avvocatura Inps la trattenuta dell'Irap non è legittima

Si è di recente affacciata nelle aule di Tribunale una questione che riguarda le trattenute effettuate dall'Inps nei confronti dei propri avvocati; in particolare la questione è se sia legittima la trattenuta, sui compensi professionali riconosciuti ai propri avvocati interni, dell'aliquota Irap, pari all'8,5%.

In particolare, la questione è stata posta dagli avvocati transitati dalla gestione Inpdap e dall'Enpals in quanto, all'interno dell'Inps, vige un massimale annuo dei compensi erogabili agli avvocati che, tendenzialmente, sterilizza a monte il problema. Va ricordato che i legali dell'Inps, sono iscritti nell’elenco speciale degli Avvocati dipendenti da Enti Pubblici esercitano le proprie funzioni e mansioni sia in qualità di dipendente dell’Istituto, sia in qualità di avvocato difensore dell’Istituto stesso e rivestono la qualifica di “professionista – dipendente”; il loro rapporto di lavoro è regolato da una sezione separata del CCNL del Comparto Enti Pubblici. In sostanza tali professionisti lamentano l'illegittimità della trattenuta in quanto non sono titolari di alcuna attività produttiva ed in quanto l'Irap è un imposta che dovrebbe gravare sull'Inps che si avvale dell'opera dei professionisti interni e non su questi ultimi che sono dei suoi dipendenti. Essi osservano che è l’Inps che svolge la “attività produttiva” oggetto dell’imposizione; mentre gli avvocati dell’Avvocatura dell’Istituto non svolgono in proprio detta attività, e non dispongono di alcuna “autonoma organizzazione” ai sensi di legge e che è dunque l’INPS, e solo l’INPS, il soggetto passivo dell’imposizione, tenuto ex lege al pagamento dell’IRAP.

Di contro l’Inps che la trattenuta dell'aliquota Irap sui compensi professionali riconosciuti ai propri legali è conseguente a quanto previsto dall’art. 1. comma 208 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006) in virtù del quale “le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell’Avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche, sulla base di specifiche disposizioni contrattuali, dovessero considerarsi comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro” nonché a quanto evidenziato dalla Corte dei Conti con la sentenza n. 33 del 2010.

In particolare, ad avviso dell'Inps, la Corte dei Conti, nel sottolineare la necessità che le risorse da destinare ai fondi necessari per il pagamento dei compensi professionali fossero calcolate al netto degli oneri gravanti sull'Istituto a titolo di Irap avrebbe poi legittimato la trattenuta dell'Irap sui compensi professionali effettuata al momento del pagamento del compenso all'avvocato interno.
L'orientamento dell'Inps è stato, di recente ed a più riprese, disatteso dal Tribunale di Roma con la sentenza n. 646 del 2017 - giudice estensore dott. Armone e, più di recente, in conformità, con la sentenza n. 330 del 2018 - giudice estensore dott.ssa Bellini.
Con la sentenza n. 646 del 2017, il Tribunale ha osservato quanto segue sul tema controverso.

“L’art. 3, d. lgs. 446/1997 prevede che siano soggetti passivi dell’IRAP società, enti e persone fisiche che svolgano abitualmente una o più delle attività di cui al precedente articolo 2, vale a dire “una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”. Le uniche persone fisiche rientranti in questo novero sono, mediante il rinvio all’art. 49 TUIR, i titolari di reddito da lavoro autonomo.
Già da questi brevi riferimenti normativi si deduce che gli odierni ricorrenti, i quali pacificamente svolgono la propria attività lavorativa come dipendenti dell’INPS e non organizzano autonomamente la propria attività professionale, non sono tenuti al pagamento dell’IRAP. Non essendo soggetti passivi d’imposta, il datore di lavoro non può recuperare nei loro confronti un’imposta che esso è tenuto a pagare in proprio e non quale sostituto d’imposta.
6. Tale assunto non è a ben vedere smentito dall’ente resistente, che alla pag. 5 della memoria descrive il quadro normativo in termini consonanti con quanto appena sintetizzato.
7. Afferma tuttavia l’INPS che il recupero delle somme oggi pretese dai ricorrenti avviene ad altro titolo, invocando, a sostegno di tale affermazione, l’art. 1, comma 208, l. 266/2005 (“le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro”) e l’interpretazione che di tale norma ha dato la deliberazione delle sezioni riunite della Corte dei conti n. 33 del 2010.
8. In realtà, a un’attenta lettura della deliberazione appena citata, si comprende che l’interpretazione offerta dall’INPS è inesatta e fuorviante.
