I regolamenti amministrativi

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l'impugnazione dei regolamenti amministrativi

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Il regolamento amministrativo è un atto formalmente e soggettivamente amministrativo con portata sostanzialmente normativa e, cioè, con attitudine all'innovazione dell'ordinamento giuridico mediante disposizioni generali ed astratte.

Il regolamento amministrativo esterno possiede, dunque, i seguenti caratteri distintivi, la cui ricorrenza congiunta vale a differenziarlo da altre tipologie di atti amministrativi come le ordinanze di necessità e urgenza e gli atti amministrativi generali ,(bandi di gara e concoroso), atti interni (regolamenti e circolari), bandi militari, provvedimenti prezzo,capitolati d'oneri, piani regolatori, carte di servizio.

l'astrattezza, l'idoneità, cioè, a regolare una pluralità indeterminata di fattispecie;

la generalità, e, cioè, l'attitudine a trovare applicazione su un numero indeterminato di destinatari 

l'innovatività e, cioè, la capacità di innovare l'ordinamento giuridico in guisa stabile; tale requisito, in particolare, vale a distinguere il regolamento amministrativo dagli atti amministrativi generali, dalle circolari amministrative (con l'esclusione delle c.d. circolari regolamento) e dalle ordinanze di necessità e urgenza alle quali difetta la capacità di innovare stabilmente l'ordinamento giuridico (esse, infatti, sono idonee a derogarvi esclusivamente per un periodo limitato di tempo, sempre nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento e delle norme costituzionali).

Problematiche si sono poste con riferimento all'individuazione di criteri certi per stabilire quando un atto amministrativo sia regolamento e per distinguere, in particolare, il regolamento amministrativo dall'atto amministrativo generale.

Una parte della dottrina ha evidenziato come il regolamento amministrativo abbia una valenza politica, consistente nell'autonoma individuazione del fine da perseguire che, negli altri atti amministrativi , manca (tale tesi è stata, peraltro, criticata per l'eccessiva genericità).

Altra impostazione, ancorata al criterio formale, ha, invece, ritenuto dirimente allo scopo, il nomen iuris dell'atto (la tesi, in netta controtendenza rispetto al principio dell'effettività delle forme giuridiche, è stata criticata in quanto produce un'inversione logica essendo l'atto che, in regione della sua portata sostanziale, deve seguire determinate procedure d'adozione e non la sua mera qualificazione formale a determinarne l'assoggettamento dell'atto ad una specifica disciplina giuridica).

La giurisprudenza ha, invece, ritenuto dirimente, al fine di individuare la ricorrenza di un regolamento amministrativo, la congiunta ricorrenza dei tre delineati caratteri dell'astrattezza, della generalità e, soprattutto, dell'innovatività. In particolare, il difetto dell'innovatività vale a distinguere il regolamento amministrativo, dagli atti amministrativi generali (bandi di concorso e bandi di gara) ove, sul piano della generalità, i destinatari sono individuabili, sia pure a posteriori e, sul piano dell'innovatività, difetta la vera e propria capacità di innovare l'ordinamento giuridico in quanto essi rappresentano solo una lex specialis con riferimento al particolare evento regolato.

La riconduzione di un atto amministrativo nell'alveo dei regolamenti amministrativi o in quello degli atti amministrativi generali, produce, peraltro, notevoli conseguenze sotto il profilo della disciplina giuridica. Per entrambe le tipologie di atti è escluso l'obbligo di motivazione e l'obbligo di consentire la partecipazione procedimentale di cui alla L. n. 241 del 1990; non è ammesso il giudizio di costituzionalità, poi, nè con riguardo ai regolamenti amministrativi, nè con riferimento agli atti amministrativi generali. Talune ulteriori affinità emergono, poi, con riferimento alla possibilità (o obbligo con riferimento agli atti amministrativi generali) della doppia impugnativa ove le norme poste da tali atti non siano immediatamente lesive e debbano essere impugnati i provvedimenti applicativi delle stesse. 

Le differenze di disciplina conseguono alla diversa portata sostanziale dei due atti; innanzi tutto, posta la natura non normativa dell'atto amministrativo generale, la sua violazione integra una delle figure sintomatiche dell'eccesso di potere e non, così come la violazione di un regolamento, la violazione di legge; ne consegue che la possibilità di ricorrere per Cassazione è riconosciuta solo in caso di violazione di norme regolamentari.

