La restituzione contributi

La soppressione della restituzione dei contributi trova giustificazione e contemperamento in relazione alla previsione della pensione contributiva nella cui base dic alcolo vengono considerati i contributi versati, con la conseguenza che, entro determinati limiti, non esistono più contributi inutilmente versati. I redditi professionali soggetti a contribuzione non sono solo quelli strettamente collegati all'attività di patrocinio forense, ma anche quelli comunque collegati e funzionali all'abilitazione professionale ed alla spendita della qualifica di avvocato.

Con la sentenza n. 2001/2007 il Tribunale del Lavoro di Roma ha affrontato e risolto in senso favorevole alla Cassa Forense la questione della legittimità della soppressione dell'istituto della restituzione dei contributi, previsto dall'art. 21 della L. n. 576/1980, sostituito, con deliberazione del Comitato dei delegati della Cassa Forense del 23 luglio 2004, dalla pensione contributiva. Il nuovo testo dell'art. 4 del Regolamento di previdenza , nel testo attualmente vigente, prevede:  "Tutti i contributi versati legittimamente alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense non sono restituibili all'iscritto o ai suoi aventi causa, ad eccezione di quelli relativi agli anni di iscrizione dichiarati inefficaci ai sensi dell'art. 22 ultimo comma L. n. 576/80.
2. Gli iscritti che abbiano compiuto il 65° anno di età e maturato più di cinque anni ma meno di trenta anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense e che non si siano avvalsi dell'istituto della ricongiunzione ovvero della totalizzazione, hanno diritto a chiedere la liquidazione di una pensione calcolata con il criterio contributivo, salvo che intendano proseguire nei versamenti dei contributi al fine di raggiungere una maggiore anzianità o maturare prestazioni di tipo retributivo".

 


L'istituto della restituzione dei contributi, a mente dell'art. 21 della L. n. 576/1980, prevedeva, invece, che l'avvocato che si cancellasse dalla Cassa senza aver maturato il diritto a pensione avesse il diritto di conseguire la restituzione dei contributi soggettivi versati. A parere del ricorrente, la deliberazione con la quale la Cassa aveva soppresso l'istituto della restituzione dei contributi era illegittima in quanto emessa in carenza di potere e inidonea ad incidere su diritti fondati su fonti sovra ordinate.

Il Tribunale del lavoro di Roma, ribadendo peraltro quanto già affermato con una propria precedente sentenza, ha dichiarato la legittimità della deliberazione con la quale la Cassa Forense ha soppresso l'istituto della restituzione dei contributi introducendo, in sua vece, la pensione contributiva in quanto, a parere del giudicante, il d.Lgs. n. 509/1994 attribuirebbe agli enti previdenziali privatizzati autonomia regolamentare ed il potere di adottare deliberazioni anche in deroga alla legge.

Secondo il Tribunale di Roma, poi, la soppressione della restituzione dei contributi andava posta in correlazione con l'introduzione della pensione contributiva che, riconosciuta con appena 5 anni di contribuzione in armonia con quanto previsto dalla L. n. 335/1995 per la generalità dei lavoratori dipendenti, aveva confinato ad ipotesi residuali i casi in cui la contribuzione risultasse effettivamente inutilmente versata.

Il Giudice di Roma si è occupato, a margine della principale, di altre due questioni di interesse in ordine alla previdenza forense ed alla previdenza libero professionale più in generale. Innanzi tutto ha affermato, con riferimento ad un presunto credito contributivo preteso dalla Cassa, che l'attività di consulenza rientra tra le attività sui cui redditi deve essere pagato il contributo soggettivo e quello integrativo.

In secondo luogo ha affermato il principio per il quale la prescrizione dei contributi non decorre in caso di dichiarazioni infedeli sulla quota contributiva dovuta in riferimento alla quota d'omessa dichiarazione.

Con riferimento a quest'ultimo profilo, la sentenza in commento si discosta apertamente dall'orientamento della giurisprudenza di legittimità con il quale è stato affermato che, anche in caso di dichiarazione infedele, la prescrizione decorre dalla data di invio della dichiarazione in quanto è a decorrere da tale data che la Cassa è posta in condizione di effettuare i necessari accertamenti incrociati con l'amministrazione finanziaria per verificare la fedeltà della dichiarazione e l'eventuale sussistenza di debiti contributivi (in tal senso si veda la sentenza 9113/2007 già commentata sulle pagine di questo sito).
Con riferimento, invece, alla questione principale oggetto della pronuncia del Tribunale di Roma, appare troppo semplicistica la conclusione raggiunta che non tiene conto della recente giurisprudenza di legittimità (cfr. le sentenze dalla Suprema Corte nn. 2224/2004 e 7010/2005 già commentate sulle pagine di questo sito) e di merito che ha analiticamente esaminato l'ambito dei poteri normativi degli enti previdenziali privatizzati.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, a mente del D.Lgs. n. 509/94, gli enti previdenziali libero professionali, erano dotati di poteri regolamentari in materia di pensioni e contributi solo laddove tali poteri sussistessero in forza della previgente normativa di legge.

Secondo l'orientamento della Suprema Corte sopra citato, poi, con l'entrata in vigore della L. n. 335/95 e del relativo art. 3 comma 12, i poteri normativi degli enti previdenziali privatizzati erano stati incrementati e delimitati entro i confini della riparametrazione dei coefficienti di rendimento, della ridefinizione delle aliquote contributive e della modifica di ogni altro criterio di determinazione del trattamento nel rispetto del pro rata con riferimento alle anzianità contributive maturate antecedentemente all'introdotta modifica. L'art. 3 comma 12 della L. n. 335/95 prevedeva, poi, come ricordato dal Giudicante, la possibilità di optare per il sistema contributivo siccome definito dalla medesima L. n. 335/95.

Nell'interpretare la richiamata disposizione di legge, la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire come i provvedimenti normativi adottabili dalle Casse privatizzate sono solo quelli di cui all'art. 3 comma 12 della L. n. 335/95 e, tra di essi non sembra rientrare la soppressione di facoltà previste dalla previgente normativa di legge. Non appare, poi, convincente l'affermazione secondo cui la soppressione dell'istituto della restituzione dei contributi sarebbe un correlato necessario dell'introduzione del sistema contributiva in quanto nulla vieta al legislatore di prevedere la restituzione dei contributi in alternativa alla pensione contributiva. Inoltre, appare ben difficile sostenere che il sistema di cui all'art. 4 del regolamento di previdenza sia il sistema contributivo di cui alla L. n. 335/95 in quanto, in primo luogo, non vi è alcuna salvaguardia della anzianità contributive maturate antecedentemente all'introdotta modifica che vengono calcolate con metodo contributivo e non secondo le previgenti regole generali per il calcolo della pensione di vecchiaia in Cassa Forense come previsto, per la generalità dei lavoratori dipendenti, dall'art. 1 comma 12 della L. n. 335/95. Inoltre, il sistema contributivo definito ai sensi dell'art. 3 comma 12 della L. n. 335/95 dovrebbe riguardare la collettività dei soggetti assicurati e non soltanto una quota di essi come avvenuto nella specie al presumibile fine di avallare la soppressione della restituzione dei contributi.

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