9. La Corte dei conti procede a un confronto tra i due orientamenti presenti presso le sezioni regionali della stessa Corte dei conti e, dopo una puntuale esegesi delle norme, suddivide le disposizioni introdotte dall’art. 1, l. 266/2005 in due blocchi.
10. Al secondo blocco appartiene il comma 208, che è destinato a regolare i compensi “dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali”. Secondo la Corte dei conti, tale comma va interpretato nel senso fatto proprio dall’orientamento maggioritario e suffragato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 33/2009. Così dunque si chiude il § 4.3 della deliberazione: “nello scrutinio di legittimità della questione concernente l’art. 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005, la Corte ha, dunque, incentrato la motivazione di non fondatezza richiamando l’art. 2115 cod. civ., che riguarda le “contribuzioni”, così escludendo la riferibilità della locuzione “oneri riflessi” anche agli oneri fiscali, per circoscriverla, così, alla sola parte della retribuzione assoggettata a contribuzione previdenziale ed assistenziale”.
11. Al primo blocco appartengono invece i commi da 176 a 206 dell’art. 1, rispetto ai quali la Corte dei conti così si esprime al § 5.2.: “il primo blocco di disposizioni disciplina la provvista delle risorse finanziarie per far fronte a “tutti gli oneri” derivanti dalle spese di personale, ivi inclusi i fondi “per l’incentivazione alla progettazione” e “per il pagamento dei compensi professionali 
dell’avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche”; sicché, ai sensi delle richiamate disposizioni, le somme da destinare a detti fondi devono essere calcolate accantonando, a fini di copertura, la quota parte occorrente all’amministrazione per fronteggiare gli oneri che sulla stessa gravano a titolo di IRAP (Corte conti, sez. reg. di controllo per la Lombardia, n. 4/pareri/2008 e n. 101/pareri/2008; sez. reg. di controllo per il Veneto, n. 049/2008/Cons). Difatti, detti compensi concorrono alla determinazione della base imponibile dell’ente, ai sensi dell’art. 10-bis del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, secondo cui le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 maggio 2001, n. 165, ai fini della determinazione della base imponibile IRAP, devono tenere conto anche delle retribuzioni da erogare al personale dipendente (Agenzia delle entrate, Risoluzione n. 327/E del 14 novembre 2007). In effetti, dalle norme da ultimo citate (commi da 176 a 206) viene in rilevo che, in coerenza con quanto stabilito nell’art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le somme indicate per fronteggiare in materia di pubblico impiego gli oneri di spesa, ivi inclusi i fondi di produttività e per i miglioramenti economici, costituiscono le disponibilità complessive massime e, pertanto, non superabili. In sostanza, sui bilanci dello Stato o degli altri enti pubblici, non potranno gravare ulteriori oneri che non trovino adeguata copertura. Può dunque ritenersi che i c.d. due blocchi di disposizioni sono tra loro coerenti, in quanto le une disciplinano le quantificazioni e le coperture degli oneri del personale; le altre riguardano la determinazione dei compensi spettanti ad avvocati interni e personale tecnico. Ne discende che le disponibilità di bilancio da destinare ai “fondi” da ripartire non possono che essere quantificate al netto delle somme destinate (o destinabili) a coprire gli oneri che gravano sull’amministrazione a titolo di IRAP, poiché, diversamente, una discorde interpretazione confliggerebbe non solo con il chiaro disposto delle richiamate disposizioni, ma anche con il principio di copertura degli oneri finanziari (art. 81, quarto comma, Cost.). Infatti, se si considera che l’IRAP viene commisurata per le amministrazioni pubbliche alla spesa per il personale, l’incremento della retribuzione accessoria spettante, a qualsiasi titolo, determina anche l’espansione dell’imposta che deve, comunque, trovare copertura nell’ambito delle risorse quantificate e disponibili, in linea con l’obiettivo del contenimento di ogni effetto di incremento degli oneri di personale gravanti sui bilanci degli enti pubblici. Pertanto, ai fini della quantificazione dei fondi per l’incentivazione e per le avvocature interne, vanno accantonate, a fini di copertura, rendendole indisponibili, le somme che gravano sull’ente per oneri fiscali, nella specie, a titolo di IRAP. Quantificati i fondi nel modo indicato, i compensi vanno corrisposti al netto, rispettivamente, degli “oneri assicurativi e previdenziali” e degli “oneri riflessi”, che non includono, per le ragioni sopra indicate, l’IRAP”.