La possibilità di disapplicazione, nel giudizio di legittimità davanti al giudice amministrativo, oggi riconosciuta per i regolamenti amministrativi è esclusa con riguardo agli atti amministrativi generali.

Per i regolamenti governativi, l'art. 17 della L. n. 400 del 1988 prevede l'obbligo di rispetto di specifici procedimenti a pena d'illegittimità mentre, con riferimento agli atti amministrativi generali, posto quanto stabilito dall'art. 21 octies della L.n. 241 del 1990, l'irregolarità procedurale non impinge sulla legittimità dell'atto. 

Il regolamento amministrativo può essere esterno o interno; il primo pone norme che incidono sull'ordinamento giuridico e sugli interessi della collettività; il secondo è, invece, rivolto esclusivamente all'organizzazione degli uffici, sicchè produce effetti esclusivamente nei confronti della collettività organizzata nell'ufficio, nonchè effetti indiretti  sui terzi posto che il mancato rispetto di tali regole interne potrebbe determinare il vizio dell'atto amministrativo adottato in spregio a tali regolamenti sub specie di eccesso di potere.   
 
Il regolamento interno non necessita, contrariamente al regolamento esterno, una fonte legislativa attributiva del potere normativo organizzatorio e risponde ai principi di buon andamento ed efficienza di cui all'art. 97 Cost; in tale prospettiva, occorre rimarcare che, stante la riserva di legge contenuta nel citato art. 97 cost in materia di organizzazione degli uffici, i regolamenti d'organizzazione si atteggiano a regolamenti d'esecuzione. Occorre, altresì, evidenziare comte tale tipologia regolamentare era già prevista nella Legge n. 100 del 1926 e come sia facoltà dei dipendenti pubblici quella di non uniformare la propria condotta a norme regolamentari illegittime. Posti i caratteri evidenziati dei regolamenti interni, se ne è desunta la portata non normativa, stante l'inidoneità ad innovare l'ordinamento giuridico.
 
Il regolamento amministrativo esterno postula, invece, l'esistenza di una norma avente forza di legge che conferisca il potere regolamentare stabilendone contestualmente l'ambito d'esercizio, dovendosi ritenere, in difetto, l'esercizio del potere regolamentare avvenuto in carenza di potere e, perciò, nullo o, secondo altra impostazione, illegittimo.  
 

Il regolamento amministrativo, sotto il profilo dell'inserimento all'interno della gerarchia delle fonti e della sua possibile portata normativa:

non deve essere in contrasto con la Costituzione nè con atti normativi aventi forza di legge (salva l'eventuale efficacia delegificante), nè con atti di normazione di provenienza comunitaria; esso non può contrastare con regolamenti adottati da autorità gerarchicamente superiori o esclusivamente competenti nel settore;

non può disciplinare materie coperte dalla riserva assoluta di legge;

non può avere portata retroattiva, non può contenere sanzioni penali.

Per quel che concerne lo Stato, la fonte generale della potestà di adottare regolamenti amministrativi governativi è l'art. 17 della L. n. 400/1988.

 

Sotto il profilo tipologico, si usano distinguere:
 
i regolamenti esecutivi (gli unici che possono essere adottati anche in materie coperte da riserva assoluta di legge) destinati a specificare una norma legislativa con norme di dettaglio che rendano quest'ultima concretamente seguibile,
 
i regolamenti d'attuazione e di integrazione destinati a completare i principi generali fissati dalla legislazione primaria (parte della dottrina riconduce tale tipologia di regolamenti nell'alveo dei regolamenti d'esecuzione, mentre, altra parte della dottrina, li ricomprende nell'ambito dei regolamenti indipendenti, la giurisprudenza ne ravvisa, invece, un tertium genus sul rilievo della loro capacità, assente nei regolamenti d'esecuzione, di innovare l'ordinamento giuridico non compiutamente disciplinato dalla fonte primaria)
 
i regolamenti indipendenti destinati ad operare in materie non coperte da riserva assoluta di legge e ancora non disciplinate dalla legislazione primaria (la dottrina, con riferimento a tale tipologia di regolamento, stante l'assenza di una fonte legislativa determinante i limiti e l'ambito di tale potere regolamentare dubita sulla sua costituzionalità evidenziando il rischio di creazione artificiosa di "nuove materie" da disciplinare in via regolamentare in difetto di un'esplicita norma attributiva di potere; si è replicato che, nei fatti, non sussistono campi dove vi sia la totale assenza della normazione primaria anche in considerazione dell'applicazione del meccanismo dell'analogia juris dell'art. 12 delle preleggi)
 
