approvazione revisione e contestazione delle tabelle millesimali

 
 
Le nuove modalità di approvazione, revisione e contestazione delle tabelle millesimali a seguito dell'arresto delle Sezioni Unite del 2010
 
IL PUNTO A CURA DI
 
 
 
 

Alcuni autori, commentando la sentenza in oggetto, hanno parlato di “piccola rivoluzione in tema di condomini”, di “effetti dirompenti” della stessa sulla materia, “di addio alla necessità del consenso unanime per la revisione delle tabelle millesimali”.

In realtà va innanzitutto menzionata la circostanza che le Sezioni Unite sono state chiamate ad intervenire per dirimere un preesistente contrasto giurisprudenziale, come si evince dal contenuto dell’ordinanza n. 2568 del 2 febbraio 2009 con la quale è stato richiesto l’intervento nomofilattico, a fronte delle notevoli discrepanze sorte a proposito della tematica relativa all’approvazione delle tabelle millesimali.

Ciò per evidenziare che la pronuncia di cui si tratta non assuma carattere particolarmente innovativo, se si pensa che nelle sue motivazioni altro non fa che riprendere gli argomenti enunciati nella citata ordinanza del febbraio 2009 che, peraltro, aderisce in toto ad un orientamento giurisprudenziale già presente (cfr. Cass. N.4219/07; Cass. 17276/2005), secondo il quale risulterebbe valida la delibera assembleare di modifica delle tabelle millesimali di natura non convenzionale assunta dall’organo assembleare con la maggioranza qualificata richiesta dal secondo comma dell’art. 1136 cod. civ. (maggioranza dei presenti e maggioranza dei millesimi).

Pertanto tutto va rapportato ad un intervento giurisprudenziale che, se da un lato ha senza dubbio il pregio di aver chiarito alcun aspetti nell’ambito di una sede maggiormente “autorevole”, dall’altro non rappresenta certo una rivoluzione, come qualche interprete poco attento ha voluto invece far credere.

Muovendo comunque dalle motivazioni che hanno spinto la Corte a sancire il principio sopra richiamato, essa enuncia con una certa coerenza logica le ragioni per cui la delibera assembleare ad oggetto la modifica delle tabelle millesimali non debba essere approvata all’unanimità, ma a maggioranza qualificata.

A sostegno della tesi dell’unanimità si utilizzerebbe l’argomento secondo il quale le determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi deriverebbe direttamente dalla legge, motivo per cui non rientrerebbe nella competenza dell’assemblea.

La Suprema Corte, rispetto a tale argomento, obietta che: a) le legga non regola le concrete modalità di determinazione dei millesimi, ma prevede unicamente che esse debbono essere espressione del valore di ogni piano o porzione di esso; b) se i millesimi fossero effettivamente regolati dalle legge sarebbe ultronea una loro approvazione all’unanimità, ma ben potrebbero essere stabiliti, ad esempio, dall’amministratore.

Circa invece l’affermazione secondo cui l’unanimità dei consensi deriverebbe dalla circostanza che la deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali costituirebbero un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari, essa contrasta con il principio sostenuto a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. civ. 431/90; Cass. civ. 298/1977), ovvero che la “tabella millesimale serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini, senza incidere in alcun modo su tali diritti”.

Pertanto la delibera “non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad una valutazione tecnica; caratteristica propria del negozio giuridico è la conformazione della realtà oggettiva alla volontà delle parti: l’atto di approvazione della tabella, invece, fa capo ad una documentazione ricognitiva di tale realtà, donde il difetto di note negoziali”.

E d’altronde: se la tabelle servono ai fini della ripartizione delle spese e del computo dei quorum in sede assembleare, una loro eventuale erronea determinazione potrà sempre essere ovviata mediante la loro revisione ex art. 69 disp. att. cod. civ…

Ma anche qui l’effetto del principio sancito dalla Corte non è di poco conto se si pensa che, prima, il singolo condomino che impugnava la delibera in punto di tabelle millesimali doveva instaurare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri condomini, in ossequio alla disciplina del litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., mentre, adesso, lo potrà fare nei confronti del condominio, nella persona dell’amministratore, salvo l’ipotesi in cui si sia voluto derogare al principio di ripartizione delle spese di cui all’art. 1123 II° comma cod. civ. (v. meglio infra).

Né può essere accolto, sempre a parere degli ermellini, l’argomento secondo il quale le tabelle millesimali rivestirebbero un carattere pregiudiziale rispetto alla costituzione ed alla validità delle deliberazioni assembleari, poiché i criteri di identificazione delle quote preesistono alla loro formazione e consentono una valutazione a posteriori sul raggiungimento dei quorum, per cui le tabelle agevolano, ma non condizionano, lo svolgimento delle assemblee, né la gestione del condominio.

Non si può inoltre sostenere, sempre a parere della Suprema Corte, l’argomento, proprio dei fautori della tesi negoziale, per cui una delibera di modifica delle tabelle presa non all’unanimità sarebbe affetta da nullità assoluta, ovvero inefficace, anche per coloro che avessero votato a favore, laddove non fosse assunta con la maggioranza degli intervenuti che rappresentino anche la metà del valore dell’edificio, mentre sarebbe affetta da nullità relativa, solo rispetto ad assenti e dissenzienti, in ipotesi in cui fosse approvata con la maggioranza in questione.

Difatti, osserva, la Corte “non vi è traccia nella legge” di siffatta distinzione, la quale peraltro nasconde una contraddizione in termini: se si muove dal presupposto che l’assemblea non abbia mai il potere di deliberare a maggioranza in tale materia, non si riuscirebbe a comprendere perché il vizio sarebbe di maggiore o minore gravità a seconda della maggioranza di volta in volta raggiunta.