12. La deliberazione del giudice contabile pertanto così si chiude: “mentre sul piano dell’obbligazione giuridica, rimane chiarito che l’IRAP grava sull’amministrazione (secondo blocco delle citate disposizioni), su un piano strettamente contabile, tenuto conto delle modalità di copertura di “tutti gli oneri”, l’amministrazione non potrà che quantificare le disponibilità destinabili ad avvocati e professionisti, accantonando le risorse necessarie a fronteggiare l’onere IRAP, come avviene anche per il pagamento delle altre retribuzioni del personale pubblico (primo blocco delle citate disposizioni). Pertanto, le disposizioni sulla provvista e la copertura degli oneri di personale (tra cui l’IRAP) si riflette, in sostanza, sulle disponibilità dei fondi per la progettazione e per l’avvocatura interna ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, da calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell’onere IRAP gravante sull’amministrazione”.
13. Da tali chiare e condivisibili affermazioni si trae la conclusione che, nell’ambito del rapporto d’impiego che lega l’INPS ai propri avvocati dipendenti, sul piano cioè dell’obbligazione giuridica retributiva che l’INPS deve adempiere, l’ente non potrà mai detrarre dal compenso spettante all’avvocato altri oneri che non siano quelli contributivi, quelli cioè che, pur gravando sul lavoratore, l’INPS è tenuto ad anticipare. Oneri appunto riflessi, o indiretti, tra i quali non rientra l’IRAP.
14. L’IRAP incide solo sullo stanziamento del fondo al quale attingere per l’erogazione dei compensi professionali, costituendo indubbiamente un costo di produzione; tale incidenza non è tuttavia diretta sui compensi degli avvocati, bensì sui limiti finanziari entro i quali l’INPS può muoversi al momento dello stanziamento.
15. In senso contrario, non vale invocare, come fa l’INPS, i regolamenti interni dell’ente
16. Al riguardo, va anzitutto osservato che sino a tutto il 2012 i ricorrenti erano dipendenti dell’INPDAP, il cui regolamento interno, come riconosce oggi lo stesso INPS, nulla prevedeva in ordine al riversamento dell’IRAP sugli avvocati dipendenti (v. doc. 4 e 10 del fascicolo di parte resistente). Fino a tutto il 2012, pertanto, ai ricorrenti non era certo opponibile un regolamento di altro ente, ancorché riguardante una disciplina analoga.
17. Né può dirsi che quel regolamento interno dell’INPDAP fosse nullo per contrasto con una norma imperativa. Come si è visto, il comma 208 dell’art. 1 cit. in sé considerato riguarda solo gli oneri contributivi, sicché è certamente legittima una disciplina pattizia (ancorché attuata attraverso un regolamento interno) che non preveda la trattenuta dell’IRAP sui compensi degli avvocati.
18. A ciò si aggiunga che, da una attenta lettura dei regolamenti interni dell’INPS che si sono susseguiti, neanche tali atti prevedevano il riversamento dell’IRAP sui compensi professionali degli avvocati interni.
19. Non lo prevedeva il regolamento del 2003, analogo a quello dell’INPDAP (doc. 3 del fascicolo di parte resistente), ma non lo prevedevano neppure le modifiche apportate a tale regolamento nel 2007, con l’intento di adeguarsi all’art. 1, comma 208, l. 266/2005 (v. doc. 5). Il nuovo art. 8, comma 2 del regolamento stabiliva infatti che le somme spettanti a titolo di compensi professionali “saranno erogate agli avvocati dell’Istituto fino a concorrenza dell’importo massimo di euro 32.000.000,00, composto dell’importo di € 23.000.000,00 per gli onorari comprensivi delle ritenute fiscali e previdenziali a carico del dipendente imputati al capitolo 4U1102015 “onorari e competenze al personale professionale legale” e dell’importo di € 9.000.000,00 quali oneri riflessi a carico del datore di lavoro imputati al capitolo 4U1102009 “oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’ente”. Una lettura integrale dell’art. 8 comma 2, non privata dell’imputazione ai singoli capitoli di bilancio dell’ente, mostra che nel 2007 l’INPS aveva adeguato il proprio regolamento interno in piena coerenza con l’interpretazione del comma 208 poi sancita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 33/2009. Dalla somma stanziata sul fondo al quale si poteva attingere per i compensi degli avvocati potevano essere detratti i soli oneri contributivi e previdenziali, opportunamente distinguendosi tra oneri a carico del datore di lavoro e oneri a carico del dipendente.
