Le pensioni ENPAM, perchè il regolamento svantaggia i medici più anziani - esame del sistema di calcolo delle pensioni erogate dall'ENPAM - constatazioni e osservazioni
Le pensioni attuali erogate dall'ENPAM ai medici esercenti la libera professione sono di importo mediamente inadeguato a garantire la sopravvivenza una volta cessata l'attività professionale e ciò dipende da un sistema di caclolo delle pensioni piuttosto cervellotico e che presenta alcuni aspetti, ad avviso di chi scrive, irragionevoli.
Il sistema pensionistico ENPAM, sotto il profilo delle entrate, si basa su un contributo minimo (la cui entità varia, al variare delle fasce di età), comunque dovuto e su di un contributo calcolato nella percentuale del 12,5% sul reddito netto professionale sino ad una determinata soglia di reddito fissta, per i redditi prodotti nel 2010, nella misura di € 53.453,27.
Il contributo in percentuale sul reddito non è sempre esistito ma è stato introdotto con norma di fonte regolamentare a decorrere dal 1990.
Nell'attuale versione, il regolamento di previdenza prevede, come detto, tale contributo fissato nella percentuale del 12,50% del reddito netto professionale.
Ai fini del calcolo della pensione, il sistema di calcolo è quello reddituale il che significa che si prende in considerazione una base pensionabile costituita dalla media dei redditi soggetti a contribuzione di tutta la vita lavorativa e, ad essa, si applica una determinata aliquota (o diverse aliquote) di rendimento moltiplicando il risultato così ottenuto per gli anni di contribuzione effettiva.
L'anomalia e l'irragionevolezza del sistema pensionistico dell'ENPAM è legata alla variazione dell'aliquota di computo delle pensioni per quel che riguarda la quota A.
A decorrere dall'anno 1997, infatti, le aliquote di computo sono sensibilmente variate, con riferimento alla quota A, passando dal 1,10% al 1,75% (dal 2006 si è ripassati all'aliquota del 1,50%).
Per calcolare la media di reddito cui applicare tali aliquote si tiene conto del contributo minimo effettivamente versato e si risale al reddito correlativo moltiplicando il contributo x 8 (in tal modo si ottiene il reddito corrispondente al contributo minimo pagato applicando un'aliquota contributiva del 12,5%).
Ora, nel momento in cui l'ENPAM ha valutato di modificare in aumento l'aliquota di computo delle pensioni con riferimento alla quota A avrebbe dovuto ragionevolmente applicare la nuova aliquota con riferimento all'intera anzianità contributiva dei medici ed avrebbe dovuto riliquidare le stesse pensioni in corso di godimento pena, in difetto, l'irragionevole discriminazione a danno dei professionisti più anziani che, senza plausibile logica, hanno visto sfavorevolmente compensata a livello pensionistico la propria contribuzione.
Con un regolamento siffatto, in sostanza, si è creata una contribuzione di serie A ed una contribuzione di serie B e tale diversificato metodo di computo delle pensioni (dipendente dalla diversa dislocazione temporale dei contributi della quota A) appare privo di qualsivoglia logica atteso che il principio del pro rata, talvolta addotto a sostegno di variazioni dei criteri di calcolo della pensione valide solo per il futuro, vale per giustificare l'inapplicabilità a ritroso di criteri di calcolo della pensione peggiorativi ma non può giustificare la mancata applicazione di nuovi criteri migliorativi.
Questione in parte analoga si era posta nel contesto ordinamentale della Cassa Commercialisti allorchè venne variata in aumento l'aliquota per il computo delle pensioni dal 1,75% al 2%. Nell'occasione la delibera della Cassa Commercialisti era retroattiva nel senso che, contrariamente a quella dell'ENPAM, valeva anche per il computo delle anzianità contributive pregresse (si trattava quindi di norma regolamentare che, con meno evidenza, cerava delle disparità di trattamento).
Tuttavia, la Cassa stabilì che tale variazione dell'aliquota di computo potesse applicarsi solo ai pensionamenti nuovi non essendo invece applicabile alle pensioni già liquidate. Orbene, la Suprema Corte ha ritenuto invece che la norma regolamentare fosse illegittima e che la Cassa fosse tenuta anche a riliquidare le pensioni già in corso di godimento argomentando che il delicato ed inusuale potere della Cassa (nella specie della Cassa Commercialisti) di variare in aumento le aliquote di computo delle pensioni non includesse: "la facoltà di escludere dal beneficio alcune categorie di pensionati. Se così fosse, il legislatore non avrebbe mancato di fornire le necessarie indicazioni di esercizio di così delicato - e inusuale nel settore pensionistico - potere discrezionale dell'amministrazione, specie ai fini di ancorare a parametri oggettivi la scelta di concentrare le risorse disponibili nell'aumento delle pensioni di alcuni pensionati, anziché ripartirle a beneficio di tutti, considerato che l'aumento in. percentuale lascia ferma la base di calcolo..." (così cass. civ. Sez. Lav. n. 1269 del 2000).
In sostanza, la Suprema Corte ha ritenuto che l'eventuale possibilità finanziaria di incrementare i livelli delle prestazioni incrementando l'aliquota di computo (che non modifica la base pensionabile) non potesse essere legittimamente limitata ad alcune categorie di pensionati. A maggior ragione, diciamo noi, l'incremento di tale aliquota non può essere limitata, come accade nell'ENPAM, ad alcune annualità contributive.
In tale prospettiva, applicando i principi autorevolmente suffragati dalla pronuncia in commento, si dovrebbe ritenere l'illegittimità della norma regolamentare del 1997 che ha limitato l'applicazione della nuova aliquota di computo del 1,75% alle anzianità contributive future stabilendone l'inapplicabilità a quelle già maturate.