente che lo scritto debba essere cartaceo” e si è richiamata alla “nozione di documento digitale di cui al Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n.82”(codice dell’amministrazione digitale per come novellato dal Decreto Legislativo 26 agosto 2016, n.179), normativa, lo ricordiamo, ex art.2 medesimo decreto applicabile alle Pubbliche Amministrazioni e alle società a controllo pubblico escluse le società quotate. Il citato Decreto definisce all’art.1 “documento informatico” il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e dispone al successivo art.20 comma 1 bis che “L'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”.

Il Tribunale di Catania (ordinanza del 27 giugno 2017), pronunciando in merito a richiesta di reintegrazione ha statuito che “il recesso intimato a mezzo whatsapp appare assolvere l’onere della forma scritta trattandosi di documento informatico che parte ricorrente ha con certezza imputato al datore di lavoro, tanto da provvedere a formulare tempestiva impugnazione stragiudiziale”.

La pronuncia, che ha statuito in via preliminare ritenendo l’inammissibilità della domanda sulla base della sola eccezione preliminare di decadenza per tardività della proposizione del ricorso giudiziale, determina all’evidenza importanti conseguenze anche sul piano sostanziale, proprio in forza di quella affermazione che considera assolto il requisito di forma prescritto dalla legge. Il Tribunale di Catania si richiama ai pronunciamenti della Corte di Cassazione e della Corte d’Appello di Firenze sopra citati.

Si sta dunque profilando un orientamento “sostanzialista”nel senso della ritenuta possibilità del più ampio utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione anche ai fini della comunicazione della cessazione dei rapporti di lavoro.

Tuttavia, è stato condivisibilmente rilevato che tale orientamento pone sul campo una serie di problemi tra i quali quelli relativi alla

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