20. Non diverso, anche se più criptico, l’art. 8, comma 2, del regolamento come modificato nel 2010: “i compensi professionali a carico dell’Amministrazione sono erogati agli avvocati dell’Istituto fino a concorrenza dell’importo massimo, complessivo annuo, incassato e/o parcellato di Euro 32.000.000,00, al lordo degli oneri riflessi dovuti per legge”suddivisione tra oneri a carico del datore di lavoro e oneri a carico del dipendente, ma la dizione “oneri riflessi” rimane e la stessa non può che essere interpretata nel senso voluto dalla Corte costituzionale. Se si vuole il nuovo testo è da un lato più appropriato, poiché chiarisce che sono oneri riflessi non soltanto quelli relativi ai contributi dovuti dal datore di lavoro, ma anche quelli dovuti dal dipendente, che tuttavia il datore trattiene e riversa, dall’altro lato più equivoco, poiché stabilisce che i compensi agli avvocati sono erogati al lordo degli oneri riflessi, dove l’espressione “al lordo” non si comprende se si riferisca ai compensi o allo stanziamento (non a caso, a tale ultimo proposito, nel regolamento del 2015 la dizione “al lordo” viene sostituita con la dizione “al netto”, al fine evidentemente di chiarire che l’INPS è autorizzato a trattenere tali oneri).
21. Né può dirsi che sulla disciplina di tali regolamenti incidano le norme del 2005 che imponevano all’ente di stanziare sul capitolo relativo ai compensi degli avvocati una somma da cui fosse stata già decurtata l’IRAP, né le norme che hanno stabilito, peraltro dal DL 90/2014 in poi, limiti alle retribuzioni dei pubblici dipendenti e hanno imposto di includere i compensi agli avvocati tra le somme da considerare al fine di valutare l’eventuale superamento di detti limiti.
22. A parte ogni considerazione sul fatto che l’INPS non ha dimostrato che, con riferimento specifico ai ricorrenti, si sia verificato tale superamento, il Tribunale ritiene che tali norme comunque non si riflettano sull’ammontare dei compensi professionali, trattandosi di norme di azione e non di relazione, destinate a vincolare l’attività dell’Amministrazione e non i dipendenti destinatari di tali compensi.
23. Non va dimenticato che, in base allo stesso citato comma 208, la fonte dei compensi professionali spettanti agli avvocati dipendenti è pur sempre la contrattazione collettiva, ancorché detta contrattazione possa demandare ai regolamenti interni degli enti pubblici la disciplina di dettaglio relativa alla corresponsione di tali compensi.
24. Da ciò deriva che, fino a quando il regolamento interno dell’ente, in esecuzione del mandato conferito dalle parti sociali in sede di contrattazione collettiva, preveda che i compensi professionali siano calcolati in una certa misura (mediante rinvio ad es. alle tariffe professionali o ad altri criteri), nei limiti finanziari dello stanziamento previsto dallo stesso regolamento e tale stanziamento sia però stabilito al lordo dell’IRAP, senza aver cioè preventivamente accantonato il costo di produzione rappresentato da tale imposta, in contrasto con quanto stabilisce la legge e suggerisce la Corte dei conti, con conseguente sforamento dei limiti di spesa, tale sforamento non potrà riflettersi a danno dei lavoratori, la cui remunerazione trova la propria fonte nel regolamento (per analoghe considerazioni v. la recentissima sentenza del Tribunale di Roma, 17 gennaio 2017, INPS c. Cipriani, est. Buonassisi e la giurisprudenza contabile ivi citata). 
25. Pertanto, le somme che gli avvocati hanno percepito in più, a causa dello stanziamento al lordo dell’IRAP, non sono affatto indebite, ma sono dovute dall’INPS in base all’impegno che lo stesso ente si era assunto (per un caso simile in materia di IRAP, anche se relativo a una diversa categoria e a una diversa norma collettiva, v. Cass. 12 settembre 2013, n. 20917 e da ultimo Cass. 11 gennaio 2016, n. 199).

L’orientamento di cui alla sentenza sopra trascritta appare condivisibile, in particolar modo, per avere correttamente distinto il piano dell’accantonamento dei fondi destinati alla copertura di spesa per i compensi professionali degli avvocati, dal piano, successivo e distinto, della retribuzione ad essi spettante a tale titolo. Va, inoltre, soggiunto che la previsione di un limite massimo dei compensi erogabili agli avvocati dipendenti dell’Inps, quale stabilita dal regolamento interno del 2003, non comporta, ad avviso di chi scrive, automaticamente, così come in sostanza ritenuto dall’Inps, che gli oneri sostenuti dall’Istituto a titolo di Irap possano, con riferimento a tutti i compensi corrisposti ai propri avvocati, essere posti a carico di questi ultimi ma soltanto che, laddove i compensi complessivamente riconoscibili ad un avvocato in un determinato anno siano superiori al limite annuale stabilito, essi vadano ricondotti entro tale limite. 
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