Infine nella pratica risulterebbe sicuramente poco conveniente sostenere la tesi negoziale, poiché, se è vero come vero che i contratti vincolano solo le parti e i loro successori, nel caso di specie ciò implicherebbe una nuova verifica ed approvazione della tabelle ad ogni alienazione di immobile.

Non va inoltre sottaciuto la portata dell’art. 68 disp. att. cod. civ. che prevede la circostanza che le tabelle millesimali debbano essere allegate al regolamento condominiale.

Difatti, se quest’ultimo viene approvato con la maggioranza di cui all’art. 1136 2° comma, non si comprenderebbe, a parere della Corte, perché mai un atto ad esso allegato dovesse essere adottato con un quorum diverso (“In linea di principio, infatti, un atto allegato ad un altro, con il quale viene contestualmente formato, deve ritenersi sottoposto alla stessa disciplina, a meno che il contrario risulti espressamente).

Un ultimo passaggio della pronuncia in esame, che alcuni commentatori hanno evidenziato - pur ritenendo che sull’argomento la Corte avrebbe omesso un’analisi approfondita, lasciando, così, ampie zone di conflittualità - concerne la distinzione posta in essere tra le tabelle che abbiano natura convenzionale – ovvero predisposte dall’unico originario proprietario e accettate da tutti proprietari o, comunque, da questi ultimi approvate all’unanimità – e quelle di natura deliberativa.

Le prime, secondo tale orientamento,  potrebbero essere oggetto di modifica solo con il consenso unanime dei condomini; le seconde, invece, potrebbero essere adottate con il quorum di cui all’art. 1136 cod. civ..

Anche detta posizione non è da ritenere, secondo la Suprema Corte, degna di accoglimento, poiché, come evidenziato da ultimo (Cass.7300/2010), non chiarisce come possano esservi delibere che approvino modifiche delle tabelle quando la giurisprudenza precedente aveva escluso una competenza di quest’ultima in merito e, in secondo luogo, si pone in contrasto con il regolamento condominiale di origine contrattuale.

Tale giurisprudenza muove infatti dalla distinzione tra disposizioni regolamentari – che possono essere approvate con le maggioranze di legge – e quelle contrattuali, per cui è necessaria l’unanimità.

Queste ultime sarebbero però unicamente quelle che derogano al regime legale di ripartizione delle spese e trovano il loro fondamento giuridico nel dettame normativo dell’art. 1123 cod. civ., I° comma, laddove si accenna alla possibilità di “diversa convenzione”, senza che esse possano essere così qualificate solo perché allegate ad un regolamento di natura “contrattuale”.

Su quest’ultimo punto gli osservatori più attenti hanno colto una distinzione innovativa posta in essere dalla Suprema Corte, la quale, però sembra aver perso un’occasione per chiarire quando, o in presenza di quali presupposti, possa configurarsi quella “convenzione” per la cui modificabilità risulti necessario il consenso unanime di tutti i condomini, salvo, ovviamente, il ricorso alla via giudiziale.

Nella prassi si porrà allora la questione interpretativa, non di poco conto, di individuare, nell’ottica di riconoscere carattere negoziale o meno alle tabelle annesse al regolamento contrattuale, quando queste abbiano inteso introdurre deroghe ai criteri legali codicisticamente sanciti e se nel regolamento contrattuale dovrà farsi espressa menzione di eventuali deroghe al principio di proporzionalità fissato dall’art. 68 disp. att. cod. civ. o se dovrà, al contrario, essere desunto in via interpretativo dalle carature millesimali ascritte ai singoli immobili.

Insomma, in breve, la Corte fa prevalere l’aspetto sostanziale rispetto a quello formale: non è sufficiente, infatti, che il regolamento sia stato approvato dall’originario proprietario perché si consideri contrattuale e perché, quindi, sia richiesta per la sua modifica l’unanimità dei consensi, ma si dovrà verificare, caso per caso, se ha inteso porre delle deroghe alla ripartizione delle spese sancita dalla legge; solo in quest’ultima fattispecie, difatti, per eventuali modifiche si dovrà procedere all’ unanimità.

Comunque, alla luce di tutto quanto sopra esposto il dictum sancito dalla Suprema Corte e che – per l’appunto – ha portato alcuni commentari a parlare di rivoluzione in materia condominiale - è il seguente: “deve quindi affermarsi che le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1139, secondo comma, cod. civ.,(..)”.

Nel concludere, non si può non evidenziare come la pronuncia in oggetto non abbia poi di fatto portato ad alcun tipo di rivoluzione in materia accogliendo un orientamento già presente in giurisprudenza, ed ha lasciato ampi spazi di conflittualità, soprattutto circa le interpretazioni delle c.d. tabelle contrattuali, ovvero quelle che prevedono diversi criteri di ripartizione spese rispetto al semplice calcolo dei millesimi.

A tal proposito si pensi a tutti quelli edifici (e sono la maggior parte!) che per loro conformità hanno parti non comuni a tutti i condomini o di cui questi ultimi usufruiscono con modalità diverse: è ovvio che in tema di ripartizione della spese il principio di cui all’art. 1123 cod. civ. della proporzione rispetto alla proprietà di ciascuno non potrà, nei richiamati casi, essere adottato.

In conclusione, data la poca chiarezza in merito, potrebbe nascere una maggiore richiesta di consulenza legale sul tema specifico che dovremo essere pronti, come avvocati, a soddisfare.

 
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