i regolamenti di organizzazione che sono rivolti e destinati all'organizzazione ed al funzionamento degli uffici (essi possono, poi, essere o regolamenti d'esecuzione o regolamenti attuativi delle norme di rango legislativo in quanto, a mente dell'art. 97 Cost gli uffici debbono essere organizzati dalla legge in modo che ne sia garantita l'efficienza ed il buon andamento),
 

i regolamenti delegati (di delegificazione) che sono diretti, in materia non coperte da riserva assoluta di legge, ad incidere anche su norme di rango sovraordinato (abrogandole o derogandole) grazie alla "forza" loro conferita dalla norma, di rango legislativo, delegante; si discute se l'effetto d'abrogazione derivi direttamente dalla legge o se la legge stessa esplichi un effetto di degradazione sulla fonte primaria da abrogare o derogare. In ogni caso, l'effetto di abrogazione o derogatorio si produce in via differita solo al momento in cui venga concretamente adottato il regolamento delegato. La legge delegante deve, peraltro, stabilire i criteri e l'ambito dell'esercizio del potere regolamentare delegificante e, come detto, esso non può esplicarsi in materie coperte da riserva assoluta di legge. Quanto all'iter procedimentale, tali regolamenti debbono essere adottati con dpr prvia deliberazione del Consiglio dei Ministri e parere del Consiglio di Stato.
 
Nell'ambito dei regolamenti di delegificazione, deve rammentarsi quanto disposto dalla L. n. 59/1997 (cd. Bassanini) , che ha introdotto un comma 4 - bis all'art. 17 della L. n. 400/1988, autorizzando la delegificazione anche nelle materie dell'organizzazione e della disciplina degli uffici dei Ministeri. In particolare, secondo quanto previsto dalla legge Bassanini, il Governo, entro il 31 maggio di ciascun anno, è tenuto a presentare un disegno di legge relativo ai procedimenti da assoggettare a delegificazione , la c.d. legge annuale di semplificazione, anche mediante il ricorso alla tecnica dei testi unici (al riguardo, sono state adottate le leggi n. 50 del 1999, n. 340 del 2000 e n. 229 del 2003).

Sempre nella categoria dei regolamenti amministrativi debbono ricordarsi anche i regolamenti di attuazione delle direttive comunitarie autorizzati ogni anno dalla Legge comunitaria annuale.

Un particolare profilo problematico si pone in relazione all'ambito della potestà regolamentare statale ed al suo raccordo con la potestà regolamentare delle Regioni, così come conseguita alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.

Con il nuovo art. 117 Cost, infatti, sono state delineate le competenze legislative esclusive dello Stato, quelle concorrenti tra Stato e Regioni e quelle esclusive delle Regioni. In tale quadro costituzionale, la giurisprudenza ha chiarito come la potestà regolamentare dello Stato non posse esercitarsi al di là delle materie di compretenza esclusiva (materie che, d'altra parte, costituiscono il limite del legittimo esercizio della potestà regolamentare da parte delle regioni). La Corte Costituzionale, con sentenza n. 303 del 2003 ha, al riguardo, avuto modo di sottolineare come, nelle materie di compretenza regionale (esclusiva o concorrente), non sia naturalmente ammessa l'adozione di una legge di delegificazione statale che, nel conferire al regolamento la potestà di derogare o abrogare, in tale materia, la normativa di legge primaria vigente, violerebbe le prerogative legislative stabilite dall'art. 117 cost in favore delle regioni.

La sola ipotesi di intervento legislativo e/o regolamentare ammesso da parte dello Stato nelle materie di competenza regionale è in caso di mancato adeguamento della regione alla normativa comunitaria. In tale ipotesi lo Stato interviene, in via sostitutiva, con una disciplina destinata ad essere soppiantata dalla successiva normativa di recepimento adottata dalla Regione. L'art. 117 Cost, comma 5 prevede, inoltre, la c.d. sostituzione statale anticipata con riferimento alla normativa di recepimento delle direttive comunitarie. In tale caso la norma statale adottata preventivamente entra in vigore alla scadenza del termine per l'adeguamento eventualmente inutilmente spirato.

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